Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Inverno islamista, se ne sono accorti tutti Solo Repubblica continua a minimizzare. Commento di Andrea Morigi, cronaca di Giuseppe Sarcina
Testata:Libero - Corriere della Sera Autore: Andrea Morigi - Giuseppe Sarcina Titolo: «I tifosi della primavera si risvegliano nella sharia - Gli islamici tunisini: 'A noi la guida del governo'»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 27/10/2011, a pag. 21, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " I tifosi della primavera si risvegliano nella sharia ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 21, l'articolo di Giuseppe Sarcina dal titolo " Gli islamici tunisini: 'A noi la guida del governo' ". Ecco i due articoli:
LIBERO - Andrea Morigi : " I tifosi della primavera si risvegliano nella sharia"
Andrea Morigi, Bernard Guetta
Giunge perfino alle orecchie progressiste il grido della guerra santa. Da Tripoli soffia il vento della sharia. si attendono le prime impiccagioni. Se i nuovi padri costituenti modelleranno la carta fondamentale della Tunisia sul diritto coranico, anche sulle spiagge della costa si rischierà la lapidazione per adulterio. Ohibò, diranno le radical-chic in cerca di toyboy esotici sull’isola di Djerba. Ci si aspettava che alle soglie del potere si avvicinasse Rachid Ghannouchi, ma finora lo avevano descritto come un moderato. Chissà quando scopriranno che ha duemogli e difende due istituti giuridici della grande civiltà islamica, la poligamia e l’uccisione dell’apostata. Il Corano le consente e, se violano i dirittiumani,tanto peggio per questi ultimi. Poi magari finisce la pacchia anche a Sharm el-Sheikh. Dipende tutto da come vanno le elezioni in Egitto, dove i sondaggi sembrano indicare un’affermazione dei Fratelli musulmani. Rimangono solo i bastioni algerino e marocchino e poi, davanti alle nostre coste, ci sarà un califfato aggressivo e minaccioso, che ha già costruito qualche testa di ponte nel territorio dei miscredenti, la “casa della guerra”, come dicono loro. Cioè l’Italia, che dovrà cedere a causa della dipendenza petrolifera. MAMMA LI TURCHI! Dal Fatto quotidiano fino alla Repubblica, dal Manifesto a Liberazione passando per l’Unità risuona oramai un solo grido: «Mamma li turchi!». Sommessamente, per non cadere nella pericolosa spirale dell’islamofobia. Mica sono delle Fallaci qualsiasi i direttori dei quotidiani di sinistra e i loro editorialisti. Però rischiano il contagio con quei titoli tipo: «Primavera araba, autunno islamico? » che campeggiava ieri sul quotidiano diretto da Ezio Mauro. Tranne quel punto interrogativo, lo si sarebbe potuto già leggere su Libero, oltretutto anticipato di diversi mesi. Tocca prendere le distanze. Ci pensa Bernard Guetta, con il suo commento sul risultato delle urne tunisine: «Ha vinto una destra reazionaria ma non è la jihad al potere». Guarda al bicchiere mezzo pieno di consensi ai partiti laici. Lo vede mezzo vuoto perché non solo l’altra metà dei voti sono andati al partito dei fondamentalisti islamici, ma perché la sinistra non è riuscita a unirsi. Divisa, rischia di soccombere dinanzi a «una destra tanto più preoccupante in quanto crede di avere ilmonopolio della morale». Insomma, l’islam è diventato di destra. Chissà come mai i Fratelli Musulmani organizzati, in Italia, sono soliti invece candidarsi per Sinistra e Libertà, nelle liste gentilmente messe a disposizione da Giuliano Pisapia eNichi Vendola. Finché sono in Italia, nella prospettiva della concessione del voto agli immigrati in funzione anti- Berlusconi, sono accettati come compagni e poi abbracciaticome fratelli. C’è anche chi è disposto a difendere il burqa, purché sia indossato qui, sul territorio italiano. Urge chiarimento con il deputato democratico, vicepresidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Roberto Zaccaria, perché illustri la ragione per la quale si ostina, pervicace, a combattere contro la legge che vieta l’utilizzo del velo integrale, in questi giorni all’esame della Camera dei Deputati. È pur sempre un elemento di sharia. E una fatwa tira l’altra, com’è noto. Una spiegazioneper l’atteggia - mento bifronte della sinistra italiana, mediatica e politica, si trova. È che non riescono a prestare orecchio ai consigli che provengono dai moderati. Se una donna araba, come la parlamentare del PdL Souad Sbai, lancia l’allarme sul cancro dell’integralismo islamico che avanza, naturalmente non l’ascoltano. Èdi destra anche lei, in fondo. JIHAD IN CASA NOSTRA Hanno un’altra occasione, tuttavia. Provino a considerare la proposta di Gamal Bouchaib, presidente dei Musulmani Moderati, perché si adotti «un provvedimento che escluda la cittadinanza anche per chi si candida nel nostro Paese con partiti estremisti e jihadisti che non rispettano i principi di libertà e uguaglianza dell’ordinamento italiano». È il caso di Ennahda, le cui percentuali di successo all’interno della comunità dei tunisini immigrati in Italia sono largamente superiori al consenso nella madrepatria. Si sta allevando in Italia, insomma, la futura classe dirigente fondamentalista dei Paesi arabi. Solo quandosi autodeterminano a casa loro, il discorso cambia. Sembra una specie di neo-colonialismo di ritorno, dietro il quale si nasconde il timore egoistico di rimanere con i serbatoi a secco. Sui diritti umani si transige, purché gasdotti e oleodotti continuino a pompare.
