Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele non può costruire appartamenti nella propria capitale Bibì e Bibò (Udg & Giorgio) uniti e concordi appoggiano le farneticazioni di Abu Mazen
Testata:L'Unità - Il Manifesto Autore: Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio Titolo: «Spara a chi lancia sassi»
Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 28/09/2011, a pag. 32, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo " Israele: altre mille case in Cisgiordania. Cemento sul negoziato ". Dal MANIFESTO, a pag. 8, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Spara a chi lancia sassi ". Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti:
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Israele: altre mille case in Cisgiordania. Cemento sul negoziato"
Abu Mazen
Il pezzo di Udg è tutto un complimento ad Abu Mazen e un attacco a Israele. La decisione di costruire nuovi appartamenti in un quartiere di Gerusalemme viene definita "colata di cemento autorizzata in Cisgiordania". Gerusalemme è la capitale di Israele, non è in Cisgiordania. Non è ben chiaro per quale motivo Israele non possa costruire nella propria capitale. Sostenere che le nuove costruzioni blocchino i negoziati è una menzogna. Non c'è nessun negoziato in atto. Le trattative sono ferme, 'grazie' alla linea seguita da Abu Mazen nei mesi scorsi e alla sua decisione di tentare l'autoproclamazione unilaterale dello Stato palestinese. Ecco l'articolo:
Risuonano ancora, in Israele, le parole pronunciate da Abu Mazen al Palazzo di Vetro per il riconoscimento dello Stato di Palestina e anche quelle affidate al suo rientro a Ramallah in un colloquio con l’Unità, quando ieri sulle speranze di un riaccendersi del percorso di pace cala l’ombra dell’ultimo annuncio del governo Netanyahu: una nuova colata di cemento autorizzata in Cisgiordania. «Le considerazioni del presidente Abbas sul carattere non violento della protesta palestinese così come l’aver ribadito con forza che la linea del dialogo è una scelta strategica per l’attuale dirigenza palestinese, tutto questo conferma che il presidente Abbas è l’interlocutore migliore che Israele può oggi avere in un negoziato di pace. Delegittimarlo come fanno i falchi al governo, è una politica scellerata». Così dice la neo segretaria del Partito laburista israeliano, Shelly Yachimovich. «Abu Mazen – annota Yossi Sarid, leader storico del Meretz (la sinistra pacifista israeliana) ed oggi analista di punta del quotidiano progressista Haaretz – ha usato parole molto dure nei confronti di Benjamin Netanyahu, definendolo il più inaffidabile interlocutore in una trattativa. Parole dure ma rispondenti alla realtà. Perché il governo di cui è espressione e leader, è egemonizzato, culturalmente prim’ancora che sul piano politico, da quella destra oltranzista che si rifà esplicitamente all’ideologia di Eretz Israel, la Grande Israele che non accetta di dover cedere al Nemico una parte della sua Terra sacra». «Non vi è dubbio che i toni, più ancora dei contenuti, di Abu Mazen siano quelli di un leader che vuole uscire dall’angolo e reclamare la sua centralità nello scenario mediorientale», osserva Shlomo Ben Ami, ministro degli Esteri ai tempi del negoziato di Camp David tra Yasser Arafat e l’allora primo ministro (laburista) israeliano Ehud Barack. «Da questo punto di vista – prosegue Ben Ami – Abu Mazen ha ottenuto un indubbio successo, spiazzando Hamas e ponendosi come soggetto politico di riferimento per i due Paesi che oggi sono al centro dei nuovi equilibri regionali: Egitto e Turchia». E dovrebbe far riflettere – conclude Ben Ami – che i falchi dei due campi, Hamase la destra ultranazionalista israeliana, abbiano unito le loro voci nella critica all’iniziativa di Abu Mazen. La primavera palestinese «A meha colpito il riferimento fatto da Abu Mazen alla “primavera” palestinese », rimarca a sua volta Avraham Burg, già