Su LIBERO di oggi, 01/11/2011, gli articoli di Carlo Panella e Simona Verrazzo. Sul FOGLIO l'intervista di Tatiana Boutourline a Sari Nusseibeh, preceduta da un nostro commento. Sul CORRIERE della SERA i pezzi di Antonio Ferrari e Maurizio Caprara, preceduti dal nostro commento.
Il confronto tra i primi due articoli e gli altri mette in luce come le vere conseguenze di questo voto siano stata debitamente espulse nei pezzi del CORRIERE della SERA e del FOGLIO:
Ecco gli articoli:
Libero-Carlo Panella:" Pugnalata a Israele, la Palestina nell'Unesco "


L’avventurismo palestinese, appoggiato da blocco composto essenzialmente da Paesi dittatoriali (ma anche da una irresponsabile Francia, da India e Brasile che sono democrazie), l’ignavia dell’Euro - pa e – va detto – la incapacità di manovra del governo israeliano – hanno prodotto ieri un disastro: l’Unesco ha deciso a maggioranza semplice l’in - gresso della Palestina quale Stato Membro con 107 sì, 14 no e 52 astenuti. La pattuglia dei contrari è stata guidata da Usa, Canadà e Germania. Tra gli astenuti, una imbarazzata Italia che ha motivato questa posizione con l’esigen - za di non fare emergere le divisioni di una Ue che si è – al solito – divisa in tre. Una scelta tatticista a nostro parere errata: quando si è di fronte a questioni fondamentali, la tattica diplomatica dovrebbe passare in secondo piano. Furiosa la reazione del governo Netahnyau: «È una mossa unilaterale palestinese che, pur non portando alcun cambiamento sul terreno, allontana la possibilità di un accordo di pace, questa decisione non trasforma l’Anp in uno Stato ma pone ostacoli sulla via del ripristino dei negoziati ». «SPUTO IN FACCIA» Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, in una riunione del suo partito Israel Beitenu è andato ben oltre: «Dobbiamo prendere in considerazione la rottura di ogni legame con l’Anp. Non possiamo accettare di continuo le sue iniziative unilaterali: non sono disposto ad accettare che Israele diventi il fesso della regione. Non è ammissibile che una volta dopo l’altra ci venga sputato in faccia, e poi si venga a dire che è solo una benefica pioggerella». Certo è che il voto dell’Une - sco è di gravità estrema – e gravissimo è stato quindi il sì della Francia – dal punto di vista politico e simbolico, perché l’Unesco è la prima organizzazione Onu che riconosce uno Stato di Palestina (anche se gli Stati in realtà sono due, uno della Anp in Cisgiordania e l’altro a Gaza con Hamas, sempre sull’orlo di spararsi). Ma è ancora più grave perché ora i palestinesi avranno facile gioco per imporre nella massima istituzione culturale del globo lo stravolgimento della storia, che è l’essenza della loro religione e che semplicemente nega l’esistenza millenaria del regno di Israele, Stato degli ebrei, su tutta la Palestina, prima della conquista araba avvenuta solo nel 637 D.C.. LA STORIA RISCRITTA Secondo la cultura coranica la Palestina sarebbe sempre stata araba da Adamo in poi (è una bestialità senza il minimo riscontro storico, ma così è), il Tempio di Salomone non è mai esistito, sulla sua spianata c’era invece la roccia (coperta dalla moschea Qubbat al Sakhra) da cui Maometto ascese al cielo a in sella al cavallo Buraq Seguendo questa metastoria, basata sul Corano, che rifiuta ogni verifica scientifica, d’ora in poi i palestinesi avranno buon gioco a far approvare dall’Unesco demenziali risoluzioni – dall’evidente risvolto antisemita – che negheranno l’ebraicità di Israele, come già è accaduto quando l’Unesco ha dichiarato palestinesi i siti palesemente ebraici della Tomba dei Patriarchi e della Tomba di Rachel. Inutilmente, gli Usa avevano avvisato che una legge del Congresso obbliga l’ammini - strazione Obama a interrompere i finanziamenti a organizzazioni che riconoscano lo Stato di Palestina e che quindi non verseranno più i loro fondi all’Unesco (il 22% del totale). L’Anp segna dunque un punto a suo vantaggio, mentre Israele sconta sempre di più un isolamento internazionale a cui non è estraneo l’estremi - smo di Liebermann, che ha impedito mesi fa la pacificazione con la Turchia, che avrebbe oggi evitato con tutta probabilità questa sconfitta diplomatica.
