Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 26/09/2011, a pag. 1-10, l'articolo di Madgi Cristiano Allam dal titolo " Le mosse palestinesi allontanano la pace ". Dall'UNITA', a pag. 10, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo "Obama parlò di Stato per la Palestina noi gli abbiamo creduto", preceduto dal nostro commento.
Nell'immagine, la Palestina secondo Abu Mazen: al posto di Israele
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Magdi C. Allam : " Le mosse palestinesi allontanano la pace "

Magdi C. Allam
È da quando avevo i calzoni corti che mi sento coinvolto nel dramma mediorientale essendo nato al Cairo nel 1952, tre mesi prima del colpo di Stato militare che rovesciò la monarchia di Faruk e quattro anni dopo la proclamazione dello Stato di Israele, ed è da oltre 35 anni che me ne occupo professionalmente come giornalista. Ebbene da allora l'unico dato certo e immutato è il rifiuto arabo ed islamico a riconoscere il diritto di Israele ad esistere come Stato del popolo ebraico. Che è cosa sostanzialmente diversa dall' accettazione de facto di Israele come Stato sul piano diplomatico, che non esclude che prima o dopo lo si pugnali alle spalle non avendo mai riconosciuto la ragione storica, identitaria e legale della Patria naturale del popolo ebraico. Mentre oggi il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si accinge a discutere la richiesta del presidente dell' Autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen di riconoscere l'indipendenza dello Stato della Palestina, in modo unilaterale e a prescindere dall'assenza di un accordo di pace con Israele, mi sembra di rivedere per l'ennesima volta un copione fin troppo consumato in cui da parte araba si ostenta una pace che dovrebbe tradursi nella restituzione di territori occupati in cambio dell'accettazione di Israele come «dato di fatto» perché attualmente inespugnabile, ma senza il riconoscimento dell' identità ebraica dello Stato, salvaguardando pertanto l'opzione di annientarlo fisicamente quando i rapporti di forza lo permetteranno o anche dissolverlo con la bomba demografica. Ebbene nonostante che in passato Israele si sia resa disponibile a percorrere questa opzione di pace che si tradurrebbe in realtà in una tregua, ad opporvisi sono stati puntualmente i terroristi islamici o nazionalisti palestinesi che sono pregiudizialmente contrari a qualsiasi intesa sia perché pregiudizialmente contrari alla pace con lo Stato ebraico, sia perché non si fidano dei governanti palestinesi che condannano come traditori. La verità è che non è mai esistito nella Storia uno Stato della Palestina così come il «popolo palestinese » è un'invenzione contemporanea che gli stessi Paesi arabi hanno messo in discussione fino al 1967. La stessa risoluzione 181 delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947 che legittima la nascita dello Stato di Israele, contempla contemporaneamente la costituzione di uno «Stato arabo» e non di uno «Stato palestinese». Il termine «Palestina» individuava una entità geografica, non politica. Tanto è vero che alla fine della guerra sferrata dall'insieme dei Paesi arabi per stroncare sul nascere lo Stato d'Israele all'indomani della proclamazione dell'indipendenza pronunciata da David Ben Gurion, il territorio su cui sarebbe dovuto nascere lo «Stato arabo» fu spartito tra Israele, che si annesse la Galilea e il settore occidentale di Gerusalemme, tra la Giordania che si annesse la Cisgiordania e il settore orientale di Gerusalemme, e tra l'Egitto che occupò la Striscia di Gaza. Se la Giordania e l'Egitto fossero stati sinceramente interessati a sostenere il diritto dei palestinesi, nessuno avrebbe potuto impedire loro di consentire la nascita di uno Stato palestinese sui territori da loro occupati. Invece perpetuarono l'occupazione di quei territori dal 1948 al 1967 perché disconoscevano la nozione stessa di «popolo palestinese » e predicavano una mistificatoria «causa araba» contro il diritto di Israele e del popolo ebraico ad esistere. La verità è che è stato Israele, non i Paesi arabi, ad offrire per primo ai palestinesi l'opportunità di creare il proprio Stato indipendente come sbocco del processo negoziale avviato dalla storica stretta di mano tra Rabin e Arafat il 13 settembre 1993 nel «Giardino delle rose» alla Casa Bianca alla presenza del presidente Clinton. In cambio Israele ottenne sia l'esplosione di una scia incontenibile di attentati terroristici suicidi perpetrati da Hamas, Jihad Islamica e nazionalisti palestinesi delle cosiddette «Brigate dei martiri di Al Aqsa» che si scoprì essere legati allo stesso Arafat; sia la conferma che Arafat mentiva dopo che in un sermone pronunciato in una moschea in Sudafrica paragonò gli accordi di Oslo alla hudna , la tregua di Hudaibiya, sottoscritta da Maometto nel 628 con i suoi nemici meccani, che violò non appena consolidò le proprie forze. Arafat confermò che era pregiudizialmente contrario al riconoscimento del diritto di Israele ad esistere come Stato del popolo ebraico quando nel 2000 rifiutò la proposta di pace più generosa che potesse essergli offerta a seguito dei negoziati svoltisi a Camp David con la mediazione di Clinton. L'allora premier Barak era disponibile a riconoscere uno Stato palestinese sul 97% dei territori occupati nel 1967 con lo scambio di territori per il restante 3% trattandosi di insediamenti ebraici che sono ormai parte integrante di Gerusalemme. Con l'attuale presidente dell' Anp Abu Mazen la situazione è sostanzialmente immutata. Nella lettera inviata al segretario generale dell'Onu Ban Ki-Moon con cui chiede il riconoscimento dello Stato della Palestina, si qualifica come «Presidente dello Stato Palestinese », che non esiste, e «Presidente del Comitato esecutivo dell' Organizzazione per la liberazione della Palestina» nel cui Statuto si predica di fatto l'eliminazione di Israele....
