Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Egitto, più che 'primavera' araba, golpe islamista analisi di Daniele Raineri, Vittorio Dan Segre, Carlo Panella. Intervista a Naguib Gobrail di Gian Micalessin
Testata:Il Foglio - Il Giornale - Libero Autore: Daniele Raineri - Vittorio Dan Segre - Carlo Panella - Gian Micalessin Titolo: «Macché libertà, in Egitto i generali non mollano - Strage di cristiani, l’Occidente deve svegliarsi - Dopo il terrore arriverà la pulizia etnica»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 11/10/2011, a pag. 1-III, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " Com’è andato il golpe islamista in Egitto che ora imbarazza Obama". Dal GIORNALE, a pag. 15, l'articolo di Vittorio Dan Segre dal titolo " Macché libertà, in Egitto i generali non mollano ", a pag. 14, l'intervista di Gian Micalessin al procuratore Naguib Gobrail dal titolo " Dopo il terrore arriverà la pulizia etnica ". Da LIBERO, a pag. 23, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Strage di cristiani, l’Occidente deve svegliarsi ". Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " Com’è andato il golpe islamista in Egitto che ora imbarazza Obama"
Daniele Raineri
Il Cairo, dal nostro inviato. I ragazzini copti tirano le pietre e si fanno il segno della croce, tirano altre pietre e fanno un altro segno della croce. Credono tutti, i copti della grande processione di domenica sera, con i preti con le stole, le croci illuminate dalle lampadine e lo striscione bianco “martiri a richiesta”, che l’unico attacco sia quello di benvenuto che subiscono appena varcati i confini di Shoubra, uno dei quartieri in cui sono maggioranza. Piovono sassi da sopra il cavalcavia, loro rispondono, poi nient’altro. Cantano contro al Mushir, come lo chiamano con cautela piena di cerimonie le radio e le tv, ovvero il maresciallo di campo generale Tantawi, e cantano anche “Questa è la nostra terra”. Passano piazza Galaa al tram o n t o , q u e s t a volta dal corteo vola un solo colpo di pietra simbolico contro la porta della redazione di al Ahram, per gli articoli troppo a sfavore quando – e se – racconta le violenze sui copti. A Maspiro, sul lungo Nilo, c’è la fila di vecchi blindati sovietici alti due metri. L’esercito di al Mushir Tantawi ha mezzi molto più moderni, americani, ma per non imbarazzare la Casa Bianca, che ogni anno dona due miliardi di dollari ai militari egiziani, non li usa in città e soprattutto non per i compiti antisommossa. Tira fuori i mezzi più obsoleti, per evitare che le tv possano inquadrare veicoli americani in azione contro gli egiziani. Dall’altra parte della strada c’è il palazzo della televisione, uno degli edifici più brutti del mondo, circondato da filo spinato e cancelli di ferro. In mezzo i copti. I militari non contengono più la folla, si fanno prendere dal panico. I blindati partono e muovono su e giù sulla strada, chi non riesce ad appiattirsi ai lati sparisce sotto le ruote. Dalla cima delle torrette sparano. Morti e feriti finiscono all’ospedale dei copti, dove si capisce subito che tipo di “scontri” sono: soldati contro civili a piedi. La corrispondente del Christian Science Monitor, Kristen Chick, racconta di corpi scoppiati dal peso dei blindati e di Vivian che tiene la mano del fidanzato morto Maikel, la foto dei due per terra nell’obitorio sta diventando l’immagine simbolo. Dai ponti sul Nilo centinaia di egiziani osservano Maspiro attraverso il velo dei lacrimogeni: le fiamme, le macchine, le manganellate. I copti reagiscono, salgono su un blindato, lo incendiano, muoiono quattro soldati. Dopo i morti, le cose prendono la forma di un golpe: le forze di sicurezza occupano le sedi di due emittenti televisive che stanno trasmettendo in diretta le immagini: una, al Hurra, è finanziata dagli americani. Accade così che l’esercito finanziato da Washington censura una tv pagata da Washington. I soldati occupano le strade del centro e sgombrano piazza Tahrir sparando in aria, circolano voci insistenti di corpi di manifestanti gettati in acqua per sottrarli alla vista della gente. Il governo dichiara il coprifuoco tra le 2 e le 7 di mattina. La tv di stato sostiene con un titolo rosso a tutto schermo e senza vergogna: “Diciannove soldati uccisi dai copti”; lo speaker invita la gente a scendere nelle strade per difendere l’esercito dell’Egitto dall’agressione dei copti – anche se è chiaro che la maggioranza dei morti è copta. Ieri mattina, infine, è arrivata anche l’immancabile allusione alla “mano straniera” che giustificherebbe la mano pesante dei militari. Addirittura circola la voce di truppe americane pronte a essere schierate in difesa delle chiese. Si è trattato di un coup anomalo, perché il regime militare il potere l’ha già e sta tentando ora di prolungarlo e di conservare un ruolo autonomo al di sopra del potere civile. L’appello all’islam e al pericolo inesistente del dilagare dei cristiani è stato infallibile: in piazza sono davvero scese bande di cittadini aizzati dalla polizia, s’è scatenata una caccia ai cristiani, “cristiani dove