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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero - La Repubblica - Il Manifesto Rassegna Stampa
07.10.2011 Lo Stato palestinese membro dell'Unesco ?!
Cronaca di Simona Verrazzo. Alberto Stabile e Michele Giorgio sbilanciati

Testata:Libero - La Repubblica - Il Manifesto
Autore: Simona Verrazzo - Alberto Stabile - Michele Giorgio
Titolo: «L’Unesco regala ai palestinesi il patrimonio artistico di Israele - Palestina, la battaglia dell´Unesco - 40 voti su 58: anche la Unesco ha detto sì. Uno schiaffo per Usa, Israele (e Francia, Italia...)»

Riportiamo da LIBERO di oggi, 07/10/2011, a pag. 18, l'articolo di Simona Verrazzo dal titolo "  L’Unesco regala ai palestinesi il patrimonio artistico di Israele". Da REPUBBLICA, a pag. 21, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo "Palestina, la battaglia dell´Unesco ". Dal MANIFESTO, a pag.8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "40 voti su 58: anche la Unesco ha detto sì. Uno schiaffo per Usa, Israele (e Francia, Italia...)".
Ecco i pezzi:

LIBERO - Simona Verrazzo : " L’Unesco regala ai palestinesi il patrimonio artistico di Israele"

È braccio di ferro tra Stati Uniti e Unesco, l’Organizza - zione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura. Pomo della discordia è la volontà dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) di ottenere un seggio di piena membership all’Onu, che equivarrebbe a definire la Palestina una nazione. Di fatto l’orga - nizzazione con sede a Parigi l’ha già riconosciuta, dopo che il Consiglio esecutivo dell’Unesco ha approvato la raccomandazione per l’am - missione della Palestina. Un totale dei 40 paesi rappresentati ha votato sì, quattro i no (Stati Uniti, Germania, Romania e Lettonia) e 14 gli astenuti. Fra questi ultimi Italia, Francia e Spagna. La richiesta di riconoscimento, proposta da un gruppo di Paesi arabi, passa ora all’attenzione della Conferenza generale dell’Unesco, dove ognuno dei 193 membri dell’Onu è rappresentato. In questa sede, è necessaria una maggioranza dei due terzi perché la Palestina sia ammessa come membro a pieno titolo nell’organizzazione. La prossima sessione si terrà alla fine di ottobre. La raccomandazione di ammissione non è andata giù in alcun modo a Washington (che è il primo paese finanziatore al mondo dell’Onu e delle sue agenzie e organizzazioni), tanto che sull’argomento è intervenuto il segretario di Stato americano, Hillary Clinton. Il capo della diplomazia a stelle e strisce ha bollato come «inspiegabile » e «confuso» il voto del Consiglio esecutivo dell’Unesco. A margine di una visita nella Repubblica Dominicana, Clinton ha osservato come «crei confusione e sia in qualche modo inspiegabile che vi siano organi dell’Onu che prendono decisioni sulla statualità e sullo status di uno Stato mentre la questione viene affrontata alle Nazioni Unite », sottolineando come «la decisione deve essere presa dall’Onu e non attraverso delle sussidiarie». Il segretario di Stato americano non ha escluso la possibilità che gli Stati Uniti – in segno di protesta – cessino di versare i loro contributi all’Unesco. Paradossalmente la questione del riconoscimento della Palestina come nazione è quasi più problematico per l’Une - sco che non per l’Onu. L’orga - nizzazione con sede a Parigi stila ogni anno i nuovi siti che entrano a far parte dell’ambita lista del Patrimonio dell’Uma - nità. Nell’elenco dei paesi è presente anche Israele, con sei località. Nessuna di queste si trova in Cisgiordania, però salta agli occhi l’assenza di Gerusalemme, che con la sua città vecchia è uno dei patrimoni culturali più importanti al mondo. Una omissione voluta perché per ogni sito è specificato il Paese in cui la località si trova e indicare Gerusalemme- Isreale avrebbe sollevato le proteste di tutti i paesi arabomusulmani. Il risultato è che la città santa è fuori dalla lista del Patrimonio dell’Umanità e ma risulta ugualmente la sua candidatura (presentata dalla Giordania). Quanto sia complessa la situazione in seno all’Unesco lo ha dimostrato anche il tentativo – respinto – con cui l’Auto - rità nazionale palestinese ha presentato la richiesta di inserire nell’elenco la città di Betlemme, che si trova in Cisgiordania. Anche quella mossa doveva essere una spinta al riconoscimento ufficiale della Palestina, ma non è invece è andata in porto, soltanto per il momento vista la raccomandazione fatta dall’Unesco. E Betlemme non è la sola località che l’Anp sogna di vedere nella lista del Patrimonio dell’Umanità, poiché ce ne sono almeno altre due pronte per essere candidate: Hebron e Gerico. Ma l’inserimento di Betlemme ed Hebron con affianco scritto “Palestina” ap - pare impossibile perché Israele non lo consentirà mai. Nelle due località si trovano due tra i luoghi più sacri per la religione ebraica: la tomba di Rachele a Betlemme e la tomba dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe a Hebron.