Libero-Simona Verrazzo: " Così gli arabi potranno islamizzare i luoghi sacri di Gerusalemme "

Un problema politico, economico, diplomatico e culturale. L’am - missione ieri come membro a pieno titolo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) in seno all’Unesco, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura, ha riaperto una ferita profonda. L’entrata dell’Anp nell’Une - sco è, come raccontato da queste pagine all’inizio di ottobre, altrettanto spinosa del riconoscimento chiesto a settembre all’Assemblea generale dell’Onu, con il presidente Abu Mazen che nel Palazzo di Vetro di New York ha rivendicato un seggio per la nazione Palestina. È più spinosa innanzi tutto perché mentre per quanto riguarda le Nazioni Unite in generale c’è il Consiglio di sicurezza, dove il veto degli Stati Uniti (membro permanente) sarebbe sufficiente a bloccare ogni iniziativa palestinese, all’Unesco questo meccanismo non esiste. Ieri a Parigi, su 173 paesi presenti, 107 sono stati i voti a favore (tra cui Cina, Russia, Brasile, India, Sudafrica, Spagna, Austria e Francia), 14 contrari (tra cui Stati Uniti, Canada, Germania e Paesi Bassi) e 52 astenuti (tra cui Gran Bretagna e Italia), mentre 12 paesi erano assenti alla votazione. La maggioranza dei paesi arabi, l’Africa sub-sahariana e l’America latina hanno dato il loro sì alla causa palestinese. Il “problema culturale” non è da poco: adesso sia Israele sia l’Anp potranno candidare un sito a essere iscritto nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, riconoscimento ambito in tutto il mondo. Al momento non ci sono località né della Cisgiordania né della Striscia di Gaza. Israele è presente con sei siti, ma fuori dai Territori palestinesi. A rendere ancora più complicato il tutto c’è la questione di Gerusalemme. La città santa, che non è presente nella Lista del Patrimonio dell’Umanità, è stata candidata dalla Giordania e non dalle autorità israeliane. Cosa succederebbe se l’Anp – che considera Gerusalemme la sua capitale – dovesse proporla? E se l’Unesco la dovesse accettare? Che cosa verrebbe scritto accanto al suo nome per indicare il paese in cui si trova? Non si tratta di sole supposizioni: nel corso degli anni l’Anp ha più volte espresso la volontà di presentare delle candidature finché quest’anno a febbraio non lo ha fatto proponendo per la Lista del Patrimonio dell’Umanità la città di Betlemme, dove si trova anche la Basilica della Natività. C’è poi l’altra località che i palestinesi vogliono proporre: Hebron. Basterebbero soltanto questi due siti per scatenare una controversia internazionale. Sia Betlemme sia Hebron ospitano due dei più importati luoghi sacri dell’ebraismo: nella prima si trova la Tomba di Rachele, nella seconda la Tomba dei Patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe). Come la prenderebbe Israele se venissero ammesse nell’elenco sotto la voce Palestina? Nel 2005, in un workshop organizzato dall’ufficio dell’Unesco di Ramallah, è stato stilato un elenco dei siti che per il loro valore culturale e naturale devono essere messi sotto protezione. Tra questi figura Gerico (famosa come la città più antica del mondo), le coste del Mar Morto che si trovano in Cisgiordania, l’antica rete di acquedotti che portava l’acqua a Gerusalemme e Wadi Gaza, una zona paludosa nella Striscia di Gaza.
Il Foglio-Tatiana Boutourline: " Un non detto"

Sari Nusseibeh, fautore dello stato binazionale
Conoscere l'opinione degli avversari, anche dei nemici, è sempre istruttivo. Ma quando queste opinioni si conoscono già, a che serve intervistare chi le esprime, oltre a tutto presentarle come se fossero accettabili ? Boutourline conosce molto bene la storia dell'Iran, si direbbe meno quella di Israele e dei palestinesi, altrimenti saprebbe chi è Sai Nusseibeh, strenuo sostenitore dello Stato binazionale, il che vuol dire la fine di Israele. Perchè non dirlo in termini chiari ? In Israele Nusseibeh non gode più di credito nemmeno su Haaretz, perchè non dirlo ? Questo pezzo è molto al di sotto del livello abituale del FOGLIO. Peccato.