CORRIERE della SERA - Giuseppe Sarcina : " Gli islamici tunisini: 'A noi la guida del governo' "
Rachid Gannouchi
TUNISI — Gli islamici hanno stravinto e ora vogliono, com'è naturale, guidare il governo. Per tutta la giornata di ieri i tre computer (proprio così, solo tre) a disposizione dell'Isie (l'Istanza superiore di garanzia per le elezioni) hanno sgocciolato, uno a uno, i dati sulla ripartizione dei 217 posti dell'Assemblea costituente. Un conto lunghissimo, tormentato da possibili brogli. I risultati finali, è l'annuncio ufficiale, dovrebbero essere comunicati soltanto domani. Ma pur nella coda (prevedibile) di ricorsi e micro presidi di protesta, nessuno può contestare la sostanza del voto. Ennahda ha già conquistato 82 seggi. E' il partito cardine della nuova Tunisia, e il suo leader storico, Rachid Gannouchi ne dà piena dimostrazione fin dalla mattina, rivendicando la carica di primo ministro per il segretario Hamadi Djebali. Certo, Gannouchi apre all'ipotesi di un governo «di vasta coalizione», e propone come presidente della Repubblica «di garanzia», l'attuale premier pro tempore Beji Caid Essebsi. Ennahda, dunque, non si nasconde. Al contrario, dichiara lo stesso Djebali alla tv satellitare Al-Arabiya, «il partito è pronto a guidare il Paese». Ora, il problema non è tanto con chi. Il secondo partito classificato, il Cpr (Congresso per la Repubblica) è lontanissimo: 27 voti, ma, soprattutto, non ha alcuna intenzione di rimettere insieme i frammenti modernisti in un blocco da contrapporre agli islamici. Ieri mattina il leader Moncef Marzouki ha ripetuto all'infinito un concetto: «Abbiamo già avviato il confronto con Ennahda. È un partito moderato con cui si può governare». E, quando arriva il turno del Corriere, Marzouki si lancia su scivolose similitudini: «Ennahda è paragonabile alla Democrazia cristiana ai tempi di Aldo Moro. E non esiste un solo Islam, come non esisteva un solo comunismo. Non possiamo mettere sul medesimo piano gli estremisti radicali e gli islamici moderati. Sarebbe come considerare nello stesso modo Pol Pot e Berlinguer». Comunque sia, riferimenti storici a parte, una cosa si è capita: i dirigenti degli altri 3-4 partiti ammessi alla Costituente sono già in coda davanti agli uffici di Gannouchi e di Djebali. Il numero uno di Ettakatol (altra formazione di centro sinistra, 17 seggi secondo gli ultimi parziali) Mustafa Ben Jafaar, si è addirittura candidato alla presidenza della Repubblica. Nel futuro emiciclo non ci sarà molto altro di politicamente significativo. C'è la sorpresa della lista Petition Populaire guidata dall'imprenditore Hachmi El Hamdi, che ha condotto una spregiudicata campagna elettorale utilizzando la sua televisione satellitare (Tv libre) con base a Londra. El Hamdi, vecchio sodale del dittatore Ben Ali, rischia di perdere tutti o buona parte dei 18 seggi conquistati per aver infranto le regole elettorali. In realtà, la dinamica politica è già oltre la questione delle alleanze. Ennahda, dunque, dà le carte, d'accordo. Ma per fare cosa? Leggere «il programma dei 365 punti» presentato a settembre dagli islamici è un esercizio poco produttivo. «Democrazia parlamentare», «rilancio dell'economia», sono contenitori tanto condivisi, quanto generici. Il governo dovrà fronteggiare, innanzitutto, la crescente disoccupazione giovanile che sta corrodendo la tenuta sociale del Paese (leggi, in particolare, immigrazione clandestina verso Italia e Europa). Nello stesso tempo Ennahda, ogni giorno, sarà chiamata a superare il test di affidabilità democratica. Donne, velo, ma anche scuola, divorzio. L'opinione pubblica laica è delusa, ma ancora iper vigile. Basta una parola ambigua di Gannouchi (ieri ha detto: «Noi siamo arabi e la nostra lingua è quella araba») per rilanciare la complicata discussione sull'identità della nuova Tunisia.
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