Tutto ciò non depone bene per il futuro della pace in Medio Oriente. Ma per fortuna i palestinesi sembrano migliori dei loro governanti. Stando a un sondaggio realizzato dal Palestinian center for public opinion il 6 settembre 2011, ben il 59% dei palestinesi interpellati si dice favorevole al ripristino dei negoziati con Israele per conseguire un accordo di pace stabile e dopo ottenerne la ratifica all' Onu, mentre solo il 35% si è espresso a favore dell'immediata proclamazione unilaterale dello Stato palestinese da parte dell'Onu. Speriamo che i palestinesi sappiano far prevalere il buonsenso e la volontà autentica della pace a cui aspira la stragrande maggioranza degli israeliani e che è stata ribadita anche all'Onu dal premier Netanyahu. Personalmente non mi faccio molte illusioni. Nell'insieme del Medio Oriente la cosiddetta «Primavera araba» sta facendo emergere un blocco islamico e nazionalista che è essenzialmente concorde su un punto: l'odio nei confronti di Israele. Il popolo ebraico per primo deve prepararsi a tempi duri, e insieme a lui tutti noi.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Obama parlò di Stato per la Palestina noi gli abbiamo creduto"

Abu Mazen con Yasser Arafat
Ecco alcune delle dichiarazioni di Abu Mazen, mai contraddetto da Udg, sui negoziati : "Rabin, Peres, Sharon, Olmert, Livni…con tutti loro negoziare è stato possibile, ma con Netanyahu ciò risulta impossibile". Abu Mazen elenca diversi premier israeliani coi quali, a suo avviso, era possibile negoziare. Eppure la situazione non si è mai risolta. Forse perchè è coi leader palestinesi che non è possibile trattare? Forse perchè gli unici che non sono disposti a cedere su nulla, fino alla cancellazione di Israele, sono i palestinesi?
Abu Mazen accusa Netanyahu di essere incapace di negoziare perchè 'inflessibile' e continua : "Un anno fa – dice a l’Unità – il presidente Obama aveva sostenuto sempre dalla tribuna dell’Onu che era ottimista sul fatto che un anno dopo lo Stato di Palestina potesse essere una realtà. ". Obama, come i suoi predecessori, auspica la fine del conflitto israelo-palestinese e la fondazione di uno Stato palestinese, ma non 'grazie' a proclamazioni unilaterali. Quello che ha chiesto Obama è di riprendere i negoziati, cosa che Abu Mazen non è disposto a fare.
"Noi lo abbiamo preso sul serio, abbiamo cercato il dialogo ma dall’altra parte non abbiamo avuto che gesti di chiusura. Netanyahu parlava di pace mentre gli insediamenti crescevano e gli appelli della comunità internazionale ad una moratoria restavano lettera morta". Netanyahu ha congelato le costruzioni nei territori contesi per 10 mesi. Mesi durante i quali Abu Mazen è stato immobile. Salvo, poi, a moratoria scaduta, pretendere una proroga del congelamento solo per sedersi al tavolo dei negoziati e senza offrire garanzie per Israele in cambio. Un'idea alquanto bizzarra di negoziato.
La storia e i fatti dimostrano che non è Israele a rifiutare di trattare, ma gli arabi. Non è ciò che si legge nell'articolo di Udg, però, troppo preso a elogiare 'Abu Mazen il moderato' per raccontare ai suoi lettori la verità.
Ecco il pezzo:
Sorride soddisfatto alla gente che lo acclama. Sa di aver scatenato passio- ni e speranza, ma,soprattutto, sa di aver fatto la cosa giusta. Da New York a Ramallah, dalla tribuna delle Nazioni Unite, alla Piazza dei Leoni, cuore della città cisgiordana che ospita la Muqata, lo storico quartier generale dell’Anp. Mai come oggi, Mahmud Abbas (Abu Mazen) è davvero il Presidente di unpopolo che ha salutato con entusiasmo il suo discorso al Palazzo di Vetro. «Ho cercato di rappresentare le aspirazioni della mia gente, le nostre tragedie e al tempo stesso il de- siderio insopprimibile di vivere da gente libera in uno Stato indipen- dente», dice a l’Unità Abu Mazen, che di fronte all’accostamento a Yasser Arafat, si limita a dire: «Per me è un onore, un grande onore..«.