Milano. Il voto è stato senza appello, di quelli in cui non si intravvede nemmeno uno spiraglio di trattativa. Centosette voti a favore dell’ingresso dello stato palestinese come membro dell’Unesco (l’Italia si è astenuta): è il primo passo verso una piena membership anche alle Nazioni Unite. Ed è anche un successo del capo dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, in giorni in cui la faida con Hamas torna a essere pericolosa, tanto che i detrattori, quelli che pensano che l’avventura all’Onu finirà in niente, ipotizzando addirittura uno smembramento dell’Autorità palestinese. Gli altri interlocutori, quelli che hanno opposto resistenza alla via diretta dei palestinesi all’Onu (anni di trattative e negoziati buttati via), ieri hanno reagito con durezza. Israele, naturalmente, ma anche gli Stati Uniti, che hanno deciso di tagliare i fondi all’agenzia culturale dell’Onu: i 60 milioni previsti per novembre sono sospesi. C’è chi pensa che i colloqui diretti fossero a un punto morto e che soltanto così, con una mossa diplomatica raffinata e inaspettata, la questione palestinese potesse tornare al centro del dibattito. Sari Nusseibeh dice al Foglio: “Basterebbe una conversazione onesta” tra le parti, ma al momento non se ne intravvede la volontà. Per il presidente dell’Università di al Quds la speranza non può essere disgiunta da una sana dose di pragmatismo. Nato nel 1949 a Damasco, Nusseibeh appartiene a uno dei più antichi casati palestinesi (la sua famiglia custodisce assieme a quella dei Joudeh le chiavi della chiesa del Santo Sepolcro). A Milano per presentare il suo ultimo libro “What is a Palestinian state worth?” (Harvard University Press) – il dibattito all’Aseri dell’Università Cattolica è stato organizzato dall’avvocato d’affari Carlos D’Ercole e da Mattia Toaldo, esperto di medio oriente attualmente in forza alla britannica Society for Libyan Studies – Nusseibeh ha lanciato una proposta provocatoria: “I palestinesi dovrebbero rinunciare a costruire un loro stato e chiedere pieni diritti civili all’interno di Israele”. Amico del filosofo israeliano Avishai Margalit tra i fondatori dell’organizzazione Peace Now, Nusseibeh dice al Foglio di dubitare del potere salvifico di colloqui diretti. Ben venga allora la richiesta palestinese di riconoscimento all’Onu se l’effetto è quello di riportare all’ordine del giorno la questione israelo-palestinese. E avverte: “Il Quartetto ha già segnalato che, in mancanza di passi avanti, il dossier da Washington si sposterà al Cremlino”. L’ombra russa è pronta a occupare quel che la Casa Bianca ha lasciato e lascerà scoperto: in parte lo sta già facendo. Nusseibeh non crede che i negoziati di pace vadano abbandonati, ma la situazione sta peggiorando, ed è probabile che la soluzione a due stati per cui si batte Abu Mazen fallisca (sotto i colpi dell’intransigenza della leadership di Gaza). Sottolinea che uno stato con una bandiera e una moneta, ma in cui le vite dei cittadini non sono decenti, è “inutile”. Israele, di converso, “non sarà al sicuro fino a che negherà la libertà ai palestinesi”. Ma la questione è complicata anche dagli equilibri interni al paese, come dimostra la liberazione del soldato Shalit in cambio di 1.027 terroristi palestinesi. Ecco perché sarebbe meglio allora per tutti costituire una federazione. “Potremmo iniziare a lavorare su un’ipotesi di federazione che assicuri diritti sia in senso verticale (alle persone) sia in senso orizzontale (all’Autorità palestinese)”. Un porcospino o un camaleonte? I segnali all’estero non sono rassicuranti. La leadership di Obama si è rivelata “molto deludente” e la primavera araba rischia di essere poco favorevole a Israele. Washington sbraita per il voto all’Unesco ma la diplomazia americana si è mossa tardi nei confronti dell’iniziativa palestinese. Il rapporto con l’Egitto è in crisi ed è naufragata anche l’alleanza con la Turchia. Per Daniel Levy, senior fellow della New America Foundation e membro dell’European Council on Foreign Relations, presente all’incontro all’Aseri, mutato il panorama regionale, Gerusalemme deve cambiare strategia e può scegliere tra tre alternative: il porcospino (la chiusura), il camaleonte (il cambiamento cosmetico ) e il bruco (la trasformazione). “Benjamin Netanyahu ha scelto il porcospino – dice Levy al Foglio – e non muoverà un passo a meno che non sia obbligato a farlo”. Oltre alla geopolitica, c’è il gas. Mentre cresce l’acrimonia tra Ankara e Gerusalemme, sboccia l’amore tra Gerusalemme e Atene. Una passione legata alla scoperta, due anni fa, nel Mediterraneo, di giacimenti di gas a oltre 5 mila metri di profondità in un’area tra Israele, Libano e Cipro. Gran parte del conflitto ruota proprio attorno a Cipro e ai 200 chilometri di mare tra l’isola e Israele. Con la benedizione greca, Nicosia ha concordato con Israele lo sfruttamento delle riserve, ma la Turchia, che non riconosce il governo di Cipro e pretende per la Repubblica turca di Cipro nord una fetta dei giacimenti, ha risposto inviando nell’area navi da guerra e aerei militari. Le provocazioni non fermano il riallineamento degli assetti strategici regionali: la scoperta del gas israeliano e cipriota rappresenta per Atene un’insperata ancora di salvezza, la Grecia può diventare la via di transito del gas verso il resto dell’Europa, si tratterebbe di un passo decisivo per annullare il suo debito, stando a uno studio dell’Economist Conferences.
