L’alfabeto ebraico Paolo De Benedetti
A cura di Gabriella Caramore
Morcelliana Euro 10
Pochi minuti per scriverlo, lunghi anni per contemplarlo, una vita intera per raccontarne una minima parte. Le forme semplici e austere delle sue lettere, dai contorni ben nitidi e sempre staccate le une dalle altre, si possono tracciare con pochi tratti di penna. Ma poi i profili taglienti del l'alef e della bet, e delle loro altre venti compagne, si scompongono a loro volta in fisionomie inaspettate. L'alfabeto ebraico sembra semplice, ma non lo è. Lettere germogliano entro lettere, suoni spirano entro altri suoni. Dove sembrava esserci posto per una sola consonante ne appaiono altre due, o tre, o quattro, e al posto di una parola balena il suo anagramma, o una sequenza casuale di fonemi . Ma poiché nulla può restare senza significato nel recinto della lingua santa, provando e riprovando anche una successione arbitraria di segni saprà alla fine svelare un messaggio nascosto, un'eco sopita della creazione. Del resto, chi vuol scendere negli abissi dell'alfabeto deve imparare a non aver fretta. Nel lavorio di contemplazione, decifrazione e permutazione, rabbi e cabbalisti hanno investito da sempre grandi tesori di tempo.
Qualcosa della sapienza alfabetica giudaica si può trovare adesso in un libriccino di Paolo De Benedetti. Il testo nasce da un'intervista radiofonica, e del colloquio mantiene il carattere provvisorio e il piacere dell'oralità. E così deve essere, giacché – secondo la tradizione – anche la lettera più minuta porta in sé la traboccante energia dell'inconoscibile, che balena per un attimo alla nostra comprensione per poi subito dileguarsi.
Giulio Busi
Il Sole 24 ore