siete, qui c’è l’islam”, gridavano. I copti si sono difesi vigorosamente, aiutati da altri giovani musulmani che cantavano “cristiani e musulmani una sola mano”, come ai tempi che oggi sembrano remoti della rivoluzione ecumenica di febbraio. La Fratellanza musulmana sta facendo le cose con un proprio partito, nell’ambito della gara politica, e per questo negozia e si scontra quasi ogni giorno con i generali. Questa del Supremo consiglio delle Forze armate è invece una deriva autoritaria, che s’alimenta di tensioni religiose e ideologiche (come nel caso dell’assalto all’ambasciata d’Israele). Si crede che l’Egitto possa essere diretto verso il modello turco, un partito islamico di maggioranza impegnato a contendere legge dopo legge il territorio ai laici. Invece è più diretto verso il modello algerino: una giunta militare disposta alla violenza, in questo caso a passare con i mezzi blindati sopra a una processione dei cristiani copti pur di mantenere il potere. La settimana scorsa il capo del Pentagono, Leon Panetta, è arrivato al Cairo per fare sentire di nuovo l’influenza dell’Amministrazione Obama, ma da ieri il dossier egiziano finisce a fare compagnia a quello pachistano nel cassetto dei più delicati.
Il GIORNALE - Vittorio Dan Segre : " Macché libertà, in Egitto i generali non mollano "
Vittorio Dan Segre
Nel luglio 1952, a seguito della rivolta militare che detronizzò re Faruk d’Egitto, un segretario d’ambasciata italiana al Cairo (molto rispettato dagli inglesi per il ruolo militare avuto contro di loro in Eritrea) chiese all’ambasciatore britannico. «Chi pensa ci sia dietro il generale Naguib leader della rivolta?». «Lo ignoriamo. È gente che non si vede ai cocktails», fu la risposta. Nel leggere le drammatiche e per il momento ancora confuse notizie che giungono dalla capitale egiziana dove oltre 30 persone sono morte e diecine sono state ferite domenica, in scontri triangolari fra cristiani-musulmani e truppa, vien voglia di porre la stessa questione: chi sta veramente dietro a queste violenze che rischiano non solo di soffocare la rivolta che ha detronizzato il faraone Mubarak, ma scuote la compagine socio economica e l’identità stessa dell’Egitto arabo. Molti indizi fanno pensare che: 1) Interessati a creare il caos siano anzitutto elementi radicali all’interno di Fratelli musulmani. Il movimento in un primo tempo ha esitato a unirsi coi giovani rivoluzionari laici e liberali di piazza Tahrir; poi visto da che parte tirava il vento, si è associato ai rivoltosi, accettando la collaborazione di quei copti che sostenevano l’idea di un fronte unito copto-islamico, nonostante molti temessero che la caduta del regime di Mubarak sarebbe stata una calamità per i cristiani. Infine, gettata la maschera si stanno dichiarando apertamente anti democratici, anti occidentali e naturalmente anti Israele. È quello che sta succedendo in una partita tutt’altro che chiusa. 2) Secondariamente a essere interessato ai disordini appare un certo numero di «cani sciolti» più o meno legati al vecchio partito unico di cui i figli di Mubarak erano importanti fattori. I figli sono ora in prigione ma le strutture frantumate e delegittimate del partito tentano di riorganizzarsi in vista delle elezioni alla Camera bassa del Parlamento previste per la fine di novembre. Con loro collaborano elementi della polizia e i «bastonatori» del vecchio regime che si sentono frustrati minacciati tanto dai rivoluzionari «laici» che da quelli religiosi. 3) Infine la giunta militare. Si è autonominata a autorità suprema per realizzare la «ordinata e pacifica» transizione dei poteri. È una accolita di 20 generali compromessi col vecchio regime, coinvolti in interessi economici e spaventati dalla deriva di insicurezza di economia e di perdita di prestigio in cui sta scivolando il paese. Procede a piccoli passi, esitante, contraddicendosi, mantenendo molte delle misure antidemocratiche del passato regime (legge di emergenza, tribunali militari per civili, maldestra difesa di bersagli impopolari - come i cristiani, l’ambasciata di Israele e trattato di pace con esso) conscia del fatto che se gli egiziani sono favorevoli a qualsiasi governo capace di garantire la sicurezza interna e a frenare la deriva economica, i generali e in particolare il Maresciallo Tantawi non possiedono l’autorità morale e militare per assumere tale responsabilità nazionale. I generali sono l’opposto degli «Ufficiali Liberi» di Nasser che nel 1952 avevano tutto da guadagnare e nulla da perdere. Una cosa appare abbastanza probabile: rivolta laica o islamica, rivolta con i social network o contro di essi, in Egitto i militari resteranno al potere qualsiasi dei nove potenziali candidati alla presidenza venga eventualmente eletto. Ma quali militari? I venti generali dell’attuale giunta o i tenenti e capitani vicini alla truppa e in gran parte infiltrati dall’islamismo radicale? Per il momento questi sono uomini senza volto ma con le armi a disposizione e decisi a usarle. Non sono ancora apparsi ai cocktail e alla tv. Non stupiamoci se presto lo faranno.
