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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Il Giornale Rassegna Stampa
19.09.2011 Erdogan fa il gradasso, con Israele, Cipro e Grecia. Saprà la Ue tenergli testa ?
cronaca di Reanato Fabbri, commenti di Aldo Baquis, Magdi C.Allam

Testata:La Stampa-Il Giornale
Autore: Ando Baquis-Roberto Fabbri-Magdi Cristiano Allam
Titolo: «Il braccio di ferro è sul gas, Nicosia trivella in mare insieme agli israeliani-Erdogan minaccia l'Europa: pronti a rompere le relazioni-»
Erdogan fa il gradasso, eppure c'è chi si preoccupa nel timore che possa saltare l'entrata nella UE della Turchia. E' quanto scrive Vittorio Emanuele Parsi, in una analisi sulla STAMPA di oggi, 19/09/2011,a pag.1. Dopo avergliene dette di tutti colori, arrivando a paragonarlo a Mussolini, termina con un elogio alla laicità della Turchia, il che val bene l'ignorare tutto il resto.
Stupisce una analisi così sbilanciata, chissà, forse la Turchia in Europa rientra nei progetti Fiat ?
Per capire quanto accade, riprendiamo il pezzo di Aldo Baquis, sempre dalla STAMPA a pag.14, la cronaca di Roberto Fabbri dal GIORNALE a pag.12, e il commento di Magdi Cristiano Allam, sul GIORNALE a pag.12.
La Stampa-Aldo Baquis: " Il braccio di ferro è sul gas, Nicosia trivella in mare insieme agli israeliani"
 Leviathan, Israele
Fra Israele e Turchia spunta una «mina cipriota». Le relazioni già esasperate fra i due ex alleati sono adesso messe ad una nuova prova per l’imminente inizio al largo di Cipro di prospezioni per lo sfruttamento, in sintonia con Israele, di un immenso giacimento di gas naturale. Navi da guerra ed aerei delle Turchia hanno ieri seguito molto da vicino i preparativi ciprioti mentre il capo della diplomazia di Ankara, Ahmet Davutoglou, ha già affermato che questa iniziativa «rappresenta una provocazione» anche perché, a suo avviso, ignora i diritti della Repubblica di Cipro Nord, che peraltro è riconosciuta solo dalla Turchia.

Nelle ultime settimane - in una catena di reazioni legate al sanguinoso abbordaggio della nave Marmara a largo di Gaza da parte di un commando israeliano nel 2010 - gli attacchi verbali e diplomatici sferrati dalla Turchia ad Israele sono bruscamente saliti di intensità: hanno incluso la espulsione dell’ambasciatore di Israele e anche l’aggiornamento nei radar turchi della definizione di «apparecchi nemici» per gli aerei israeliani. Adesso la Turchia alza il tono anche verso Cipro, colpevole di aver concordato con Israele l’utilizzazione delle riserve di gas e di non aver portato avanti i negoziati per la pacificazione dei due settori dell’isola. L’irritazione di Ankara è tale che se nel giugno 2012 Cipro assumesse la presidenza di turno dell’Ue, la Turchia potrebbe congelare le relazioni con Bruxelles.

A Cipro gli avvertimenti turchi sono stati seguiti con attenzione. I dirigenti dell’isola - secondo la stampa locale - stanno soppesando l’opportunità di associarsi ad un accordo militare appena stretto da Israele e Grecia, allo scopo di contenere la politica sempre più preoccupante della Turchia. Anche Israele si è visto costretto ad esaminare da vicino le minacce del premier Recep Tayyp Erdogan di mantenere tre fregate e sette corvette nel Mediterraneo orientale «per garantire la libertà di navigazione» e per contrastare con determinazione le attività della marina militare israeliana. Secondo l’ammiraglio (in riserva) Amy Ayalon, ex comandante della marina di Israele, il suo Paese non ha alcuna intenzione di aprire il fuoco verso la marina turca ma al tempo stesso non può rinunciare alle attività di routine a largo di Creta e di Cipro.