Corriere della Sera-Antonio Ferrari: " La Palestina all'Unesco. Ma la pace si allontana "

Frattini, l'Italia si astiene
Come riesca Ferrari ancora a scrivere "due Stati — Israele e Palestina — che vivano l'uno accanto all'altro in pace e in sicurezza." non lo capiamo, visto che Israele continuano a cadere missili. E l'astensione dell'Italia esprime " prudente saggezza" ? Riprendiamo questa vile decisione nel commento al pezzo di Caprara che segue.
Il cuore spinge ad esultare, la mente no. È straordinario che la Palestina sia stata accolta nell'Unesco, l'agenzia delle Nazioni Unite per l'educazione, la culturae la scienza. Non è straordinario pensare che il passo intralci
quel disegno che ha individuato nel negoziato tra le parti l'unico binario possibile, quindi realistico, per arrivare alla pace. Per risolvere davvero quello che tutti sappiamo essere un conflitto tra due diritti. Dove ciascuno dei due ha ragione. I Paesi che hanno votato
sì sono 107, i no 14
e 52 sono gli astenuti.
Tra chi ha votato no ci sono gli Stati Uniti di Barack Obama, alleato numero uno dello Stato ebraico ma anche roccioso sostenitore del progetto di due Stati — Israele e Palestina — che vivano l'uno accanto all'altro in pace e in sicurezza. Tra gli astenuti troviamo l'Italia, che ha deciso con prudente saggezza in quanto era impossibile esprimere, per l'ennesima volta, un atteggiamento comune europeo. Tra i sì troviamo non solo gli arabi e le potenze emergenti — Cina, India, Russia, Brasile, Sudafrica a Turchia — ma la Francia che non soltanto ospita l'Unesco ma è il Paese dell'Ue attraversato da una frenesia presenzialista. Per ragioni ideali, sostengono gli entusiasti; per ragioni di abile calcolo, sostengono i critici. Parigi sta cercando, spesso sgomitando, di ritagliarsi un ruolo importante: si è imposta come leader dei volonterosi nella guerra di Libia, approfittando della debolezza dei partner europei. Il presidente Nicolas Sarkozy, che non è amato in Turchia, è corso a Erevan per sostenere ad alta voce la necessità che si riconosca il genocidio degli armeni, però tutti sanno che la potente lobby armena gli è necessaria per le elezioni. E ora cerca altri spazi nel Medio Oriente.
Sappiamo bene che l'ingresso della Palestina nell'Unesco non significa ingresso alle Nazioni Unite. Per questo dovrà decidere il Consiglio di sicurezza, all'interno del quale almeno un membro permanente, gli Stati Uniti, opporrà il veto. E già sappiamo che, dopo il primo ostacolo, il problema verrà sottoposto all'Assemblea, dove al massimo la Palestina otterrà lo status di osservatore, come il Vaticano. E allora perché tanta fretta? Sostanzialmente per tre ragioni: irritare gli Usa, che parlano di passo «prematuro e controproducente»; colpire Israele, che parla di «tragedia»; e segnalare il ruolo decisivo dei Paesi emergenti, insomma dei nuovi mega-soggetti della politica planetaria.
