Le minacce siriane vengono riprese da quasi tutti i giornali. Pubblichiamo due servizi, qullo di Livio Caputo, sul GIORNALE, oggi, 31/10/2011, a pag.15, e quello di Guido Olimpio, sul CORRIERE della SERA, a pa.14.
Il Giornale-Livio Caputo: " Assad accerchiato minaccia l'Occidente "

Il presidente siriano Assad si sente sempre più sotto assedio, e nel momento in cui la Lega araba lo minaccia di un intervento, la Turchia si schiera apertamente contro di lui e perfino la Cina sembra abbandonarlo,mette in guardia l’Occidente contro un intervento militare come quello contro Gheddafi.
In una intervista al Sunday Telegraph il presidente ha ammonito che «la Siria è uno snodo fondamentale della regione, una sorta di faglia sismica e se ci mettiamo a scuotere il suolo qui si provocherà un terremoto». Se l’Occidente dovesse intervenire il Paese sarebbe trasformato in «un altro Afghanistan. Ogni problema in Siria la farà bruciare tutta. Se il piano è quello di dividere la Siria, questo equivale a dividere l’intera regione». Per dare più forza ai suoi argomenti, Assad ha anche ribadito che il suo governo non è chiuso come altri alle istanze della primavera araba. Pur ammettendo i «molti errori» commessi dalle sue forze di sicurezza, anche se solo per colpire «terroristi», ha concluso: «Non siamo stati un governo testardo, ma sei giorni dopo l’inizio delle proteste ho avviato le riforme». Assad ha buoni motivi per essere in allarme. Invece di placarsi sotto i colpi delle forze di sicurezza, che in sette mesi hanno ucciso oltre tremila persone e compiuto dodicimila arresti, la rivolta continua: solo venerdì scorso, ci sono state altre 40 vittime, tra rivoltosi e forze dell’ordine.Molti soldati hanno disertato piuttosto di sparare sui loro concittadini e si stanno organizzando in una sorta di movimento partigiano, già in grado di compiere attentati. E a Istanbul opera un embrione di governo in esilio. Di fronte a una situazione così compromessa, i vicini della Siria hanno inasprito il loro linguaggio contro Assad, applicando sanzioni e minacciando forme non specificate di intervento.L’Occidente,appena conclusa l’avventura libica, vorrebbe evitare altre guerre e si limita per ora a imporre misure (abbastanza blande). Ma la Lega araba ha preso posizioni inusitatamente dure contro un «paese fratello» e fatto capire che, se la repressione non cesserà e non sarà avviato un dialogo con l’opposizione sunnita, non potrà fare a meno di intervenire.
La minaccia più seria per il regime viene tuttavia dalla Turchia. Il premier Erdogan, fino a pochi mesi fa grande amico di Assad, gli ha voltato le spalle e- nella sua ansia di diventare il punto di riferimento per la primavera araba - si è messo a fare la voce grossa. Non solo Ankara ha accettato di ospitare il governo in esilio, ma ha anche aperto le frontiere ai siriani in fuga dalla repressione e provveduto segretamente a rifornire i ribelli di armi. Fin dove Erdogan sia intenzionato a spingersi, rischiando il famoso «terremoto», non è dato di sapere. Ma la politica di forza praticata dalla Turchia (vedi la faida con Israele) fa pensare che non lascerà le cose a metà.
Ci si chiede come mai il regime siriano, basato sulla minoranza alawita che costituisce appena il dieci per cento della popolazione, sia riuscito a resistere per tanto tempo alla pressione della piazza. I suoi elementi di forza sono tre: primo, una polizia bene addestrata e finora fedele al clan degli Assad, che ha stroncato nel sangue le rivolte scoppiate via via a Derraa, Homs, Hama e altre città; secondo, la paura delle minoranze etniche e religiose, curdi, alawiti, sciiti e cristiani, che il regime sunnita che probabilmente seguirebbe a quello attuale potrebbe limitare la loro libertà; terzo,l’appoggio della borghesia mercantile di Damasco e Aleppo, che sotto gli Assad ha prosperato. Se si profilasse la minaccia di un intervento straniero quei sostegni potrebbero svanire.
Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Assad minaccia l'Occidente, se intervenite sarà l'inferno "

WASHINGTON — Il presidente siriano Bashar Assad conosce le paure dell'Occidente. Suo padre, lo scaltro Hafez, le ha sfruttate per una vita. E dunque il «giovane» le evoca per tenere la comunità internazionale lontana dalla crisi in Siria.
Questa la sintesi del suo messaggio affidato con un'intervista al Sunday Telegraph: «Noi rappresentiamo una cerniera. Un intervento esterno causerà un terremoto. Volete avere un altro Afghanistan o decine di Afghanistan? Brucerà l'intera regione. Se volete dividere la Siria dividerete l'intero scacchiere».
Lo scenario che prospetta il dittatore è quello del caos. O peggio di un contagio che infiamma i paesi vicini. Dunque se gli occidentali volessero ripetere l'operazione Libia — come chiedono molti negli Usa — rischierebbero di trovarsi in mano una situazione esplosiva. Assad sembra attaccarsi al famoso detto arabo: «Meglio il Diavolo che conosco che l'Angelo che non conosco». E, in effetti, in alcune capitali, c'è il timore di favorire spinte radicali.
Inoltre le intelligence occidentali sanno bene che Damasco, per quanto debole, può affidarsi a iniziative clandestine. Da decenni finanzia gruppi terroristici o appoggia movimenti disposti a manovre diversive.
È il caso dei separatisti curdi del Pkk sostenuti nella lotta contro la Turchia, paese che fa da sponda al dissenso siriano. Agli inizi della rivolta, poi, i servizi segreti di Assad hanno mandato centinaia di attivisti palestinesi contro le posizioni israeliane sul Golan. Dimostrazione finita nel sangue.
Nell'intervista, il presidente ha riconosciuto di aver commesso «molti errori» nell'affrontare la piazza. Esilarante la spiegazione: «Abbiamo forze di polizia ridotte e siamo stati costretti ad impiegare l'esercito che è addestrato a combattere al Qaeda. Succederebbe la stessa cosa anche da voi». Peccato che la Siria disponga di una mezza dozzina di apparati di sicurezza e che la repressione letale — oltre 3 mila vittime — sia stata condotta con l'aiuto di una milizia fedele al clan alawita.
Assad, comunque, non appare disposto a cedere di un millimetro. Sostenendo la «differenza» del suo regime rispetto ad altri paesi, il presidente si è preso il merito di aver varato, immediatamente, delle «riforme» ma serve tempo per applicarle «in una società complicata». Discorsi che stridono con quanto avviene nelle città siriane dove ormai sono quotidiani gli scontri tra gruppi armati e le unità governative. L'inizio di quella che si avvia ad essere una vera guerra civile.
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