Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/10/2011, a pag. 21, l'articolo di Massimo Nava dal titolo " Barbe, veli e fumetti vietati. La nuova Tunisia spaventa le donne ".


Tunisia Rached Ghannouchi, leader del partito islamista Ennahda
La sfortuna della primavera araba è di coincidere con il momento più critico dell'Europa. Da dove tutto è cominciato — dalla piazza ribattezzata 14 gennaio, il giorno della caduta di Ben Ali — l'Europa appare lontana e attendista, quando ci sarebbe invece bisogno di coraggioso sostegno: «Alla Grecia miliardi, a noi che abbiamo sempre onorato i debiti, solo pochi milioni», dice il ministro del turismo, Mehdi Houas, giovane manager che come tanti espatriati ha lasciato i propri affari per mettersi al servizio del Paese. «Senza ambizioni politiche», precisa, perché nessun ministro del governo provvisorio sarà candidato alle elezioni di domenica 23 ottobre, le prime davvero libere, dopo gli 8.395 giorni della dittatura che ha depredato la Tunisia e soffocato una generazione. A ben vedere, le prime dalla notte dei tempi, poiché i tunisini hanno conosciuto soltanto dominazioni, paternalismo coloniale e dittature. Domenica scorsa, nella centrale avenue Mohamed V, si è avuto un assaggio della posta in gioco. Un gruppo di salafiti ha dato l'assalto agli uffici di Nessma Tv, «colpevole» di aver diffuso Perse-polis, l'irridente cartoon della regista iraniana Marjane Satrapi che racconta la storia di una giovane emancipata in fuga dall'oscurantismo degli ayatollah. Ci sono stati scontri con la polizia, arresti, proteste, accorati appelli alla libertà d'espressione, ma anche le scuse per la provocazione. Nulla di paragonabile a quanto accade al Cairo, ma una conferma — con altri segnali, dalla microcriminalità alla propaganda di estremisti e nostalgici del regime — che se la rivoluzione è stata rapida e quasi indolore, il domani sarà lento e complicato dallo scontro sul modello di Paese. Le condizioni economiche in cui la Tunisia è precipitata in questi mesi non aiutano. Il turismo è crollato per troppi spot negativi. Migliaia di giovani diplomati aspettano il futuro nei caffè di avenue Bourghiba, fra palazzi moderni e architetture del primo novecento. Tradiscono impazienza, cominciano a chiedersi per che cosa abbiano fatto la rivoluzione, mano nella mano, nelle piazze, e se il cambiamento non sia virtuale, come quello cominciato su Facebook. Ma il loro sangue era vero. I blindati della polizia si mescolano al traffico caotico. Molti edifici pubblici sono circondati da filo spinato, ma più lontano, sulla costiera, discoteche e negozi hi-tech dicono che il futuro è già cominciato in queste notti di musica e libertà. Nelle campagne e nei quartieri diseredati della capitale, il popolino è sensibile alle sirene della tradizione. Sul piccolo Paese pesano turbolenze e calcoli dei Paesi vicini: l'Algeria teme il contagio della libertà, le stragi in Egitto amplificano le paure dell'islamismo radicale, la Libia ha rovesciato quasi un milione di profughi e migranti di ritorno: un'ondata che dovrebbe far riflettere quanti strillano per Lampedusa, anche se i libici ricchi hanno riempito alberghi e fatto lievitare il prezzo degli affitti. Per la ripresa è decisivo il concorso dell'Europa. L'Italia in particolare è nel cuore della gente, più della Francia che si preparava a sostenere la repressione. Le imprese italiane danno lavoro a sessantamila tunisini. «E nessuna ha lasciato il Paese», fa notare l'ambasciatore Pietro Benassi. Il ministro delle Finanze, Jaloul Ajed, banchiere ed economista formatosi negli Usa, ha architettato un fondo da cinque miliardi per favorire investimenti privati e creare un milione di posti di lavoro nei prossimi sei, sette anni. «Se si consolida la democrazia, con un governo forte e legittimato dal consenso popolare, la Tunisia ha le