È quest'ultimo passaggio, a ben vedere, il più delicato. Vuol ricordare a tutti — Israele compreso — che il mondo è profondamente cambiato. Non sappiamo poi quanto la Palestina e l'Unesco possano trarre vantaggi da questo successo che rischia d'essere soltanto di immagine. L'Unesco finirà nell'elenco delle organizzazioni che, per una vecchia legge americana, non possono ottenere fondi da Washington se includono la Palestina: e si tratta del 20% del budget. La Palestina, a sua volta, dovrà affrontare nuovi sacrifici. Valeva la pena, allora? Nel mondo segnato dal culto dell'immagine forse; nel tribolato cammino verso la pace la risposta più sensata è no.
Corriere della Sera-Massimo Caprara: " L'astensione italiana e la nuova apertura verso le piazze arabe"
Il pezzo di Caprara, scritto camminando sulle uova, è utile per capire il carattere di sempre della politica italiana, qualunque sia l'argomento in questione. Una politica vile, levantina, attenta a miseri interessi di bottega. L'unico aspetto positivo di questa astensione è la certezza che sarrebbe stato un si se al governo al posto di Frattini ci fosse stato D'Alema, ma anche un altro di un qualunque governo di centro-sinistra. Magra consolazione, però, che non ci esime dal sottolineare la viltà, ripetiamo, la viltà della scelta operata dal Ministro Frattini.

Il volto della brutta figura italiana
ROMA — Una prima verifica sugli effetti dell'astensione italiana sull'ingresso dell'Autorità nazionale palestinese nell'Unesco si potrà avere domani, quando nell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'educazione, la scienza e la cultura si voterà sulle nuove candidature per il consiglio esecutivo. Il nostro Paese è uno dei sette che ambiscono a restare o entrare nell'organismo di 58 membri e i posti da riempire sono sei. Tra i candidati a rimanere ci sono anche gli Stati Uniti. In assenza di rinunce che renderebbero automatica la permanenza italiana, non mancheranno elementi per analizzare i risultati. Di certo, un anno fa il governo di Silvio Berlusconi avrebbe appoggiato più marcatamente Israele nel contrastare l'ingresso nell'Unesco della rappresentanza di uno Stato palestinese non ancora nato. Ma qualcosa quest'anno è cambiato.
Sono state le rivolte di piazza in vari Stati arabi a spingere la diplomazia italiana all'astensione, una scelta condivisa ieri da 52 Paesi in tutto, e non alla bocciatura della richiesta avanzata da Ramallah, respinta soltanto da 14 componenti della conferenza generale dell'Unesco a fronte di 107 «sì». Senza strappi con Israele — che infatti, secondo fonti italiane, nella sede parigina dell'Organizzazione si è congratulato per la posizione tenuta — la Farnesina ha proceduto a un relativo riposizionamento sul conflitto mediorientale. Più che di una svolta, si tratta di una messa a punto: l'invio di un segno di maggiore disponibilità verso i palestinesi, ritenuto necessario per non caricare di una divergenza su un versante sensibile i rapporti con i nuovi governi arabi insediati o in cantiere in Egitto, Tunisia, Libia e con i movimenti oggi all'opposizione in altri Stati e domani forse al potere.
Il problema è che ai palestinesi non è bastato vedere l'Italia un tempo guidata da Aldo Moro, Giulio Andreotti e Bettino Craxi collocarsi a metà strada tra l'appoggio francese all'ingresso a pieno titolo del nuovo membro nell'Unesco e la contrarietà americana e tedesca. Dall'Anp il ministro degli Esteri Riyad al Maliki ha definito «sbagliata» la linea seguita dal nostro Paese «visti i legami privilegiati tra italiani e palestinesi». A Ramallah sostengono di aver sperato in un voto a favore, mentre Israele, pur avendone sollecitato alla Farnesina uno contrario, aveva già messo nel conto di non ottenere dall'Italia un «no» come quello della Germania al nuovo ingresso nell'Unesco. Con meno clamore, il nostro Paese si era già astenuto il 5 ottobre nel consiglio esecutivo, quando, a differenza di ieri, anche la Francia aveva evitato di schierarsi con un «sì» o un «no».
«Abbiamo chiesto a molti Paesi europei di votare contro, l'Italia era tra questi perché avevamo apprezzato suoi comportamenti. Siamo delusi perché l'Unione Europea non ha raggiunto una posizione unitaria», ha detto al Corriere una fonte dell'ambasciata d'Israele a Roma. Se ne «rammaricano» anche alla Farnesina, palazzo che ha provato a trascinare sull'astensione tutta l'Ue. Ma la partita è andata in un altro modo.
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