La REPUBBLICA - Alberto Stabile : " Palestina, la battaglia dell´Unesco "


Mahmoud Abbas

Il tono di Stabile, come anche l'impostazione della pagina, sono fortemente favorevoli alla richiesta di Abu Mazen di riconoscere allo Stato palestinese lo status di membro effettivo dell'Unesco. Non si capisce come un'entità non riconosciuta come Stato e senza confini precisi possa avanzare una richiesta del genere. Ma Repubblica titola il pezzo addirittura : "Palestina, la battaglia dell'Unesco", come se quella di Mahmoud Abbas fosse una richiesta legittima.
Interessante anche che a richiedere nel 1982 l'inclusione di Gerusalemme nei patrimoni dell'Unesco sia stata la Giordania, quando, cioè, Gerusalemme era già capitale di Israele.
Il pezzo di Michele Giorgio pubblicato in questa stessa pagina non ha bisogno di commenti, è sufficiente leggerne il titolo per indovinare toni e contenuti, come al solito  prevedibili.
Ecco il pezzo di Stabile:

BEIRUT - È per lo meno dai tempi degli accordi di Oslo (1993) che l´autorità palestinese chiede, ogni due anni, in occasione della celebrazione del Consiglio generale dell´Unesco, il pieno il riconoscimento come membro effettivo dell´Agenzia delle Nazioni Unite preposta alla salvaguardia del patrimonio educativo, scientifico e culturale del mondo. La novità è che, mercoledì, per la prima volta, il comitato esecutivo dell´organizzazione ha deciso a maggioranza (ma con il voto contrario degli Stati Uniti) di portare la richiesta di full membership palestinese al voto del Consiglio generale che si riunirà dal 15 Ottobre al 10 Novembre, a Parigi. Una decisione che ha irritato Hillary Clinton e provocato le ire del Congresso a maggioranza repubblicana, al punto da minacciare d´interrompere il flusso dei finanziamenti americani all´Unesco, circa 250 milioni di dollari, ogni due anni.
Ma perché gli Stati Uniti, anche stavolta spalleggiati da Israele, si oppongono alla promozione dell´Autorità palestinese da "osservatore" a membro a pieno titolo dell´Unesco? La prima, ovvia risposta è che gli americani ritengono che la richiesta presentata all´Unesco non sia altro che una mossa per accentuare la pressione sul Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dopo che il tentativo dei palestinesi di vedersi riconoscere come Stato è stato in qualche modo indirizzato verso una sorta di labirinto burocratico.
Ma c´è un altro motivo che spinge israeliani e americani, a respingere il tentativo di riconoscimento avanzata dai palestinesi all´Unesco. I due alleati temono, in sostanza che una volta sancita la partecipazione a pieno titolo dei palestinesi all´Unesco, gli stessi potrebbero più agevolmente richiedere la protezione internazionale per quei luoghi di interesse archeologico, religioso e culturale che sorgono nei Territori occupati e, comunque, contesi e che sono attualmente sotto sovranità israeliana. In altri termini, la guerra dei siti come aspetto collaterale del più generale conflitto sulla terra.
Già un paio di anni fa il premier Netanyahu stupì il mondo includendo unilateralmente nel patrimonio cultuale israeliano siti quali la tomba di Rachele (Betlemme), la Tomba di Giuseppe (Nablus) e la moschea-sinagoga di Hebron (Mapela, o Grotta dei Patriarchi per gli ebrei, Al Haram al Khalil per i musulmani) che si trovano in zone tuttora al centro del conflitto. I palestinesi risposero stilando, in modo del pari unilaterale, un loro elenco di siti attestanti l´originalità del loro patrimonio nazionale e la loro titolarità sullo stesso. Ad aprire la lista era la città di Betlemme con al centro la Chiesa della Natività (VI Secolo). Seguiva poi la città vecchia di Hebron e la kasbah di Nablus gravemente danneggiata dalle incursioni israeliane durante la Seconda intifada, il sito romano di Sebastia, Tell al Suitan a Gerico e così via.
L´autorità palestinese celebrò quel passo come una vittoria, ma l´Unesco respinse la richiesta obbiettando che non poteva essere un "osservatore" a chiedere l´inclusione di un sito nel patrimonio mondiale, ma uno Stato membro. E´ del tutto evidente che quell´obiezione potrebbe essere travolta dall´imminente decisione del Consiglio generale dell´Agenzia.
Non c´era Gerusalemme nella lista preparata dai palestinesi, perché la Città santa e le sue mura appartengono al Patrimonio mondiale dell´Unesco sin dal 1982. Il che, però, non ha impedito ai progettisti della metropolitana di superficie di far passare la ferrovia a cinque metri, e forse, meno, dalle mura di Solimano il Magnifico. La città vecchia di Gerusalemme, resta, tuttavia, per i palestinesi non meno che per gli israeliani testimonianza viva della loro appartenenza.

Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " 40 voti su 58: anche la Unesco ha detto sì. Uno schiaffo per Usa, Israele (e Francia, Italia...)"


Michele Giorgio

Le guerre in Medio Oriente si combattono non solo con le armi da fuoco ma anche con la cultura e la manipolazione della storia. E su questo campo di battaglia è scesa l’amministrazione Usa schierandosi due giorni fa contro il via libera del Consiglio esecutivo dell’Unesco all’ammissione a pieno titolo della Palestina nell’agenzia culturale dell’Onu. Già impegnato nel Consiglio di sicurezza dell’Onu a stoppare la richiesta di adesione dello Stato di Palestina, il team di Barack Obama adesso minaccia ritorsioni per l’accettazione della domanda palestinese all’Unesco (sostenuta da 24 Stati arabi), peraltro andata oltre le più rosee aspettative: 40 paesi a favore su 58 membri. Tra gli astenuti anche questa volta c’è l’Italia, alleata di ferro del governo israeliano contrario al «sì» dell’Unesco all’ingresso della Palestina. Il segretario di stato Hillary Clinton ha subito condannato la decisione, sostenendo che non si può accettare uno Stato che non esiste, quindi senza frontiere, e che occorre aspettare la nascita della Palestina dopo il raggiungimento di un accordo definitivo israelo-palestinese. Clinton ha dovuto digerire la debacle subita Washington la cui delegazione all’Unesco ha esercitato invano pressioni su diversi paesi. Pressioni che non sono bastate a convincere gli incerti, impermeabili anche al monito con cui la Francia aveva definito «prematura» la richiesta palestinese. Gli Usa avvertono che potrebbero tagliare i finanziamenti all’Unesco (80 milioni lo scorso anno, 22% del totale). La dura opposizione di Stati uniti e Israele all’iniziativa palestinese all’Unesco – che attende il voto del 25 ottobre a Parigi dei 193 Statimembri per l’approvazione definitiva - non va inquadrata solo sul piano diplomatico e della battaglia in corso al Palazzo di vetro per l’accettazione della Palestina come Stato membro dell’Onu. Il passo mosso dall’Unesco rappresenta una risposta indiretta alla decisione unilaterale del governoNetanyahu di dichiarare, giusto un anno fa, «monumenti del patrimonio storico israeliano» due siti - la Grotta dei patriarchi di Hebron e la Tomba di Rachele di Betlemme - che si trovano entrambi nella Cisgiordania occupata. Unpasso fortemente contestato dai palestinesi che considerano un luogo santo la Grotta dei patriarchi (la chiamano «la moschea di Abramo») e criticato anche da una parte della comunità internazionale. Quando saranno membri a tutti gli effetti, i palestinesi potranno richiedere la registrazione di siti archeologici o religiosi in Cisgiordania che Israele vorrebbe annettersi definitivamente. La posizione anti-palestinese adottata dall’amministrazione Obama ha ulteriormente deteriorato l’immagine nei Territori occupati degli Stati uniti, riportandola indietro agli anni del primomandato di George W. Bush, il presidente Usa che diede nel 2002 la sua benedizione alla rioccupazione israeliana delle città autonome palestinesi e al «confino» del leader palestinese Yasser Arafat nella Muqata di Ramallah. E le reazioni non sono mancate. Due giorni fa una delegazione ufficiale americana è stata accolta in Cisgiordania dalle grida di protesta di centinaia di manifestanti. Bersaglio di contestazioni aperte da qualche giorno è anche l’inviato del Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu) ed ex premier britannico Tony Blair, dichiarato di fatto persona non grata dall’Autorità nazionale (Anp) di Abu Mazen a causa del suo impegno all’Onu contro l’adesione dello Stato palestinese. A gettare benzina sul fuoco c’è anche la recente decisione del Congresso di bloccare 200 milioni di aiuti americani ai palestinesi per punire Abu Mazen. Un passo, ufficialmente non sostenuto dal Dipartimento di stato - il segretario alla difesa Leon Panetta lo ha definito un errore commesso in un momento delicato - che ha avuto effetti immediati sul terreno. Il ministro dell’Anp per la pianificazione economica, Hassan Abu Libdeh, ha detto che Usaid - l’agenzia governativa Usa per gli aiuti all’estero - ha comunicato lo stop di due progetti (finanziati rispettivamente con 55 e 26 milioni di dollari) in Cisgiordania. Sono già stati congelati anche gli 85 milioni di dollari destinati al sistema sanitario palestinese (gli Usa un anno e mezzo fa si sostituirono proprio all’Italia nell’aiuto alla sanità in Cisgiordania). Sono centinaia i milioni di dollari donati dagli Usa all’Anp in questi ultimi anni. Non pochi di questi fondi sono stati investiti per l’addestramento delle forze di sicurezza palestinesi che operano assieme a quelle israeliane contro gli attivisti (veri e presunti) del movimento islamico Hamas in Cisgiordania. Una collaborazione che l’Anp non ha interrotto nonostante l’azione israelo-americana alle nazioni Unite contro lo Stato di Palestina.

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