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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale-Corriere della Sera Rassegna Stampa
31.10.2011 Siria: Assad scatenato
Articoli di Livio Caputo, Guido Olimpio

Testata:Il Giornale-Corriere della Sera
Autore: Livio Caputo-Guido Olimpio
Titolo: «Assad accerchiato minaccia l'Occidente-Assad minaccia l'Occidente, se intervenite sarà l'inferno»

Le minacce siriane vengono riprese da quasi tutti i giornali. Pubblichiamo due servizi, qullo di Livio Caputo, sul GIORNALE, oggi, 31/10/2011, a pag.15, e quello di Guido Olimpio, sul CORRIERE della SERA, a pa.14.

Il Giornale-Livio Caputo: " Assad accerchiato minaccia l'Occidente "

Il presidente siriano Assad si sente sem­pre più sotto assedio, e nel momento in cui la Lega araba lo minaccia di un intervento, la Turchia si schiera apertamente contro di lui e perfino la Cina sembra abbandonarlo,met­te in guardia l’Occidente contro un interven­to militare come quello contro Gheddafi.
In una intervista al Sunday Telegraph il pre­sidente ha ammonito che «la Siria è uno sno­do fondamentale della regione, una sorta di faglia sismica e se ci mettiamo a scuotere il suolo qui si provocherà un terremoto». Se l’Occidente dovesse intervenire il Paese sa­rebbe trasformato in «un altro Afghanistan. Ogni problema in Siria la farà bruciare tutta. Se il piano è quello di dividere la Siria, questo equivale a dividere l’intera regione». Per da­re più forza ai suoi argomenti, Assad ha an­che ribadito che il suo governo non è chiuso come altri alle istanze della primavera araba. Pur ammettendo i «molti errori» commessi dalle sue forze di sicurezza, anche se solo per colpire «terroristi», ha concluso: «Non siamo stati un governo testardo, ma sei giorni dopo l’inizio delle proteste ho avviato le riforme». Assad ha buoni motivi per essere in allar­me. Invece di placarsi sotto i colpi delle forze di sicurezza, che in sette mesi hanno ucciso oltre tremila persone e compiuto dodicimila arresti, la rivolta continua: solo venerdì scor­so, ci sono state altre 40 vittime, tra rivoltosi e forze dell’ordine.Molti soldati hanno diserta­to piuttosto di sparare sui loro concittadini e si stanno organizzando in una sorta di movi­mento partigiano, già in grado di compiere at­tentati. E a Istanbul opera un embrione di go­verno in esilio. Di fronte a una situazione così compromessa, i vicini della Siria hanno ina­sprito il loro linguaggio contro Assad, appli­cando sanzioni e minacciando forme non specificate di intervento.L’Occidente,appe­na conclusa l’avventura libica, vorrebbe evi­tare altre guerre e si limita per ora a imporre misure (abbastanza blande). Ma la Lega ara­ba ha preso posizioni inusitatamente dure contro un «paese fratello» e fatto capire che, se la repressione non cesserà e non sarà avvia­to un dialogo con l’opposizione sunnita, non potrà fare a meno di intervenire.
La minaccia più seria per il regime viene tuttavia dalla Turchia. Il premier Erdogan, fi­no a pochi mesi fa grande amico di Assad, gli ha voltato le spalle e- nella sua ansia di diven­tare il punto di riferimento per la primavera araba - si è messo a fare la voce grossa. Non solo Ankara ha accettato di ospitare il gover­no in esilio, ma ha anche aperto le frontiere ai siriani in fuga dalla repressione e provvedu­to segretamente a rifornire i ribelli di armi. Fin dove Erdogan sia intenzionato a spinger­si, rischiando il famoso «terremoto», non è dato di sapere. Ma la politica di forza pratica­ta dalla Turchia (vedi la faida con Israele) fa pensare che non lascerà le cose a metà.
Ci si chiede come mai il regime siriano, ba­sato sulla minoranza alawita che costituisce appena il dieci per cento della popolazione, sia riuscito a resistere per tanto tempo alla pressione della piazza. I suoi elementi di for­za sono tre: primo, una polizia bene addestra­ta e finora fedele al clan degli Assad, che ha stroncato nel sangue le rivolte scoppiate via via a Derraa, Homs, Hama e altre città; secon­do, la paura delle minoranze etniche e religio­se, curdi, alawiti, sciiti e cristiani, che il regi­me sunnita che probabilmente seguirebbe a quello attuale potrebbe limitare la loro liber­tà; terzo,l’appoggio della borghesia mercan­tile di Damasco e Aleppo, che sotto gli Assad ha prosperato. Se si profilasse la minaccia di un intervento straniero quei sostegni potreb­bero
svanire.

Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Assad minaccia l'Occidente, se intervenite sarà l'inferno "

WASHINGTON — Il presidente siriano Bashar Assad conosce le paure dell'Occidente. Suo padre, lo scaltro Hafez, le ha sfruttate per una vita. E dunque il «giovane» le evoca per tenere la comunità internazionale lontana dalla crisi in Siria.
Questa la sintesi del suo messaggio affidato con un'intervista al Sunday Telegraph: «Noi rappresentiamo una cerniera. Un intervento esterno causerà un terremoto. Volete avere un altro Afghanistan o decine di Afghanistan? Brucerà l'intera regione. Se volete dividere la Siria dividerete l'intero scacchiere».
Lo scenario che prospetta il dittatore è quello del caos. O peggio di un contagio che infiamma i paesi vicini. Dunque se gli occidentali volessero ripetere l'operazione Libia — come chiedono molti negli Usa — rischierebbero di trovarsi in mano una situazione esplosiva. Assad sembra attaccarsi al famoso detto arabo: «Meglio il Diavolo che conosco che l'Angelo che non conosco». E, in effetti, in alcune capitali, c'è il timore di favorire spinte radicali.
Inoltre le intelligence occidentali sanno bene che Damasco, per quanto debole, può affidarsi a iniziative clandestine. Da decenni finanzia gruppi terroristici o appoggia movimenti disposti a manovre diversive.
È il caso dei separatisti curdi del Pkk sostenuti nella lotta contro la Turchia, paese che fa da sponda al dissenso siriano. Agli inizi della rivolta, poi, i servizi segreti di Assad hanno mandato centinaia di attivisti palestinesi contro le posizioni israeliane sul Golan. Dimostrazione finita nel sangue.
Nell'intervista, il presidente ha riconosciuto di aver commesso «molti errori» nell'affrontare la piazza. Esilarante la spiegazione: «Abbiamo forze di polizia ridotte e siamo stati costretti ad impiegare l'esercito che è addestrato a combattere al Qaeda. Succederebbe la stessa cosa anche da voi». Peccato che la Siria disponga di una mezza dozzina di apparati di sicurezza e che la repressione letale — oltre 3 mila vittime — sia stata condotta con l'aiuto di una milizia fedele al clan alawita.
Assad, comunque, non appare disposto a cedere di un millimetro. Sostenendo la «differenza» del suo regime rispetto ad altri paesi, il presidente si è preso il merito di aver varato, immediatamente, delle «riforme» ma serve tempo per applicarle «in una società complicata». Discorsi che stridono con quanto avviene nelle città siriane dove ormai sono quotidiani gli scontri tra gruppi armati e le unità governative. L'inizio di quella che si avvia ad essere una vera guerra civile.

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