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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.09.2011 Una visione rosea e distorta della Turchia
Lucia Annunziata e Roberto Tottoli sulla stessa lunghezza d'onda

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Lucia Annunziata - Roberto Tottoli
Titolo: «Non temete la Turchia - Il sogno imperiale di Erdogan e la sfida silenziosa con l'Iran»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 14/09/2011, a pag. 1-31, l'articolo di Lucia Annunziata dal titolo " Non temete la Turchia ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 42, l'articolo di Roberto Tottoli dal titolo " Il sogno imperiale di Erdogan e la sfida silenziosa con l'Iran ".

Lucia Annunziata e Roberto Tottoli sono entrambi convinti che la Turchia rappresenti un esempio di democrazia da seguire nel mondo arabo. Una valida alternativa all'Iran e all'Arabia Saudita. Sì, la Turchia non è una teocrazia, ma non si può definirla 'democrazia'. Il piano islamico di Erdogan ha spazzato via il ricordo della Turchia di Ataturk. Un piano che prosegue indisturbato da una decina di anni fra censura e limitazioni del potere degli unici garanti della laicità e della democrazia turche, i militari.
Com'è possibile conciliare la censura e la politica mediorientale di Erdogan con la visione rosea che Tottoli e Annunziata hanno della Turchia?
Ecco i due articoli:

La STAMPA - Lucia Annunziata : " Non temete la Turchia "


Lucia Annunziata

Tayyip è stato, nell’ultimo anno, il nome più popolare per i nuovi nati nella Striscia di Gaza. Tayyp come Erdogan, primo ministro turco che si è meritato questo onore aiutando la flotta dei pacifisti a Gaza, e che ieri ha iniziato il suo tour nelle capitali della primavera araba scandendo al Cairo davanti alla Lega Araba: «Il riconoscimento di uno Stato palestinese non è una scelta, ma un obbligo». La frase, pronunciata due giorni dopo l’assalto all’ambasciata israeliana, dalla voce del premier di una nazione che per decenni è stata il miglior alleato musulmano di Israele, ha infiammato l’opinione pubblica ed ha fatto immediatamente dire che il Medioriente da oggi non sarà più lo stesso. Di sicuro l’affermazione è un’ulteriore minaccia a Israele, nonché una ulteriore complicazione per gli Stati Uniti.

Dobbiamo dunque aver paura della Turchia? Nasce un nuovo panislamismo radicale all’insegna stavolta della stella e della mezzaluna in campo rosso? Le rive del Bosforo hanno cullato la nascita di un nuovo Nasser?

A dispetto delle apparenze, la ragione e la realtà ci fanno propendere per il no.

Il viaggio di Tayyip Erdogan in «appoggio delle nuove democrazie» (si noti la scelta delle parole, così moderne comparate al vecchio vocabolario arabista) è ormai senza ombra di dubbio la mossa con cui il primo ministro lancia sulla scena internazionale l’ambizione della Turchia a guidare la regione. Sfidando ogni altro potere che già vi esercita la sua influenza - l’Arabia Saudita, l’Iran, e lo stesso Israele. Alle ancora entusiaste ma già dissanguate rivolte, l’uomo di Ankara porta una barca di aiuti economici e di contratti commerciali. Porta la forza politica e militare di una nazione di 79 milioni di abitanti con una crescita economica dell’8,9 per cento nel decennio, paragonabile solo a quella asiatica – nel 2010 con un picco del 12 per cento ha superato la Cina.

Non fa nessuna meraviglia che un tale Paese sia arrivato negli ultimi anni a sentirsi stretto nella sua vecchia pelle: «spalla» degli Stati Uniti, eterno aspirante all’Europa, alleato di Israele grazie a una enorme cooperazione delle industrie della difesa, ma anche sempre più attratto dalla sua identità musulmana e civile, dopo anni di dittature militari. Nell’ultimo anno, e dopo aver ricevuto un nuovo plebiscito elettorale nel 2010, Erdogan ha sciolto questa ambiguità, nella maniera con cui di solito si fa in Medioriente: rompendo ogni legame con Israele. Dopo l’aiuto alla flotta dei pacifisti per Gaza l’anno scorso, e il ritiro la scorsa settimana dell’ambasciatore turco da Tel Aviv, ieri, al Cairo, con le sue parole, ha deciso di appoggiare, senza se e senza ma, una spericolata mossa diplomatica che i palestinesi stanno preparando. Il 23 settembre, in occasione dell’assemblea generale, l’Olp chiederà il pieno riconoscimento come membro dell’Onu. Un passo che sarebbe di fatto un voto sulla creazione dello Stato palestinese. La mossa è destinata a creare un’enorme tensione. L’Olp infatti intende portare la richiesta non in Assemblea (dove avrebbe i due terzi) ma direttamente al Consiglio di sicurezza, dove avrà bisogno di nove voti su quindici per passare. E dove però un solo veto dei cinque membri permanenti del consiglio basta a bocciare la richiesta. I conti sono presto fatti. Dei cinque membri permanenti, Cina, Inghilterra, Russia, e Stati Uniti, è quasi certo che gli Stati Uniti porranno il veto. I palestinesi sanno di questo orientamento, e hanno intenzione di andare avanti proprio per forzare la mano in un senso o nell’altro al presidente Obama accusato oggi in Medioriente di coltivare un’ambigua politica.

