Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Cina e Russia bloccano le sanzioni contro la Siria cronache e analisi di Dimitri Buffa, Maurizio Molinari, Daniele Raineri
Testata:L'Opinione - La Stampa - Il Foglio Autore: Dimitri Buffa - Maurizio Molinari - Redazione del Foglio Titolo: «Gli Usa chiedono a Ankara più impegno contro Assad - La Turchia sposta truppe sul confine con la Siria e annuncia altre sanzioni»
Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 06/10/2011, l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Cina e Russia salvano Assad da una condanna Onu malgrado l'appeasement europeo ". Dalla STAMPA, a pag. 21, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Gli Usa chiedono a Ankara più impegno contro Assad ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Daniele Raineri dal titolo " La Turchia sposta truppe sul confine con la Siria e annuncia altre sanzioni ". Ecco i pezzi:
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Cina e Russia salvano Assad da una condanna Onu malgrado l'appeasement europeo "
Dimitri Buffa
Altro che primavera araba. La tendenza sado masochista dell’Europa a inchinarsi di fronte a tiranni e prepotenti vari del Medio Oriente stavolta non è servita a nulla: Cina e Russia ieri hanno di fatto bloccato qualsivoglia ipotesi di condanna all’Onu degli eccidi di massa perpetrati da Bashar al Assad. Il Consiglio di sicurezza aveva votato una bozza di risoluzione europea contro la repressione interna messa in atto da Damasco, con nove a favore e quattro astenuti, ma il veto di Cina e Russia ha bloccato il tutto. Mosca ha motivato la cosa definendo “inaccettabile” la risoluzione in oggetto perché “non esclude il ricorso a un intervento militare straniero”. Di fatto però il compromesso europeo era assai blando perché prefigurava una condanna solo nel caso che la repressione fosse andata avanti, a dispetto di tutte le condanne internazionali, anche dal mondo arabo, e gli omicidi di massa continuati fino a ieri. Ma non è andata bene neanche così. Adesso almeno i siriani, che negli anni ’60. ’70 e ’80 dell’ultimo secolo dello scorso millennio sono stati avamposto importante dell’imperialismo sovietico in Medio Oriente, sanno che devono i massacri cui sono sottoposti da mesi proprio all’erede di quella potenza che li ha convinti e sostenuti in una politica anti israeliana e anti occidentale in genere per quasi mezzo secolo. Regalando loro morte, mancanza di libertà e democrazia nonché distruzione e condizioni di vita da terzo mondo. Per la cronaca l’ultima volta che Cina e Russia avvano fatto ricorso a questo strumento del veto fu nel 2008 quando i due paesi bloccarono le sanzioni Onu contro il presidente dello Zimbabwe, Robert Mugabe. Altro gentiluomo di campagna sempre protetto dagli stati autoritari in sede di Consiglio di sicurezza al Palazzo di vetro. L’agenzia Asia news riporta così la reazione, a parole, della rappresentante all’Onu per gli Stati Uniti Susan Rice, subito dopo l’apposizione del veto: "Gli Stati Uniti sono furiosi per il fatto che il Consiglio abbia completamente fallito”. La Rice ha anche criticato i Paesi che si sono opposti alla risoluzione e che "preferirebbero vendere armi al regime siriano". Infine è uscita in segno di protesta quando il rappresentante siriano ha preso la parola dopo il voto. La risoluzione, in cui si minacciava il regime siriano del presidente Bashar al Assad di “misure mirate”, e non di “sanzioni”, era stata preparata da Francia e Gran Bretagna, con l’aiuto del Portogallo.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Gli Usa chiedono a Ankara più impegno contro Assad "
Maurizio Molinari
Russia e Cina bloccano all’Onu la condanna di Damasco per la repressione delle proteste e poche ore dopo la Turchia alza il profilo nella crisi compiendo tre mosse: promette sanzioni unilaterali, dà inizio a manovre militari lungo i confini siriani e accoglie il generale che guida l’opposizione militare ad Assad.
