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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
10.10.2011 Il Cairo, l'esercito spara su una manifestazione di copti. 174 feriti, 23 morti
Ecco l'inverno islamista delle rivolte arabe

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Francesca Paci - Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Scontri tra copti e polizia Al Cairo, ventidue morti - La rivoluzione di Piazza Tahrir ha tradito la minoranza cristiana»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 10/10/2011, a pag. 14, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Scontri tra copti e polizia Al Cairo, ventidue morti ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 19, il commento di Cecilia Zecchinelli dal titolo " La rivoluzione di Piazza Tahrir ha tradito la minoranza cristiana ".
Ecco i due articoli:

La STAMPA - Francesca Paci : " Scontri tra copti e polizia Al Cairo, ventidue morti "

Ameno di due mesi dalle prime elezioni dell’Egitto post-Mubarak, il Cairo assiste smarrito agli scontri di piazza più violenti dai giorni della rivoluzione. Per ore, ieri, davanti al palazzo della televisione di Stato, militari in assetto bellico hanno fronteggiato migliaia di copti che chiedevano giustizia per la chiesa incendiata la scorsa settimana dagli islamisti nella provincia di Assuan. Il bilancio provvisorio è di 174 feriti e almeno 23 morti (di cui 18 tra le fila dei manifestanti): quello definitivo potrebbe assestare un colpo durissimo al fragile equilibrio interreligioso del Paese.

«Siamo stati attaccati» ripete al telefono un attivista copto che da settimane denuncia le pressioni crescenti da parte dei gruppi islamici più radicali e la corrispettiva strisciante nostalgia della sua comunità per il regime di Mubarak. Come altri testimoni, racconta che la protesta è iniziata nel quartiere copto di Shubra e che mentre il corteo si dirigeva verso palazzo Maspero, la sede della tv pubblica a un paio d’isolati da piazza Tahrir, sarebbe stato attaccato con bottiglie molotov, pietre e forse armi. Solo a quel punto i dimostranti avrebbero reagito alla provocazione dei «teppisti al soldo dei controrivoluzionari» per finire nel giro di poco tempo circondati dalle forze dell’ordine e bersagliati di lacrimogeni.

Diversa la versione dell’esercito, da nove mesi alla guida provvisoria del Paese: mentre i soldati sparavano in aria per disperdere la folla qualcuno avrebbe aperto il fuoco contro di loro utilizzando, probabilmente, le munizioni recuperate nel blindato della polizia nel frattempo dato alle fiamme. «Non li colpiremmo mai, sono egiziani come noi, l’esercito ha dato prova di patriottismo sostenendo la rivoluzione» spiega concitatamente una fonte militare, confutando non solo la ricostruzione della giornata ma la sempre più diffusa diffidenza popolare verso l’operato degli ex eroi in uniforme. In serata il premier, Essam Sharaf, ha invitato la minoranza cristiana e i musulmani a «non cedere agli appelli alla sedizione», perchè quello «è un fuoco che brucia tutto e non fa differenze tra di noi».

I copti rappresentano circa il 10 per cento della popolazione egiziana e da anni puntano inascoltati l’indice contro la discriminazione da parte della maggioranza musulmana. A fine gennaio, dopo un inizio d’anno funestato dall’attentato alla chiesa ortodossa di Alessandria, si erano uniti con entusiasmo alla piazza che avrebbe poi defenestrato Mubarak scommettendo sull’unità nazionale. Allora insieme alle t-shirt con la parola hurrya (in arabo «libertà») andava per la maggiore la bandiera con la croce copta incrociata alla mezzaluna islamica, simbolo d’una intesa assai più profonda del nome dato a Dio. Invece, così come le speranze dei liberali e dei laici, quelle dei copti sono andate pian piano a cozzare con l’agenda dei partiti religiosi tradizionali, leali compagni di strada fino al crollo del regime e poi dichiarati avversari politici e sociali. Senza contare il risveglio salafita, la corrente più estrema dell’islam alla destra dei Fratelli dei Musulmani, rinvigorita dallo sdoganamento assicurato dall’Egitto liberato e ossessionata dalla messa al bando degli infedeli.

Pur condannando la timidezza sospetta dell’esercito nel reprimere le sempre più numerose schermaglie interreligiose, gli egiziani che il 17 febbraio scorso hanno brindato al nuovo corso del Paese continuano a scommettere sulla via democratica, come dimostrano i circa tremila tra musulmani e cristiani che ieri sera, alla notizia degli scontri, si sono radunati in piazza Abdel Moei Ryad, nei pressi del museo egizio, per scandire slogan sull’amicizia tra le due religioni tipo «Musulmani e copti, una sola mano». Ma a tarda sera, vicino all’ospedale, si registravano di nuovo violenze tra i due gruppi. La paura, oggi dilagante, è che l’esercito giochi su più tavoli e usi il pugno di ferro contro chi insiste ad opporsi alla restaurazione, laici, partiti di sinistra o all'occorrenza copti.

CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : "  La rivoluzione di Piazza Tahrir ha tradito la minoranza cristiana "

Avevano sperato, perfino creduto in molti che la Rivoluzione del 25 gennaio avrebbe cambiato profondamente l'Egitto anche per loro. La minoranza copta egiziana, stimata nel 10% degli 82 milioni di abitanti del grande Paese arabo, era scesa massiccia nelle strade, aveva pregato fianco a fianco dei «fratelli» musulmani, perfino organizzato il servizio d'ordine per difendere quest'ultimi mentre s'inginocchiavano invocando Allah in piazza Tahrir, ricambiati quando toccava a loro. E già com'era stato dopo l'attentato alla messa di Capodanno ad Alessandria (23 fedeli uccisi), uno degli slogan dell'intifada era stato «né copto, né musulmano, solo egiziano».

Oggi, a otto mesi dalla caduta di Mubarak, che per usare un eufemismo ben poco si spese per i diritti dei suoi cittadini copti, la parola che invece più corre nella minoranza è «tradimento». Gli attacchi dei salafiti contro di loro sono continuati in tutto il Paese, così come quelli contro le confraternite sufi di cui poco si è parlato all'estero ma che spesso sono oggi al fianco dei cristiani, lo sono stati anche ieri nelle proteste del Cairo. La giunta militare e le autorità non hanno rivisto le rigidissime norme per permettere la costruzione di nuove chiese o l'ampliamento delle poche esistenti, uno dei motivi di attrito più forte con l'ex regime e ancora alla base degli scontri di ieri, per la chiesa di Assuan. Mentre l'intero Egitto annaspa cercando una nuova via, la sensazione di questa comunità è che le cose non solo non siano migliorate, ma siano sempre peggio.

«Almeno 100 mila cristiani sono fuggiti dall'Egitto da marzo, saranno 250 mila entro la fine dell'anno, è in corso una sistematica azione di pulizia etnico-confessionale», denuncia l'avvocato Nagib Gobrail, capo dell'Unione egiziana delle organizzazioni per i diritti umani. Qualcuno contesta le cifre, molti denunciano «provocatori sopravvissuti al vecchio sistema» e i loro tentativi di bloccare ogni rappacificazione dell'Egitto creando il caos, il governo di transizione e la giunta militare s'appellano al «dialogo» tra fedi e comunità in nome del Nuovo Egitto, che ben altri problemi sta affrontando. Ma è indubbio che mentre il Paese si prepara alle prime elezioni libere, a fine novembre, la questione copta è tutt'altro che risolta.

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