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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Il Foglio Rassegna Stampa
04.10.2011 Tutti a dare consigli a Israele
Che però sa benissimo ciò che deve fare

Testata:La Stampa-Il Foglio
Autore: Paolo Mastrolilli-Editoriale del Foglio
Titolo: «Israele sempre più isolato-L'imbarazzo di Netanyahu»

Quelle che sono (anche) condivisibili osservazioni di carattere generale di Leon Panetta, diventano nel titolo una specie di sentenza di tribunale: attento, Israele, sei isolato ! E se invece nelle grane ci fosse l'Autorità palestinese, che ancora una volta ha rifiutato di discutere direttamente con Israele ? L'articolo è di Paolo Mastrolilli sulla STAMPA, a pag. 19, mentre sul FOGLIO, a pag.3, un editoriale come capita di leggere da qualche mese, per fortuna raramente, discretamente confuso, nel quale si sostiene tutto e il suo contrario. Alla fine si sente l'affetto per Israele, ma il testo non facilita la compresnsione dei fatti.
Ecco gli articoli:

La Stampa- Paolo Mastrolilli: " Israele sempre più isolato "

Leon Panetta

«È chiaro che in questo momento drammatico per il Medio Oriente, dove sono avvenuti così tanti cambiamenti, non è bene per Israele diventare sempre più isolato. Basta mantenere un vantaggio militare, se ti isoli nell’arena diplomatica?». Colpisce la franchezza di queste parole, pronunciate ieri dal segretario alla Difesa americano Leon Panetta all’inizio della sua visita in Israele. Il capo del Pentagono, che dopo aver visto il collega Ehud Barak, Netanyahu e Abu Mazen, andrà anche al Cairo, ha poi scoraggiato lo Stato ebraico dall’idea di attaccare il programma nucleare di Teheran: «La maniera più efficace di affrontare l’Iran non è su base unilaterale». Quindi ha sollecitato israeliani e palestinesi ad accogliere la proposta del Quartetto per la trattativa: «Ci sono troppi punti di frizione ora. La cosa più importante per Israele e i suoi vicini sarebbe sviluppare relazioni migliori, in modo da poter almeno comunicare, invece di portare le questioni in strada. Il mio messaggio ad entrambe le parti è che non perdono nulla col negoziato».

La visita del segretario alla Difesa, la prima di un membro del governo Usa dopo molti mesi, arriva in un momento delicato. Il 23 settembre il leader palestinese Abu Mazen ha chiesto all’Onu di ammettere l’Anp come uno Stato. Allora il Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia) ha sollecitato le parti a riprendere i negoziati nel giro di un mese. Gli israeliani hanno risposto positivamente, a patto che non ci siano precondizioni, mentre i palestinesi chiedono il congelamento degli insediamenti. Il 27 settembre lo Stato ebraico ha approvato la costruzione di 1100 nuove abitazioni a Gilo, quartiere di Gerusalemme Est. A queste tensioni si è aggiunto ieri l’incendio di una moschea a Tuba Zangria, in Galilea, del quale è accusato un gruppo di coloni estremisti. Il portavoce dell’Onu Martin Nesirsky ha detto che «la richiesta palestinese è nelle mani del Consiglio di Sicurezza», che aspetta in settimana la riunione di un comitato di esperti per discuterla. Nesirsky ha commentato le parole di Panetta spiegando che «la dichiarazione del Quartetto è molto chiara sulla strada da seguire». La logica vorrebbe che l’amministrazione Obama, in vista delle presidenziali, evitasse pressioni su Israele per non irritare l’elettorato ebraico. Ma allora come si spiega l’uscita di Panetta? «Sono parole inusuali - commenta dal Council on Foreign Relations Robert Danin, già capo dell’ufficio di Tony Blair a Gerusalemme - perché danno l’impressione che Washington voglia scavalcare i leader e rivolgersi direttamente alla popolazione. Lo scopo è creare un senso di urgenza per la ripresa dei negoziati, che è avvertito più dalla comunità internazionale che dagli israeliani». Daniel Serwer della Johns Hopkins University dice che «Obama ha problemi con l’elettorato cristiano, schierato con la destra della destra israeliana, non con quello ebraico. Queste comunque sono piccole pressioni per favorire il negoziato, alla luce soprattutto della pericolosa svolta turca. Non so, però, quanto gli israeliani si preoccupino dell’isolamento». Secondo Edward Luttwak, «Panetta è venuto a parlare come amico e capo del Pentagono. Le tensioni con Ankara per la vicenda della nave Mavi Marmara, e l’assalto all’ambasciata israeliana in Egitto, sono minacce molto preoccupanti per gli Usa, perché rischiano di far cadere due pilastri della politica di sicurezza in Medio Oriente. Dunque Panetta parla dal punto di vista strategico, per dire ad Israele due cose: questo non è il momento di fare provocazioni con gli insediamenti, ma di negoziare, per la sua stessa salvezza».

Il Foglio- " L'imbarazzo di Netanyahu "

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è in imbarazzo. Da New York il rais palestinese Abu Mazen è tornato a Ramallah senza ancora nulla in mano, ma con una popolarità senza precedenti. E in attesa che il Consiglio di sicurezza dell’Onu si esprima sulla richiesta di indipendenza palestinese, Abu Mazen si è permesso di snobbare il piano del Quartetto per il rilancio dei negoziati (che Israele ha invece accolto). Netanyahu ha subìto l’attacco di un alleato di ferro come la Germania di Angela Merkel, “furiosa” con il collega israeliano per l’annuncio di 1.500 nuove case a Gerusalemme. Haaretz, che esagera ma spesso ci prende, ha parlato della “più grave crisi diplomatica fra Germania e Israele”. L’imbarazzo di Netanyahu è dovuto anche a ragioni interne, come l’incendio che lunedì ha vandalizzato una moschea. Non nella Cisgiordania asserragliata, ma nel nord del paese, in Galilea. Il governo si è dovuto affrettare a ricordare al mondo che “Israele non agisce così”. Fragile ma salda resta l’alleanza con gli Stati Uniti, come dimostrano i recenti gesti di Obama (la vendita di missili anti Iran, la minaccia del veto contro i palestinesi all’Onu e il taglio da parte del Congresso di 200 milioni di dollari all’Anp). Netanyahu è chiamato a scegliere fra il rapporto vitale con l’America e i suoi problematici alleati di destra. Il gigante americano e il bambino israeliano (grande come il Rhode Island, ha detto Netanyahu) hanno bisogno l’uno dell’altro. Specie mentre viene giù il vecchio ordine della regione.

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