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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Il Foglio - La Stampa Rassegna Stampa
14.09.2011 Recep Erdogan contro Israele e a favore dell'autoproclamazione dello Stato palestinese
Intervista al premier turco di Fahmi Huwaidi, cronache e commenti di Giulio Meotti, redazione del Foglio, Francesca Paci

Testata:La Repubblica - Il Foglio - La Stampa
Autore: Fahmi Huwaidi - Giulio Meotti - Redazione del Foglio - Francesca Paci
Titolo: «Erdogan: 'Israele calpesta le leggi ma ora il mondo è cambiato e la Turchia ha scelto di reagire' - Ma Ramallah non crede alle magie»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 14/09/2011, a pag. 17, l'intervista di Fahmi Huwaidi a Recep Erdogan dal titolo " Erdogan: 'Israele calpesta le leggi ma ora il mondo è cambiato e la Turchia ha scelto di reagire' ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo "  Erdogan il turco si offre alla piazza come leader arabo", a pag. 4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " L’antipatia di Erdogan per gli ebrei emerge nelle crisi. Parla Rifat Bali ". Dalla STAMPA, a pag. 1-17, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Ma Ramallah non crede alle magie ".

In altra pagina i nostri commenti agli articoli di Lucia Annunziata e Roberto Tottoli.


Ecco i pezzi:

La REPUBBLICA - Fahmi Huwaidi: " Erdogan: 'Israele calpesta le leggi ma ora il mondo è cambiato e la Turchia ha scelto di reagire' "


Recep Erdogan

Recep Tayyip Erdogan, il primo ministro turco, viene descritto da alcuni commentatori come un "Nasser" contemporaneo: pesa la sfida di Ankara a Israele dopo il congelamento dei rapporti diplomatici; si prospetta la possibilità di un confronto a causa dell´esplorazione di gas nel Mediterraneo. Allo stesso tempo, però, la Turchia accoglie i sistemi radar della Nato. Si direbbe un messaggio all´Europa e all´America: la Turchia non rompe con l´Occidente, soltanto con Israele.
Signor primo ministro, la Turchia ha sorpreso molti. Lei, cosa risponde?
«Da quando Israele ha attaccato la nave di aiuti umanitari diretta a Gaza (la Mavi Marmara, il 31 maggio 2010, ndr) abbiamo espresso la nostra posizione in modo chiaro, specificando le nostre richieste: in primis, le scuse al popolo turco e al governo; secondo, il risarcimento alle famiglie delle vittime; terzo, porre fine all´assedio inumano e illegale di Gaza. Alcuni hanno sottovalutato le nostre parole. Ma la sorpresa di cui lei parla ha due spiegazioni: innanzitutto Israele è abituata a non rendere conto dei suoi comportamenti e si considera al di sopra della legge. E poi, col tempo si è trasformata in un bambino viziato, rovinato da chi le sta intorno. Non solo pratica il terrorismo di Stato contro i palestinesi, ma si comporta con arroganza, e si meraviglia se qualcuno la richiama al rispetto degli altri e delle leggi».
La possibilità di un confronto armato è priva di fondamento?
«Israele non ammette i propri errori né i cambiamenti del mondo circostante. Non capisce che in Turchia c´è un sistema democratico, impegnato a rappresentare il popolo e a difendere la dignità. Non coglie la realtà dei cambiamenti nel mondo arabo, con la caduta di alcuni regimi repressivi e la presa di coscienza di popoli, che hanno levato la voce in difesa della libertà e della dignità».
Una commissione internazionale d´inchiesta dell´Onu ha sancito l´innocenza di Israele nell´aggressione alla Mavi Marmara, criticando solo l´uso eccessivo della forza.
«Questo rapporto non ha valore ed è una vergogna per chi lo ha redatto; ha legittimato l´assedio di Gaza, aprendo la porta alla legittimità dell´occupazione. È contraddittorio nelle informazioni, e in contrasto con lo statuto delle Nazioni Unite. Perciò noi ricorreremo alla giustizia internazionale».
Il suo governo ha annunciato che muoverà navi da guerra per proteggere le navi turche nelle acque territoriali del Mediterraneo orientale. Questo porta a un probabile contatto con la marina israeliana?
«È una probabilità remota. Lasci che le spieghi. Israele ha attaccato la nave in acque internazionali, ignorando le regole e le leggi vigenti. Era necessario per noi e per la comunità internazionale ricondurla alla ragione. Scortare le navi turche in acque internazionali, proteggerle da aggressioni, è un nostro diritto legittimo».
Resta la preoccupazione per i passi futuri previsti dalla Turchia in questo scenario di crisi. Cosa bisogna aspettarsi?
«Ogni piano è legato alla risposta israeliana, a quanto sia disponibile ad accettare una soluzione equa e giusta che riconosca i diritti e la dignità della Turchia. Posso soltanto dire che siamo tenuti a quattro cose: preservare la dignità e i diritti del popolo turco, che ci ha dato fiducia, ed è nostro compito non lasciare che sia corso invano il suo sangue. Far cessare l´arroganza di Israele abituata a calpestare ogni norma, legge e patto internazionale. Insistere perché siano accolte le richieste turche: busseremo alle porte degli organismi politici e diplomatici. Infine rimanere saldi nel porre fine all´assedio di Gaza perché è in contrasto con il diritto internazionale».
Il primo ministro israeliano Netanyahu ha affermato che Israele desidera ripristinare e migliorare i rapporti con la Turchia. Molti mediatori sono già all´opera. Riusciranno?
«È vero, ma dopo che Israele avrà chiesto scusa e accettato le nostre condizioni. Lo abbiamo detto a tutti i mediatori, cui esprimiamo stima e rispetto. Ripeto: i leader di Israele hanno sbagliato nell´interpretare la realtà circostante, hanno perso i loro sostenitori, anche negli Usa. Quando Gates, l´ex ministro della Difesa americano e uomo dei servizi segreti afferma che Netanyahu è un pericolo per Israele, e sta spingendo il Paese verso l´isolamento internazionale, è un segnale profondo. Molti hanno taciuto. La Turchia ha scelto di reagire».