Quest’anno la marina israeliana è stata incaricata di proteggere due giacimenti di gas naturale scoperti nel 2009: si tratta di Leviathan e Tamar, rispettivamente a 81 e a 56 miglia marine a largo di Haifa. La distanza fra Israele e Cipro è di 260 miglia e i due Paesi hanno concordato le rispettive Zone Economiche Esclusive: 130 miglia ciascuno. A oltre 5.000 metri di profondità è stato localizzato quello che sembra essere il maggior giacimento scoperto nel mondo negli ultimi dieci anni. La sua estremità meridionale si spinge fino a Gaza. Il suo sfruttamento garantirebbe a Israele, nel prossimo futuro, non solo l’indipendenza energetica ma anche la possibilità di diventare un Paese esportatore.

Ma Leviathan si trova non lontano dalle acque libanesi e gli Hezbollah hanno già minacciato attacchi e sabotaggi se «Israele osasse derubare il Libano delle sue ricchezze naturali»; la questione è passata all’esame dell’Onu. Adesso a questi avvertimenti si sono uniti quelli turchi e cresce così il rischio che a largo di Cipro si confrontino le marine militari di Israele e Grecia, da un lato, e quella della Turchia dall’altro. Tutti Paesi che rientrano nell’orbita degli Stati Uniti: i quali seguono lo sviluppo della crisi col fiato sospeso. Ieri intanto la piattaforma americana per le trivellazioni «Homer Ferrington», della compagnia Nobel Energy, ha concluso le sue operazioni di esplorazione nelle acque israeliane ed è stata posizionata in quelle cipriote, in una località chiamata Afrodite.
 
Il Giornale-Roberto Fabbri: " Erdogan minaccia l'Europa: pronti a rompere le relazioni "
 
L’effervescente Turchia di Re­cep Tayyip Erdogan, già impegna­ta in un complesso e audace gioco politico in ambito mediorientale che l’ha riportata in primissimo piano, apre (o meglio, riapre) un altro fronte: quello con l’Europa, sua croce e delizia. Occasione di una nuova minaccia di spariglia­mento di carte è l’ormai prossima (è in calendario per il semestre che va da luglio a dicembre del 2012) presidenza di turno del­l’Unione Europea alla Repubbli­ca di Cipro. Ankara ha annuncia­to in tono ufficiale che se prima di luglio non sarà trovata una solu­zione all’annosa questione della divisione dell’isola, la Turchia so­spenderà le sue relazioni con l’Ue.
La minaccia turca fa intravvede­re un futuro in cui Ankara sarà an­cor più di adesso riorientata verso Est, perseguendo politiche in pro­gressiva contrapposizione con quelle occidentali. E sembra una carta giocata allo scopo di ottene­re, per i suoi fini a Cipro e non solo, pressioni sull’Europa da parte de­­gli Stati Uniti, sempre più preoccu­pati della brutta piega che stanno prendendo i loro rapporti con i lo­ro­tre principali alleati nella regio­ne: la Turchia, appunto, oltre a Israele e all’Egitto.
Bisogna ricordare che dopo il fallito colpo di Stato filoellenico e la successiva invasione turca del­l’estate 1974, l’isola di Cipro è divi­sa di fatto in due Repubbliche. Una, quella greca di lingua e di cul­tura, è l’erede del precedente Sta­to unitario ed è riconosciuta da tut­to il mondo tanto da essere parte anche dell’Unione Europea e da avere l’euro come valuta dal gen­naio 2008; l’altra, il cui territorio coincide con l’area occupata dal­l’esercito turco 37 anni fa, è ricono­sciuta solo dalla Turchia e ha una popolazione turca che solo in par­te è turco-cipriota: Ankara infatti vi ha inviato in questi decenni de­cine di migliaia di coloni per ren­dere irreversibile il suo legame con la «Repubblica turca di Cipro Nord». Nell’ultimo decennio so­no stati condotti negoziati per giungere a una riunificazione del­­l’isola, ma l’obiettivo è parso falli­re già nel 2004 quando i greco-ci­prioti hanno largamente respinto per referendum il piano dell’Onu che i turco-ciprioti avevano inve­ce accettato.
Erdogan ha già minacciato più volte di congelare i rapporti con l’Ue sulla questione cipriota,l’ulti­ma volta lo scorso luglio chiaren­do che «non ci è possibile discute­re con l’amministrazione greco­cipriota ». Ma questa volta la situa­zione è più complicata. Lo stesso vicepremier turco Besir Atalay ha messo in relazione la minaccia
con l’attuale profonda crisi tra il suo Paese e Israele e ha accusato i greco-ciprioti di approfittare di questa situazione per dedicarsi a ricerche di gas e petrolio nelle pro­prie acque territoriali del Mediter­raneo «creando confusione». An­che questa è una vicenda comples­sa e vale la pena di ricordare che Atene, naturale “sorella maggio­re” della Cipro greca, sta prenden­do il posto di Ankara come alleato privilegiato regionale di Israele, creando un nuovo asse di cui la Turchia teme che Nicosia si avvan­taggi.
La stessa Israele,tra l’altro, è sul punto di intraprendere lo sfrutt­a­mento di giacimenti di gas al largo delle sue coste settentrionali, ma Erdogan ha già fatto capire che vi si opporrà anche con la forza per tutelare gli interessi del Libano, che di quei giacimenti rivendica la comproprietà per una questio­ne di confini marittimi. Ennesimo capitolo della politica di grandeur neo-ottomana che il leader turco ha deciso di legare al suo nome.