presidente della Knesset (il Parlamento israeliano). «Abu Mazen – aggiunge Burg – sa bene che al centro di rivoluzioni come quella tunisina ed egiziana, c’era una forte domanda di democrazia, di diritti, di rottura con le gerontocrazie al potere. La “primavera palestinese” se davvero sboccerà, metterà inevitabilmente in discussione anche le nomenclature di Fatah come di Hamas. Per Abu Mazen è un grande banco di prova». «Di fronte al continui rinvii e alla sfiducia reciproca, la dichiarazione palestinese di indipendenza non solo è legittimama rappresenta anche unpasso positivo e costruttivo per entrambe la nazioni», gli fa eco Avishai Margalit, vincitore del prestigioso Premio d’Israele, che, assieme ad altre venti personalità dello Stato ebraico, ha sottoscritto un documento di sostegno alla dichiarazione d’indipendenza palestinese. «L’iniziativa di Abu Mazen nonmina la sicurezza d’Israele, perché la proclamazione di uno Stato sovrano e indipendente, che vivrà a fianco di Israele in pace e sicurezza, stabilirà il quadro e i parametri per adeguati negoziati sui dettagli dell’accordo fra i due Stati», sostiene l’ex presidente dell’Accademia delle scienze di Israele Menahem Yaari. C’è chi, invece, pone l’accetto sull’Intifada diplomatica avviata da Abu Mazen con il suo discorso all’Onu: «Netanyahu ha avuto la faccia tosta di accusare Abu Mazen di aver operato una forzatura unilaterale, proprio lui che è a capo di un governo che fa dell’unilateralismo più brutale il suo credo, la sua ragion d’essere – incalza Shulamit Aloni, fondatrice di Peace Now, più volte ministra nei governi guidati da Yitzhak Rabin e Shimon Peres -. L’unilateralismo è nell’assedio a Gaza, è nella colonizzazione della Cisgiordania, nella espulsione incessante dei palestinesi da Gerusalemme Est…». La tomba della pace La denuncia di Shulamit Aloni trova confermada una decisione assunta dal governo israeliano destinata a innescare altre polemiche: il ministero dell' Interno israeliano ha formalizzato ieri il via libera alla costruzione di 1100 nuovi alloggi nell'insediamento ebraico di Gilo, un sobborgo di Gerusalemme che si trova oltre la Linea Verde del 1967 e che fa parte dei territori rivendicati dai palestinesi. Il progetto rientra in una più ampia attività di rilancio dell'edilizia nella zona di Gerusalemme Est, indicata di nuovo da AbuMazen quale capitale del futuro Stato palestinese nella richiesta di riconoscimento presentata all' Onu. Il progetto di Gilo, già annunciato nei mesi scorsi, aveva attirato polemiche e accese critiche nei confronti del gabinetto di Netanyahu, come altri messi in cantiere nei dintorni di Gerusalemme e nella parte orientale (a maggioranza araba) della città. «Con questa misura, Israele ha risposto al comunicato del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia, ndr) con 1.100 no», afferma il negoziatore- capo palestinese, Saeb Erekat. La decisione israeliana, rappresenta una «minaccia» per trovare una soluzione della crisi mediorientale in linea con il principio dei “due Stati”, avverte l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione europea Catherine Ashton nel corso del suo intervento al Parlamento di Strasburgo. Critiche internazionali E da Strasburgo si passa a Washington: gli Usa hanno espresso tramite il Dipartimento di Stato «profonda delusione» per la decisione israeliana di realizzare 1.100 nuovi alloggi in un sobborgo di Gerusalemme Est. Si tratta di «una decisione controproducente» che rende più difficile la ripresa dei negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, rileva la portavoce Victoria Nuland. «Netanyahu – riflette preoccupato Avraham Burg, per decenni alto dirigente del movimento sionista (è stato anche responsabile dell'Agenzia Ebraica) - sta trascinando sempre più la regione in un periodo di intransigenza e di spargimento di sangue ed è sottomesso agli elementi più estremisti della società israeliana».