Il FOGLIO - Giulio Meotti : "  L’antipatia di Erdogan per gli ebrei emerge nelle crisi. Parla Rifat Bali"


Rifat Bali           Giulio Meotti

Roma. Un recente cable di Wikileaks ha reso nota l’opinione dell’ambasciatore israeliano in Turchia, Gabby Levy, recentemente espulso dal paese, secondo il quale il premier turco Recep Tayyip Erdogan “odia religiosamente” gli ebrei e lo stato d’Israele. Questi due anni di scontri fra lo stato ebraico ed Erdogan, culminati perfino in minacce di guerra da parte di Ankara, sono decrittati attraverso la lente di Rifat Bali, uno dei massimi storici turchi, 63 anni, ricercatore presso il Center for the Study of Sephardic Culture dell’Università parigina Sorbonne e autore di numerosi volumi sull’antisemitismo. Bali spiega che per capire la politica di Erdogan verso Israele si deve risalire a un’opera teatrale a lui attribuita negli anni Settanta e messa in scena a teatro. Si intitolava “Maskomya”, un acronimo di tre parole turche: massoni, comunisti ed ebrei. La pièce teatrale raccontava la cospirazione di tre entità malefiche il cui comune denominatore era il giudaismo. Improperi di Erdogan contro gli ebrei ne hanno scandito poi la carriera politica. Nel dicembre 1996, durante il suo mandato da sindaco di Istanbul, Erdogan dichiarò che “un complotto mondiale ordito da ebrei sionisti minaccia di prendere il controllo del pianeta”. In un suo successivo intervento al Parlamento, Erdogan avrebbe poi apertamente appoggiato le teorie circa il presunto “complotto ebraico nel mondo”. “Molti mezzi di comunicazione – disse Erdogan – sono di appoggio agli ebrei e a Israele e diffondono false notizie su quello che sta succedendo a Gaza, trovando sciocche scuse per giustificare il bombardamento di scuole, moschee e ospedali”. E poi, durante l’offensiva israeliana a Gaza, Erdogan ha verbalmente aggredito il presidente israeliano Shimon Peres (summit di Davos) e ha violentemente criticato la “lobby ebraica mondiale” dei mezzi di comunicazione, esigendo che lo stato ebraico fosse “bandito dall’Onu” e accusando gli ebrei di giustificare “lo sterminio dei martiri palestinesi” di Gaza. “Erdogan scrisse probabilmente l’opera teatrale ‘Maskomya’ quando era membro del partito islamista Msp di Necmettin Erbakan, che poi avrebbe lasciato”, dice Rifat Bali al Foglio. “Il testo teatrale riflette bene il ‘male’ secondo questa generazione di nuovi politici turchi: comunisti, massoni ed ebrei. Gli islamisti pongono tutto assieme, massoni, sionisti, giudei. La linea turca ufficiale oggi è che non c’è antisemitismo in Turchia ed Erdogan non nega mai il diritto d’Israele a esistere. Ma l’antisemitismo è come un virus nella sua testa. ‘Maskomya’ non conta in sé, ma si deve leggere il testo per capire la politica di Erdogan contro Israele. Erdogan è il figlio di una visione oscurantista e nazionalista, è il figlio di una generazione islamica educata a una mentalità suprematista e antisemita. Che oggi continua con la propaganda anti Israele. Oggi l’antisemitismo in Turchia è soprattutto un discorso di odio contro gli ‘ebrei sionisti’, Israele”.
“Impregnato di teorie della cospirazione”
Secondo Bali, l’ambasciatore Levy ha ragione: “Erdogan proviene da una cultura islamica il cui antisemitismo riemerge nei tempi di crisi. L’ideologia islamica in Turchia è impregnata di antisemitismo e si basa su due pilastri: il fondatore della moderna Turchia, Atatürk, in realtà era un ‘cripto-giudeo’ e per colpa del giudaismo sionista Atatürk ha imposto il laicismo sulla Turchia. Inoltre il crollo del califfato dopo la Prima guerra mondiale sarebbe stata in realtà una cospirazione giudaica, perché il sultano aveva rifiutato il fondatore del sionismo, Theodor Herzl, nella sua richiesta di insediare gli ebrei in Palestina. Oggi ci sono ben tre generazioni di turchi che leggono i ‘Protocolli dei savi anziani di Sion’ e altri libelli. Molti turchi credono che sia tutto vero”. La lista dei bestseller in Turchia includeva nel 2005 il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, pubblicato almeno cinquanta volte tra il 1940 e il 2005, l’edizione del “Testamento politico” di Hitler e del celebre pseudo giudeofobo “Protocolli dei savi anziani di Sion”, pubblicato integralmente o in parte più di cento volte tra il 1943 e il 2009, e di altre opere antisemite. “Le radici intellettuali di Erdogan sono impregnate della teoria della cospirazione, se ne è allontanato pubblicamente, ma nelle crisi il suo odio riemerge nella sua mente”, dice Bali. “L’antisemitismo è un virus che domina Erdogan nei momenti di crisi. Erdogan distingue fra Israele e gli ebrei, è intelligente nel fare questa separazione, così come fra sionisti ed ebrei turchi. Erdogan è quindi un politico pragmatico, ma la sua antipatia verso gli ebrei non troverà mediazione nel rapporto con Israele”. Bali non crede che Erdogan usi Israele per questioni politiche: “Ci sono coloro che pensano che la sua retorica antisemita derivi da problemi interni. E’ vero che è popolare attaccare oggi Israele, ma Erdogan è già talmente popolare in Turchia che non ne avrebbe bisogno. La sua posizione è sincera, ne rivela i sentimenti”.