Il Giornale-Magdi Cristiano Allam: " Perchè non si deve cedere a questo aspirante sultano"
 
Se un singolo Paese islamico come la Turchia, per quanto importante sul piano geo-politico, militare ed economico, è già oggi in grado di tenere sotto scacco l'Unione Europea e al tempo stesso di aggiudicarsi, con il benestare e la complicità dell'insieme dell'Occidente, il ruolo guida nella riesuma­zione di un califfato islamico sulle sponde del Mediterraneo che illudendoci immagi­niamo democratico e liberale, significa che questa Europa è totalmente impotente e che l'Occidente è votato al suicidio.
La minaccia formulata ieri dal governo turco di congelare i rapporti con la Ue se nel luglio del 2012 la presidenza di turno dell' Unione verrà assunta da Cipro, conforme­mente al normale avvicendamento tra i 27 Paesi membri, qualora entro quella data i negoziati di pace non saranno conclusi, suo­na come un ricatto inaccettabile. Casomai avremmo dovuto essere noi europei a im­porre alla Turchia il ritiro del suo esercito che occupa militarmente il settore setten­trionale dell'isola sin dal 1974, come condi­zione per avviare qualsiasi negoziato sul suo ingresso nella Ue. Non solo non l'abbia­mo fatto ma ci siamo ridotti ad essere noi a corteggiare la Turchia affinché entri nell' Unione, nonostante l'occupazione milita­re, la pulizia etnica nei confronti dei greco­ciprioti costretti ad abbandonare le loro ca­s­e e le loro proprietà sostituendoli con citta­dini turchi, lo sfregio delle chiese distrutte o trasformate in moschee. Sin d'ora, se voles­simo prefigurarci la prospettiva dell'Euro­pa dopo l'eventuale ingresso della Turchia nell'Unione, non dovremmo far altro che vi­si­tare il settore settentrionale di Cipro, che è territorio europeo occupato militarmente ma che l'Europa ha scelto di non difendere accettando che si trasformasse in oggetto di trattative.
So bene quanto oggi sia importante eco­nomicamente per le imprese italiane ed eu­ropee la Turchia, che è il Paese che registra la più alta percentuale di investimenti delle imprese italiane ed è il principale acquiren­te delle armi prodotte in Italia.
Ma proprio il violento terremoto che sta accadendo sull' altra sponda del Mediterraneo, enfatica­mente ribattezzato Primavera araba, ci inse­gna che gli affari non reggono nel medio e lungo termine se non vi è condivisione di va­lori assoluti e universali e adesione ad una comune concezione della civiltà.
La Turchia di Erdogan non ha nulla a che spartire con i nostri valori e la nostra civiltà. La recente decisione di espellere l'amba­sciatore d'Israele, di interrompere tutti i rap­porti militari e commerciali, di far scortare da navi militari le imbarcazioni turche che cercheranno di approdare a Gaza ignoran­do il blocco israeliano e, al tempo stesso, di scegliere come interlocutore palestinese Hamas, di proporsi come alleato del fronte arabo in un eventuale scontro con Israele, sono tutti fatti che attestano che non abbia­mo a che fare come un regime moderato e
