In Libia è in arrivo la sharia, come racconta Davide Frattini, sul CORRIERE della SERA di oggi, 18/09/2011, a pag.18. Mentre Carlo Panella, su LIBERO, a pag.17, analizza la situazione creatasi in Iran rispetto alla caduta di Mubarak e Gheddafi.
Ecco gli articoli:
Corriere della Sera-Davide Frattini: " Velo integrale e sharia: la nuova Libia sognata dai gruppi integralisti "

DAL NOSTRO INVIATO
TRIPOLI — La clinica universitaria è vuota di studenti e piena di fervore. L'aula magna viene divisa in settori: da una parte gli uomini, dall'altra le donne, nascoste dal velo integrale, guanti e garza nera sugli occhi. Annuiscono — o almeno sembra — quando il relatore proclama al microfono che la sharia ha garantito l'equilibrio tra i sessi. I volontari distribuiscono i volantini preparati dal neo-movimento della gioventù islamica. Stampati verde su giallo, illustrano il decalogo per costruire la nuova Libia, quella che vorrebbero i duecento militanti seduti sulle gradinate.
L'organizzazione è nata a Bengasi, come la rivoluzione che ha deposto Muammar Gheddafi dopo quarantadue anni. «Non siamo un partito e non vogliamo diventarlo», ripetono i fondatori. Che discutono di democrazia e modelli di Stato — la Turchia guidata da Recep Tayyp Erdogan è considerata troppo laica — e apprezzano quell'articolo determinativo inserito nella Costituzione provvisoria: le norme islamiche sono «la» fonte principale della legislazione, invece dell'indistinto «una delle» che avrebbero preferito alcuni ministri del nuovo governo.
La scelta è approvata anche da Salwa el-Deghali, l'unica donna rimasta nel Consiglio nazionale di transizione: «La Libia è un Paese musulmano e le istituzioni della nazione verranno consolidate attorno all'islam moderato». Sei giorni fa, nel primo discorso dall'arrivo a Tripoli, il presidente Mustafa Abdul Jalil ha ripetuto che non accetterà nessuna «forma di ideologia estremista, né da destra né da sinistra».
I ribelli che hanno assaltato le ville dei figli di Gheddafi hanno requisito bottiglie di vodka e di whisky, quel Johnny Walker etichetta nera simbolo di status in tutto il Medio Oriente. Quello che era ammissibile per Saadi, Hannibal e gli altri fratelli non lo è nei negozi o nei ristoranti di Tripoli e Bengasi. La famiglia di regime — malgrado l'imponente moschea ancora in costruzione voluta da Safiya, la seconda moglie del Colonnello — conduceva una vita ben lontana dalle famiglie libiche, che restano molto tradizionaliste e conservatrici. I predicatori come Ali Sallabi non sentono il bisogno di discutere della sharia, perché sanno che è già accolta dalla società. «Questa è la rivoluzione del popolo — dice al quotidiano New York Times — e il popolo è musulmano. I laici possono partecipare alle elezioni, vedremo chi vince. Se una donna diventasse presidente, siamo pronti ad accettarlo».
Sembra convinto della forza del partito che ha deciso di fondare. Non ha ancora un nome, ma già contende il potere a Mahmoud Jibril: il primo ministro — urla lo sceicco nei comizi e via satellite su Al Jazira — non può restare altri otto mesi. «Sta piazzando gli amici e i parenti nei posti chiave. Non vogliamo ritornare alla dittatura». Nel 2005 è stato Sallabi a negoziare con il regime un programma di riabilitazione per i miliziani fondamentalisti del Gruppo combattente islamico libico. Saif, il primogenito del Colonnello, si era accorto della sua influenza e aveva deciso di trattare con lui.
Il consiglio di transizione, sparpagliato in queste settimane tra la capitale e l'est del Paese, si riunisce oggi a Bengasi proprio per discutere delle pressioni che arrivano dalle formazioni islamiste. Jalil deve convivere con il potere armato di Abdel Hakim Belhaj, il veterano jihadista nominato governatore militare di Tripoli per acclamazione dei suoi miliziani. E con il potere ombra di Etilaf, uno dei gruppi religiosi dominanti in città. Agisce come una guida rivoluzionaria del popolo, semi-clandestina. All'inizio del mese ha appeso i suoi manifesti-proclami ai cancelli degli ospedali: «Entro sette giorni tutti gli uffici pubblici devono essere diretti da una persona decorosa».