Mahmud “il moderato” non si riconosce neanche un po’ nell’immagine del leader duro, inflessibile, che la destra israeliana ha inteso dare di lui in questi giorni: «Il problema – afferma – non sono io, ma il signor Netanyahu, il leader israeliano più inflessibile tra quelli, e sono stati tanti, con cui ho avuto a che fare».
Li elenca rapidamente: «Rabin, Peres, Sharon, Olmert, Livni…con tutti loro negoziare è stato possibile, ma con Netanyahu ciò risulta impossibile.E questo perché sono le sue posizioni ideologiche che gli impediscono di comprendere le ragioni degli altri».
E all’accusa di aver posto in essere una forzatura unilaterale, replica: «In questi anni di unilaterale c’è stata l’incessante colonizzazione israeliana dei Territori, la costruzione del Muro, unilaterale è l’oppressione esercitata contro il mio popolo». I suoi più stretti collaboratori lo reclamano, la folla lo attende. Su unpuntoAbuMazeninsiste con forza: il fattore tempo. «Un anno fa – dice a l’Unità – il presidente Obama aveva sostenuto sempre dalla tribuna dell’Onu che era ottimista sul fat- to cheunanno dopo lo Stato di Palestina potesse essere una realtà. Noi lo abbiamo preso sul serio, abbiamo cercato il dialogo ma dall’altra parte non abbiamo avuto che gesti di chiusura. Netanyahu parlava di pace mentre gli insediamenti crescevano e gli appelli della comunità internazionale ad una moratoria restavano lettera morta. Rivolgersi alle Nazioni Unite non era un nostro diritto, era mio dovere». Il tempo stringe. «L’ho detto al presidente Obama, l’ho ripetuto nell’intervento all’Assemblea Generale, lo ribadisco oggi: so- no pronto a riaprire da subito il negoziato direttomasu basi chiari, su con- tenuti concreti: i palestinesi non pos- sono negoziare qualsiasi proposta che non sia basata su confini del 1967e nongarantireuncongelamen- to degli insediamenti in Cisgiorda- nia». Abu Mazen pesa le parole: una proposta «basata» non significa, spie- ga un suo stretto collaboratore, che «non si possa porre delle modifiche, limitate, da negoziare sulla base del principio della reciprocità». Ora i pa- lestinesi attendono il pronunciamen- to del Consiglio di Sicurezza.AbuMazen non chiude la porta aduna subordinata: se il massimo organismo delle Nazioni Unite dovesse rispondere negativamente, per il veto annunciato dagli Usa, alla lettera consegnata dal presidente dell’Anp al numero uno del Palazzo di Vetro Ban Ki-moon, in cui si chiede la piena adesione della Palestina come 194° Stato membro dell’Onu, in quel caso, lascia intendereAbuMazen,i palestinesi potrebbero chiedere all’Assemblea Generale di votare per elevare lo status della delegazione palestinese a Stato “osservatore”. Non membri a tutti gli effetti, dunque,ma la vittoria in Assemblea sarebbe sicura e consentirebbe ai palestinesi di accedere ad organismicomela Corte penale internazionale, dove potrebbero denunciare l’occupazione israeliana. «I numeri ci sono, il consenso che abbiamo ottenuto è stato al di sopra delle nostre aspettative», rimarca Abu Mazen. Il suo è un impegno che non viene meno: «La ricerca della pace – afferma – è per noiuna scelta strategica, ma per reggere la pace deve essere giusta, tra pari. Una pace tra due Stati». L’ultima battuta è per la sua gente: «Dobbiamo essere decisi e lungimiranti – rimarca -. Sappiamo che la strada per realizzare l’indipendenza sarà lunga e piena di ostacoli. Dobbiamo restare uniti e continuare a manifestare pacificamente. Il mondo ci guarda, e anche in Israele si sono levate molte e autorevoli voci a sostegno della nostra iniziativa che, voglio ripeterlo, non mina la sicurezza d’Israele ma afferma il nostro diritto ad una Palestina indipendente». Alla fine, un annuncio che sa di promessa: «La Primavera palestinese sta arrivando, e sarà una primavera di libertà…». Migliaia di palestinesi reclamano il loro Presidente. Per la Cisgiordania è un giorno di festa. All’arrivo a Ramallah depone corona di fiori sulla tomba del suo predecessore, il “padre della patria” Yasser Arafat, prima di rivolgersi alla folla che sventolava bandiere palestinesi e grida: «Col sangue e con le nostre anime ti riscatteremo o Palestina» e «Siamo tutti con te o Abu Mazene ti sosteniamo».«Siamo andati all'Onu, portando le vostre speranze, i vostri sogni, le vostre ambizioni, le vostre sofferenze e il vostro desiderio di uno Stato palestinese indipendente », urla più volte interrotto dalle acclamazioni. Il trionfo è completo, ma il difficile deve ancora arrivare.
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