pacifico. Certamente Erdogan non è né mo­derato né pacifico. Nel 1997 l'attuale pre­mi­er turco fu arrestato per aver letto in pub­blico una poesia che recitava: «I minareti so­no le nostre baionette, le cupole sono i no­stri elmetti, le moschee sono le nostre caser­me ». Nel 1998 Erdogan è stato condannato per incitamento all'odio religioso ed è stato bandito dalle cariche pubbliche, con l'esclu­sione dal corpo elettorale fino al 2002. Dei 10 mesi di condanna, ne scontò 4 in carcere. L'ostilità di Erdogan nei confronti di Israe­le non è una semplice reazione all'uccisio­ne di nove cittadini turchi a bordo della na­ve Marmara che nel maggio del 2010 tentò con violenza di approdare a Gaza scontran­do­si con le forze speciali israeliane che vi fe­cero irruzione. È parte integrante della sua ideologia islamica integralista. Per l'Unio­ne-Europea la salvaguardia del diritto di Isra­ele ad esistere come Stato del popolo ebrai­co dovrebbe essere un principio non nego­ziabile perché corrisponde alla difesa della sacralità della vita di tutti. Uso il condiziona­le perché evidentemente questa Europa dell'euro, relativista, buonista ed islamica­mente corretta si è trasformata in una landa deserta e si è rassegnata a diventare una ter­ra di occupazione.
Mi domando: che c'entra la Turchia con l'Europa? Basta guardare la carta geografi­ca per ' scoprire' che la Turchia non è in Eu­ropa. Calcolando minuziosamente la super­­ficie, si accerta che ben il 97% del territorio turco è in Asia. Se si dovesse considerare eu­ropeo uno Stato che ha il 3% del territorio na­zionale nell'Europa geografica, allora do­vremmo ritenere che anche la Tunisia fa par­te dell'Europa, avendo la punta settentrio­nale più a nord dell'estremo limite meridio­nale dell'Italia, ossia l'isola di Lampedusa.
Da quando la Turchia è sottomessa a dei governi islamici, la società turca è sempre più involuta, intollerante ed aggressiva. Ne­gli ultimi anni è cresciuta la repressione nei confronti dei cristiani. Ci sono stati diversi missionari e sacerdoti assassinati, tra cui i nostri connazionali don Andrea Santoro il 5 febbraio 2006 a Trebisonda e monsignor Luigi Padovese il 3 giugno 2010 a Iskende­run. Oggi in Turchia i cristiani sono costretti a professare la loro fede in semi-clandestini­tà, con le chiese protette dai militari, avvolti in un clima di pregiudizio e di ostilità ali­mentato dai mezzi di comunicazione di massa. Tuttora è considerato reato denun­ciare il genocidio di circa un milione e mez­zo di cristiani armeni tra il 1915 e il 1919, così come prosegue la violenta repressione del popolo curdo.
E noi affidiamo a questo regime islamico la nostra sorte, dandogli la missione di rove­sciare i regimi dittatoriali laici che erano al potere sull'altra sponda del Mediterraneo per sostituirli con regimi islamici simili. Eb­bene se il nostro modello di vicino di casa è il regime islamico turco di Erdogan, vuol pro­prio dir­e che abbiamo messo in soffitta la ra­gione e abbiamo cessato di volerci del bene.

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