LIBERO - Carlo Panella : " Strage di cristiani, l’Occidente deve svegliarsi "
Carlo Panella
Una sola cosa è chiara nella strage di cristiani al Cairo di domenica sera: a uccidere sono state le forze speciali dell’esercito egiziano comandato dal feldmaresciallo Hussein Tantawi. Sicuramentegli incidentisonoscoppiati in seguito alle provocazioni di gruppi di islamisti - o forse di seguaci di Hosni Mubarak - che hanno attaccato il corteo dei copti che protestava contro la distruzione della chiesa di Assuan. Ma a sparare ad altezza d’uo - mo uccidendo 24 cristiani e ferendone200 sono stati gliuomini in divisa. Questo è l’elemento chiave per comprendere quanto sta avvenendo in Egitto, cosa resta - poco - delle speranze della primavera araba e per mettere a fuoco le responsabilità di un occidente ignavo che, a partire da Barack Obama, per finire alla Ue, continuaa finanziare irresponsabilmente il nuovo regime egiziano, composto solo da gerarchi militari del vecchio regime, senza porre alcuna condizione, limitandosi a parole di condanna a cui non segue nessuna ritorsione. Il vescovo di Giza, monsignor Antonios Aziz Mina, ai microfoni della Radio Vaticana è stato chiarissimo: «Se le forze di sicurezza egiziane avessero assunto una posizione contro coloro che hanno distrutto le chiese, non saremmo mai arrivati a tutto questo! Se si lascia fare, senzaordine esenza applicare la legge, si finisce per avere una situazione di persone incontrollabili; sono arrivati ad uccidere alcuni cristiani innocenti. Più che paura, ci sono preoccupazioni per il futuro:non sappiamo dove andremo, perché se continuiamo così non c’è né diritto, né giustizia». Il fatto è che le attuali strutture del potere in Egitto, continuano nella stessa pratica di discriminazione dei cristianiche hannosemprepraticato e che hanno fatto già centinaia di vittime. Lo stesso incendio della chiesa di Assuan, è stato di fatto innescato dalle parole pronunciate dal “nuovo” governatore della regione, Mostafa el Sayyed, che ha detto che la chiesa era costruita senza permessi: dichiarazione che ha legittimato gli islamisti che l’han - nosubito distrutta . Un gioco delle parti abituale tra “nuovi governanti” e islamisti. D’altron - de, il nuovo premier del governo Sharaf non ha mai revocato - nonostante abbia promesso più volte di farlo - le restrizioni in vigore per i cristiani, abolendo la legge che risale ai tempi dell'Impero Ottomano, che impone ai cristiani un'autorizzazione per costruire, riparare o restaurare una chiesa. Una legge che Hosni Mubarak si era ben guardato dall’abrogare per non avere guai anche con il cosiddetto “islam moderato”di cui la moschea di al Azhar dovrebbe essere a capo. Ma così non è, tanto che proprio il grande imam di al Azhar, Ahmad al Tayyeb ha interrotto con parole ignobili ogni rapporto col Vaticano, accusando papa Benedetto XVI di «indebita ingerenza negli affari interni dell’Egitto», solo perchéaveva chiesto che i cristiani vi fossero protetti dopo l’atten - tato kamikaze alla chiesa dei Santi di Alessandria che aveva fatto 21 vittime il 1 gennaio 2011. Ieri Barack Obama si è dichiarato «fortemente preoccupato delle violenze in Egitto e le tragiche perdite di queste ore tra i dimostranti» e anche l’Ue ha espresso unanime condanna.Ma solo a parole. Pure, il “nuovo Egitto” vive di consistenti aiuti erogati dagli Usa (2 miliardi di dollari a fondo perduto per due terzi destinati ai generali al potere) e dalla Banca europea di investimenti (Bei), che un mese fa ha deciso di raddoppiare i finanziamenti agevolati (di fatto, a fondo perduto) all’Egitto, portandoli a 3 miliardi di dollari per il 2011. Non solo, nell’ultimo G8 in Francia si è stabilito un ulteriore finanziamento di 20 miliardi per EgittoeTunisia per iprossimianni. Una mole di erogazioni senza condizioni, nella incosciente speranza che la democrazia e la fine delle persecuzioni dei cristiani, germinino da sole.Così non sarà. È saggio aiutare l’Egitto, ma è ancora più saggio farlo a condizione che cessi la persecuzione dei cristiani. Con chiarezza, spiegando che in caso contrario la messe di aiuti dall’occidente cesserà.