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Spara a chi lancia sassi "
Michele Giorgio
Michele Giorgio dedica l'ultima parte dell'articolo alla condanna della costruzione di nuovi appartamenti a Gerusalemme. Prima preferisce descrivere l'atteggiamento antiarabo di alcuni rabbini ultraortodossi, senza specificare, però, che sono una esigua minoranza che non rispecchia la società israeliana. Ma a Michele Giorgio interessa più che altro fare propaganda, perciò il trucco gli riesce alla perfezione. Riportare lo slogan 'Spara a chi lancia sassi', qualche dichiarazione anti palestinese e il fatto che l'esercito non intervenga, descrivere questi 'coloni oltranzisti' liberi di fare ciò che vogliono e poi concludere l'articolo con la notizia dei nuovi appartamenti a Gerusalemme. Ecco l'articolo:
«Spara a chi lancia sassi». È questo lo slogan della campagna avviata dal gruppo ultranazionalista «Sos-Israele» contro i palestinesi che scagliano pietre verso le automobili dei coloni israeliani residenti nella Cisgiordania occupata. Si tratta solo dell’ultima delle iniziative decise dalla destra estremista da quando l’Olp ha annunciato e poi presentato, la scorsa settimana, una richiesta ufficiale di adesione all’Onu di uno Stato palestinese con capitale il settore arabo (Est) di Gerusalemme. I coloni più radicali sono convinti di dover contrastare in tutti imodi, anche con la forza, eventualimanifestazioni a sostegno dell’indipendenza palestinese e ora accusano gli «arabi» di aver lanciato venerdì scorso, non lontano da Hebron, unmasso che ha colpito una automobile uccidendo un settler e suo figlio (versione accreditata in parte dalla polizia ma smentita dall’indagine svolta dallo stesso esercito israeliano). A guidare la campagna, che da venerdì scorso ha visto la distribuzione di migliaia di volantini e di opuscoli nelle sinagoghe e nei centri religiosi ebraici in Cisgiordania, c’è il noto rabbino Shalom DovWolpe, convinto che sparando ad altezza d’uomo contro i palestinesi (spesso dei ragazzi) si arriverà a un netto miglioramento della «sicurezza stradale». Sos-Israele afferma di aver scelto lo slogan «Spara a chi lancia sassi» prendendo a prestito una frase pronunciata nel 1989 dal premier Benyamin Netanyahu e riportata all’epoca dal quotidiano Maariv con un ampio titolo in prima pagina. A quel tempo era in corso la prima Intifada palestinese e Netanyahu, rientrato in Israele alla fine del suo mandato di ambasciatore all’Onu, fece una serie di dichiarazioni durissime. «Andiamo avanti sulla strada tracciata da Netanyahu», hanno spiegato gli attivisti di Sos-Israele, organizzazione nata nel 2003 che tra i suoi sostenitori conta nomi eccellenti come i rabbini David Druckman di Kiryat Motzkin e Menachem Porush di Aguda Yisrael, il premio Nobel Yisrael Aumann, il noto avvocato di estrema destra ElyakimHaetzni e il deputato ultranazionalista Aryeh Eldad. Maè la figura del rabbino Shalom Dov Wolpe che intriga di più. Discepolo dello scomparso Menachem Mendel Schneerson (il Lubavitcher Rebbe), negli ultimi mesi Wolpe ha abbinato dichiarazioni apparentemente "bizzarre" del tipo «L’uragano Irene è una punizione per gli Stati Uniti che appoggiano la creazione dello Stato del terrore palestinese» ad altre che incitano apertamente i coloni alla violenza contro lo stesso esercito israeliano. Durante lo sgombero dell’avamposto colonico di Havat Gilad, lo scorso marzo,Wolpe ha esortato a sparare proiettili di gommacontro i soldati e ha invocato la proclamazione di uno «Stato dei coloni» in Cisgiordania, indipendente da Israele. Ma nessuno gli ha mai chiesto spiegazioni. In ogni caso i coloni godono di appoggi ben più importanti, nella stessa Knesset. Ieri i quattro partiti di destra - incluso il Likud di Netanyahu - chiedevano al premier sanzioni contro l’Anp e una graduale annessione di parte dei Territori occupati. Netanyahu ha risposto indirettamente autorizzando il ministero dell’interno a dare il via libera alla costruzione di 1.100 nuovi alloggi nell’insediamento ebraico di Gilo, nella zona occupata di Gerusalemme, a ridosso delle città palestinesi di Betlemme e Beit Jala. Il progetto di Gilo si affianca a diverse iniziative analoghe, annunciate o rilanciate di recente, che in totale dovrebbero creare diverse migliaia di nuovi appartamenti per coloni. E per sollecitare una massicca campagna di costruzioni nei Territori occupati, l’estremista di destra Baruch Marzel e decine di attivisti Chalamish (ortodossi ultranazionalisti) hanno eretto tende al Rothschild Boulevard di Tel Aviv, teatro della recente protesta degli indignados israeliani contro il carovita.
Per inviare la propria opinione a Unità e Manifesto, cliccare sulle e-mail sottostanti