risorse intellettuali e le condizioni infrastrutturali per attrarre capitali e risorgere». L'elezione dell'assemblea costituente è al tempo stesso arena delle regole del gioco e contesa politica anticipata, con oltre cento partiti e un migliaio di liste. La fame arretrata di libertà ha moltiplicato programmi e ambizioni, ma accentua il rischio ingovernabilità. La proporzionale pura produrrà un parlamento con tante voci e cacofonie, su cui potrebbe emergere la forza più radicata nel territorio, «Ennhadha», partito d'ispirazione islamica. Il leader storico, Rached Ghannouchi, predica tolleranza e indica il modello turco di Erdogan, ma avversari politici e osservatori denunciano doppiezza di linguaggio. «Quelli di Ennhadha regalano soldi, latte, vestiti in cambio di voti. Se vincono, questa sarà la mia ultima sigaretta in pubblico», dice una studentessa, sul lungomare di Sidi Bou Said, quartiere gioiello della capitale, dove abitano gomito a gomito figli della borghesia progressista e arricchiti del regime. «Conosco Ennhadha dall'interno, per anni abbiamo fatto fronte comune contro Ben Ali, in molti hanno sofferto galera e repressione. Logico che abbia seguito, ma oggi è una minaccia per la Tunisia moderna e per la primavera araba. Non vogliamo dare ragione a scettici e nostalgici della stabilità poliziesca», dice Mongi Ellouze, direttore della campagna elettorale del Pdp, il partito democratico del progresso, forza centrista che si prepara a costruire un fronte di più partiti i cui capisaldi siano «la natura del sistema politico, le priorità economiche e la separazione dello Stato dalla religione». Il fronte punta a confermare principi della vecchia costituzione, che indica l'Islam come religione della Tunisia, ma non di Stato, e garantisce libertà di coscienza. Il Pdp con gli alleati spera di ottenere la maggioranza relativa. Molto dipenderà dal voto delle donne. Nelle liste sono il 5o per cento, come vuole la legge sulla parità, ma poche saranno elette, dal momento che nessuna è testa di lista e molti partiti otterranno al massimo un seggio. «La tentazione oscurantista è il grande paradosso della rivoluzione. C'è una Tunisia maschilista e patriarcale che associa la dittatura alla modernità. Il voto dividerà le famiglie. Ci sono forze estremiste che non vogliono che la Tunisia sia un simbolo di progresso e libertà per tutto il mondo arabo. Ma sono ottimista: siamo il Paese arabo che ha fatto molte cose prima di tutti: l'abolizione della schiavitù e della pena di morte, la prima costituzione con Annibale. Le donne sono inserite nella società e nel mondo del lavoro, non si lasceranno trascinare indietro», afferma Bochra Belhaj Hmida, attivista per i diritti umani dal tempo di Bourghiba. Nata in periferia dalla disperazione economica, la rivoluzione si è saldata ai sogni di libertà dei ceti urbani e di una generazione cresciuta nella paura. «Ma occorre garantire la libertà effettiva, quella che tutela il bene comune, la certezza del diritto, il lavoro e l'impresa. L'eredità del regime è la distruzione dell'etica collettiva, sostituita da corruzione e interesse individuale», racconta il ministro della Cultura, Azedine Beschaouch, famoso archeologo, personalità fra le più amate della nuova Tunisia. Oggi batte per restituire al patrimonio nazionale terreni archeologici, sui quali amici di Ben Ali avevano costruito ville e condomini. Dice: «Dobbiamo tornare al tempo in cui Roma e Cartagine si scambiavano commerci e cultura e il Mediterraneo era il grande lago della prosperità. Annibale parlava il greco e il latino, come i nostri giovani parlano francese, italiano, inglese. Poi la Storia dei vincitori raccontò che i cartaginesi erano barbari, incolti e facevano sacrifici umani...». Ma è la geografia che fa la Storia. Non il contrario.
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