Al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite i rappresentanti di Mosca e Pechino hanno posto il veto contro il testo di una risoluzione che si limitava a chiedere di «considerare» imprecisate «misure» contro il regime di Bashar Assad se entro 30 giorni non terminerà la repressione che, secondo stime del Palazzo di Vetro, ha già causato oltre 2600 vittime civili. Usa ed europei avevano tolto dal testo ogni riferimento a sanzioni nel tentativo di evitare proprio tale scenario ma la mediazione è fallita quando il rappresentante russo Vitaly Churkin e quello cinese Li Baodong si sono opposti a «ogni interferenza negli affari interni siriani». L’ambasciatrice americana, Susan Rice, ha lasciato per protesta la seduta in corso definendo «una vergogna» quanto avvenuto. Il ministro degli Esteri francese Alain Juppé ha parlato da Parigi all’unisono: «Questo è un giorno triste per il popolo siriano e per il Consiglio di Sicurezza».
Ad accrescere lo smacco diplomatico degli occidentali c’è il fatto che, pur avendo ottenuto 9 voti favorevoli, non sono riusciti a evitare le astensioni di Sud Africa, India, Brasile che confermano il dissenso strategico delle economie emergenti nell’approccio alla Primavera araba. Si è astenuto anche il Libano, tradizionale alleato della Siria. Il voto all’Onu è avvenuto nella notte di martedì e ieri mattina la prima reazione è arrivata da Ankara, dove il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ha fatto sapere che «il veto non ci impedisce di varare un nostro pacchetto di sanzioni». L’impegno di Ankara conta molto per l’amministrazione Obama in quanto la Turchia è il maggior partner commerciale della Siria nella regione. A conferma della volontà turca di alzare il profilo nella crisi in atto, sempre ieri le forze armate hanno cominciato una massiccia esercitazione lungo i confini siriani, nella provincia di Hatay. Le operazioni dureranno otto giorni, includono l’impiego di reparti corazzati e seguono il monito di Erdogan ad Assad sul «deterioramento delle relazioni bilaterali». La scelta di Hatay per il dispiegamento della 39ª divisione di fanteria meccanizzata è significativo perché si tratta di una provincia turca che Assad ha sempre rivendicato alla Siria. Un altro messaggio aspro nei confronti di Damasco arriva dalla scelta di Erdogan di accogliere il generale siriano Riad Assad, che ha disertato unendosi alla rivolta e afferma di essere alla guida di un Esercito di liberazione che conterebbe già 10 mila uomini, in gran parte soldati fuggiti dalle caserme. Assad, che non è parente del presidente siriano, è arrivato in Turchia martedì ma l’annuncio è stato dato ieri, in coincidenza con il moltiplicarsi di indiscrezioni a Washington sul rafforzamento dell’opzione militare contro il regime del Baath. Il portavoce del Dipartimento di Stato Mike Hammer ha spiegato che «finora abbiamo sostenuto le proteste non violente ma poiché il regime di Assad continua a non ascoltare la voce del suo popolo non c’è da sorprendersi se qualcuno sceglie il ricorso ad altri mezzi». Una delle ipotesi di cui si discute a Washington è che la Turchia consenta all’opposizione militare siriana di organizzarsi in maniera tale da poter tentare di marciare su Damasco.