Libero-Carlo Panella: " La primavera araba ha fatto un favore all'Iran "

Attacco frontale dell’ayatollah Khamenei all’Italia col fine dichiarato di impedire all’Occidente di condizionare in senso democratico la “primavera araba”: «Non fidatevi mai degli Usa, della Nato e di regimi criminali come la Gran Bretagna, la Francia e l'Italia, perché l'Occidente complotta per sabotare i risultati del risveglio islamico che ha dato vita alle rivoluzioni e alla rivolte tra nord Africa e Medio Oriente ». Un discorso allarmante che mette in luce come l’Iran, per uno strano ma non raro scherzo della storia sia il Paese che in realtà più ha goduto nel breve periodo dal crollo dei regimi arabi, in primis di quello di Hosni Mubarak in Egitto. Tutta la strategia dei Paesi arabi avversi alla dittatura iraniana degli ayatollah che si sta dotando di una bomba atomica, come l’Ara - bia Saudita, così come degli Usa e dell’Occidente, aveva infatti nel regime egiziano il suo indispensabile baricentro e punto di forza. Ma ora, la primavera araba ha spazzato via Mubarak e ha anche permesso a Teheran di costruirsi una testa di ponte in Libia, dove è caduto un altro nemico storico del regime fondato dall’ayatollah Khomeini (il ministro degli Esteri di Teheran Ali Akbar Salehi ha dichiarato nei giorni scorsi di avere fornito ai ribelli di Bengasi armi e “aiuti umanitari”). Non solo, la tempesta che ha demolito i regimi arabi, oltre a eliminare il caposaldo della “trincea sunnita” contro gli sciiti iraniani, ha anche aperto loro le porte per costruirsi degli alleati tra i nuovi movimenti e partiti politici egiziani e libici. In Egitto, la “testa di ponte” iraniana è Hamas, che controlla la confinante Striscia di Gaza e che da 6 anni è strettissimo alleato di Teheran, da cui riceve armi e aiuti. In questo contesto, il regime iraniano ha organizzato ieri a Teheran una “Confe - renza internazionale sul Risveglio Islamico”, a cui hanno partecipato 500 esperti di studi islamici giunti da 80 Paesi. Un appuntamento mirato appunto a dare forza a quei movimenti che intendono opporsi a che in Egitto e Libia (ma anche in Siria, quando e se cadrà il regime di Beshar al Assad) si rafforzino Stati basati su istituzioni democratiche e laiche, come peraltro ha chiesto il premier turco Erdogan che al Cairo e a Tripoli ha esaltato il valore della laicità dello Stato (suscitando l’ira sdegnata dei Fratelli Musulmani). L’ayatollah Khamenei ha prima accusato la Nato di intervento indebito in Libia – «responsabile di irreparabili perdite tra i civili»: sostenendo che anche senza la Nato il movimento popolare contro Gheddafi, avrebbe «raggiunto, anche se solo più tardi i suoi obiettivi». Poi si è lanciato a testa bassa contro i «governi criminali» che, dopo avere bombardato la Libia, tentano ora di condizionarne una crescita in nome di principi di libertà: «L’Occidente organizza complotti per imporre Costituzioni non basate sulla sharia che possono causare dipendenza economica dall’Europa e dagli Stati Uniti ». Invece, secondo Khamenei, è indispensabile “scrivere i principi del Corano nei nuovi ordinamenti”. Una iniziativa politico-religiosa a tutto campo che dimostra il rilievo della partita che si gioca al Cairo e a Tripoli, dove Teheran cerca di capitalizzarne al massimo i dividendi, agendo sul punto discriminante e a oggi più incerto: l’impianto di Costituzioni che si basino sulla laicità e sulla democrazia, oppure che consacrino la sharia come punto di riferimento vincolante, a scapito della libertà di pensiero, di religione e della parità delle donne. Purtroppo, i primi segnali che vengono dal Cairo e da Tripoli vanno nella direzione auspicata dall’ayatollah Khamenei, con progetti di nuove Costituzioni volute dai “nuo - vi” governanti che hanno proprio nella sharia il “punto di riferimento centrale”. Il tutto, in una Libia in cui la debolezza militare estrema dei “ribelli” di Bengasi - e la residua forza politica di Gheddafi e dei suoi non pochi seguaci - fanno presagire un lungo periodo di instabilità, tanto che ieri le truppe lealiste del raìs hanno costretto i “ribelli” che le assediavano a una fuga precipitosa a Bani Walid e a Sirte.
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