Erdogan, dunque ieri, si è unito a questa politica di sfida, ponendosi lui come paladino dei palestinesi – fatto che ha sottolineato annunciando di star preparando un viaggio a Garza con il leader della Autorità palestinese Mahmoud Abbas, e la sua controparte di Hamas, Ismail Haniya.

La domanda iniziale - dobbiamo temere la Turchia? – sembra dunque molto giustificata.

Ma gli elementi di «irregolarità» che finora hanno fatto di questa nazione una eccezione nel mondo musulmano, formano un quadro molto più articolato di questa apparente radicalizzazione.

La doppia anima occidentale e orientale è difficilmente scindibile. Non sorprende dunque che lo stesso Erdogan che ha riportato la Turchia sulla strada dell’identità religiosa, ieri l’abbia così presentata al Cairo: «Lo Stato turco è uno Stato libero e secolare». Il successo economico del decennio del resto non sarebbe stato possibile senza questi valori, e senza una autentica partecipazione alla modernità occidentale. Dice qualcosa di questo Paese il fatto che Erdogan appena arrivato al Cairo abbia presentato la sua missione andando in televisione, ospite di un popolare talk politico di una attraente giornalista (non velata), Mona el-Shazly.

Va infine ricordato che i turchi sono musulmani ma non arabi. Cosa che fa una enorme differenza storica e culturale nei rapporti con l’Occidente.

Non è dunque un caso che l’aggancio all’Europa e l’alleanza con gli Stati Uniti non vengano messi in discussione, nemmeno mentre si rompe con Israele. Anzi la Turchia rimane fra i Paesi più «curati» dal Segretario di Stato Clinton perché considerato ancora oggi la vera testa di ponte, il più fidato retroterra di ogni operazione Usa in regione.

E forse la chiave per leggere le ambizioni di Erdogan è proprio questa: continuare a fare da ponte fra Oriente e Occidente, regnare sul Bosforo e la sua storia, ma senza padrinati.

Questo atletico primo ministro, amante di Ray-Ban a specchio, ex sindaco di Istanbul, ha dimostrato fin qui di saper creare cocktail politici di inusuale composizione – mischiando modernità e islamismo, laicismo e autoritarismo, forza e consenso. Non stupirebbe se riuscisse in futuro a combinare un ulteriore mix esercitando appieno la sua influenza sul mondo arabo, ma rispendendola poi anche nei suoi rapporti con l’Occidente.

CORRIERE della SERA - Roberto Tottoli : " Il sogno imperiale di Erdogan e la sfida silenziosa con l'Iran "


Roberto Tottoli

Il viaggio in Nordafrica di Erdogan evoca ricordi imperiali ottomani, ma non solo: rappresenta un deciso passo strategico nella regione in attesa delle prossime elezioni, con l'evidente funzione di frenare le analoghe mire iraniane.
Due gli ostacoli che rimangono sulla strada della nuova Turchia di Erdogan. Il primo è quello dell'eredità turca antica e recente. Evocare l'impero ottomano non è certo un buon viatico nella visita di Paesi arabi. Indipendenza e nazionalismi post-coloniali nacquero in contrapposizione all'impero ottomano e all'elemento turco. In più Kemal Ataturk non fece certo brillare le credenziali religiose della nuova Turchia del XX secolo: abolì il califfato e avviò una occidentalizzazione del Paese. La svolta islamica di Erdogan non ha neppure dieci anni, forse pochi per sovvertire diffidenze secolari e dubbi religiosi più recenti.
Il secondo ostacolo è quello rappresentato dalle altre potenze nella regione. L'Arabia Saudita e l'alleanza del Golfo, il Qatar con al-Jazeera in prima fila, non vorrà mancare ad avere un ruolo nel futuro della regione. È però l'Iran quello che pare avere credenziali più spendibili. L'asse con Hezbollah, e fino a ieri con la Siria, ha garantito una presenza salda nel mondo arabo. La vicinanza ideologica ai partiti religiosi e al radicalismo islamico ha aiutato a superare le diffidenze secolari tra sunniti e sciiti. Non a caso l'Iran è stato tra i primi a salutare con entusiasmo la primavera araba, almeno finché non ha raggiunto la Siria.
Erdogan con la sua visita vuole dimostrare che un modello islamico c'è ed è valido anche per le forze politiche e religiose che gestiranno il potere in Egitto, Libia e Tunisia. E questo modello non può venire dall'attivismo sciita iraniano. Anzi, deve essere in nome di un islam sunnita e laico che faccia barriera davanti al wahhabismo saudita ma soprattutto alla crescita di influenza dell'Iran. Che ci riesca, più che da un viaggio, dipenderà dai tanti problemi sul terreno, primo fra tutti la crisi siriana e come verrà risolta.

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