Il FOGLIO - Daniele Raineri : " La Turchia sposta truppe sul confine con la Siria e annuncia altre sanzioni"
Daniele Raineri
Il Cairo, dal nostro inviato. Anche il vecchio adagio sul nemico del mio nemico che è mio amico non è più vero, nella frattura scomposta che è il nuovo medio oriente. Ieri la Turchia ha attaccato su tutti i fronti possibili. Il premier Recep Tayyip Erdogan è stato durissimo con Israele, “un tempo il nostro migliore amico”, ma oggi “si considera al di sopra della legge e non riallacceremo i rapporti tra i due stati fino a quando non chiederà scusa per i morti della Flotilla, pagherà un risarcimento e toglierà l’assedio a Gaza”, pur facendo attenzione a evitare di finire nella gora dell’antisemitismo: “In Turchia vivono quarantamila cittadini ebrei, non abbiamo mai permesso che accadesse loro nulla di male e non lo permetteremo mai. Gli ebrei trovarono rifugio qui quando furono cacciati dalla Spagna”. Allo stesso tempo, Ankara muove contro il nemico mortale di Israele, l’asse tra Siria e Iran. Ieri è cominciata l’esercitazione militare turca Yildirim, Folgore, a sud, nell’ex provincia siriana di Hatay a ridosso del confine, il cui scopo dichiarato è preparare le Forze armate a spostare e ammassare truppe in quell’area. Vecchia ferita. Damasco considera quella zona ancora sua e non ha mai aggiornato le mappe. All’esercitazione parteciperà la 39esima brigata meccanizzata, che fa parte del Secondo corpo d’armata, storicamente posizionato in quel quadrante per difendere il paese da minacce in arrivo da Siria, Iran e Iraq. Durerà dieci giorni, tra gli stessi campi che ospitano i settemila profughi siriani in fuga dalla repressione di Bashar el Assad e lungo la rotta dove passano le armi di contrabbando che arrivano ai gruppuscoli del cosiddetto Esercito della Siria Libera, la resistenza armata contro il regime. Se la minaccia via esercitazione non fosse chiara, Erdogan ha fatto sapere che negli stessi giorni dell’ammasso di truppe arriverà sul posto anche lui per pronunciare un discorso sulla Siria che si annuncia aggressivo. Un’anticipazione è arrivata dal suo ministro degli Esteri, il cerebrale Ahmet Davutoglu, che ieri ha contraddetto il suo ruolo di consigliere dietro la tenda ed è stato diretto: “A dispetto dell’energia e degli sforzi che la Turchia ci ha messo in questi nove mesi, la Siria ha scelto ancora più repressione. Avrebbe potuto essere un modello per tutte le nazioni arabe se avesse fatto le riforme (ieri Assad ha indetto elezioni municipali per il 12 dicembre, ndr). Ora noi non possiamo restare indifferenti a quello che succede, abbiamo 910 chilometri di frontiera in comune, siamo come parenti. Stiamo dalla parte delle giuste richieste del popolo, le autorità siriane devono cessare la repressione militare, e siamo determinati a prendere le misure necessarie a far terminare la repressione militare”. Due giorni fa Erdogan aveva detto: “Bombardano Latakia dal mare. Le atrocità di Homs e di Hama ci ricordano quelle commesse dal padre di Bashar” (Hafez nel 1982 ordinò all’esercito di radere al suolo Hama per vincere la resistenza della Fratellanza musulmana). “Ora i turchi stanno veramente battendo con il martello – dice al New York Times una fonte dell’Amministrazione americana dopo la notizia dell’esercitazione – all’improvviso le cose hanno preso a correre veloci”. L’agenzia iraniana Fars, per risposta, ha fatto uscire un presunto colloquio tra Bashar e Davutoglu del 9 agosto scorso. Il siriano dice al ministro in visita di consegnare un suo messaggio agli americani: “Se la Nato interviene contro di noi, in sei ore porto i miei missili a distanza di tiro da Tel Aviv, con una potenza di fuoco che i servizi segreti israeliani neanche si immaginano. Intanto nelle prime tre ore faccio aprire il fuoco a Hezbollah, e nelle tre successive l’Iran colpirà le navi americane e gli interessi europei nell’area del Golfo”. Dopo il fallimento al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove martedì una risoluzione che avrebbe imposto nuove sanzioni contro il regime non è passata per il veto di Cina e Russia, Erdogan annuncerà nel discorso di Hatay che va avanti con altre sanzioni per conto proprio o forse assieme a non meglio specificate nazioni europee. Una delle sanzioni è il blocco delle importazioni dalla Siria. Damasco risponde con scherno, “sarete voi a uscirne danneggiati”, ma è un colpo pesante, perché le economie dei due paesi sono abbracciate da tempo quasi a formare un unico sistema, ma c’è uno squilibrio: dalla parte di Ankara le cose vanno bene – senza più il ritmo impetuoso degli anni scorsi – l’economia siriana è quasi al collasso.
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