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Dopo il terrore arriverà la pulizia etnica "
Naguib Gobrail
«Sono stato ferito anch'io, ho passato la notte all'ospedale, ma adesso sto meglio. Ieri è stato terribile. L'esercito sparava su chiunque. I soldati prima hanno puntato i loro blindati contro il corteo poi hanno aperto il fuoco con i mitra. Lì in mezzo c'erano più di diecimila persone ed erano tutti disarmati. Credetemi l'ho visto con i miei occhi nessuno aveva un'arma, nessuno sparava, era una dimostrazione pacifica». Il procuratore Naguib Gobrail, presidente dell'Unione egiziana per i diritti umani e della Corte del Cairo del Nord è ancora sconvolto. Ha visto i morti attorno a s´. Ha trascorso la notte all'ospedale assieme alle centinaia di feriti caduti sotto i colpi della polizia. «L'esercito - spiega in questa intervista telefonica a il Giornale - ha sparato perch´ sa di non potersi più nascondere. Da mesi gli chiediamo conto della sua indifferenza. Da mesi gli chiediamo perch´ assista senza muovere un dito agli assalti dei salafiti contro i quartieri e le case cristiane. Stavolta i cristiani copti non erano più disposti ad aspettare. Sono scesi in piazza, hanno marciato verso il centro del Cairo perch´ pretendono una risposta, esigono di sapere la verità». Quale verità? «Vogliono sapere perch´ nessuno ha fermato gli estremisti musulmani responsabili del rogo della chiesa di Mari Girgis nella provincia di Assuan. Vogliono sapere perch´ il governatore di quella provincia è ancora al suo posto. Quel governatore ha proibito ai cristiani di ampliare la chiesa e quando i copti hanno protestato ha permesso ai salafiti di bruciarla». Ma che ragione c'era di aprire il fuoco contro il corteo se era pacifico? «La giunta militare non poteva più rifiutarsi di rispondere alle richieste dei copti. Così hanno creato un incidente per metterli sotto accusa e delegittimarli. È stata chiaramente una provocazione. I militari avevano già organizzato tutto. Vogliono metter sotto accusa i copti, dimostrare che sono pericolosi quanto i fondamentalisti musulmani». Ma perch´ i militari dovrebbero avercela con i cristiani? «È chiaro stanno dalla parte dei più forti, i musulmani, e lasciano mano libera ai salafiti per non aver problemi. I copti rischiano di essere vittime di una vera e propria pulizia etnica». Cosa significa? «Significa che li stanno costringendo ad andarsene. Significa che i cristiani hanno paura perch´ non si sentono più a casa loro e incominciano a fuggire all'estero». È iniziata una vera persecuzione? «I cristiani in molte zone vivono già nella paura. Le ragazze copte sono costrette a mettersi il velo per poter andare a scuola, gli uomini vengono minacciati e invitati ad andarsene». C'è il rischio di un vero e proprio esodo? «L'esodo mi creda è già incominciato. Secondo i calcoli della nostra organizzazione da marzo ad oggi oltre 100mila cristiani hanno fatto le valige ed hanno lasciato l'Egitto. In questo clima di terrore rischiamo che diventino 250mila entro la fine dell'anno. L'obbiettivo dei salafiti è proprio farli fuggire. E i militari con la strage di ieri stanno contribuendo a garantire quel risultato».
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