Il FOGLIO - "  Erdogan il turco si offre alla piazza come leader arabo"


Recep Erdogan

Il Cairo, dal nostro inviato. Quasi schiacciato dalla pressione della folla, circondato da guardie del corpo che un po’ respingono e un po’ lasciano che il primo ministro turco avverta fisicamente il calore degli egiziani, Recep Tayyip Erdogan ha ricevuto un’accoglienza trionfale quando ieri a mezzanotte è arrivato al Cairo. Dietro, ancor più schiacciato perché è un piccoletto, c’era anche il suo topigno ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, considerato dagli analisti una mente strategica del nuovo medio oriente. Non bastassero i cartelloni sei metri per tre che nel centro della capitale incombono dall’ultimo piano dei palazzi e ritraggono il premier straniero in camicia e disinvolto su uno sfondo di bandiere turche ed egiziane, il canto della folla è chiaro: “Erdogan e gli egiziani, una sola mano”, ovvero lo slogan che celebra la benevolenza assoluta del popolo e la completa identità di vedute. Ci fu un momento, durante gli scontri di febbraio, quando anche l’esercito egiziano che rifiutava di intervenire contro i manifestanti e di sparare nelle strade per difendere Hosni Mubarak fu graziato con lo stesso canto, “L’esercito e gli egiziani, una sola mano” (ma la luna di miele in piazza è ormai finita). Quale sia questa identità di vedute è stato detto esplicitamente da Erdogan poche ore dopo nel suo discorso alla Lega araba, nella sala grande le cui vetrate affacciano sulla piazza della Rivoluzione. Ankara e il Cairo scoprono assieme di avere un avversario comune, Israele, contro cui bisogna fare un fronte unico. “Il caso della nave Mavi Marmara e quello dei sei soldati egiziani uccisi sono la stessa cosa”, dice il premier turco insistendo su questa linea dell’unione contro Gerusalemme (senza però specificare che di questo nuovo fronte si sente il leader, come se lasciasse al futuro la semplicità della dimostrazione). Erdogan si riferisce al blitz della marina israeliana per fermare una nave decisa a forzare il blocco navale sulla Striscia di Gaza – il blitz costò la vita a nove attivisti turchi nel 2010, ma l’Onu ha appena dichiarato il blocco perfettamente legittimo con un rapporto favorevole a Israele che ha fatto ulteriormente infuriare la Turchia – e a uno scontro di frontiera del mese scorso durante il quale furono uccisi sei soldati egiziani – erano le ore appena successive all’attacco dei terroristi all’autostrada 12 che porta a Eilat, i sei furono investiti per errore dalla reazione militare israeliana. “Chi si considera al di sopra della legge e commette atti di terrore deve pagare”, ha detto Erdogan, insistendo con questa sua nuova strategia che vuole isolare Israele, nel momento in cui alle Nazioni Unite sta per iniziare il processo che porterà a riconoscere – seppure per via simbolica e indiretta – uno stato palestinese con il voto dell’Assemblea generale. Nella retorica di Erdogan c’è anche un mistero. Era stata annunciata una presa di posizione definitiva sulla Siria, che reprime con feroci offensive militari le proteste disarmate dei cittadini (e i rifugiati premono sul confine con la Turchia). E invece il premier di Ankara non ha detto nulla, come se il discorso fosse stato cambiato all’ultimo momento. L’effetto finale è stato piuttosto goffo: male gli israeliani per i fatti del 2010, silenzio sul vicino siriano.
Le prossime tappe
 Il premier di Ankara, prima di volare al Cairo, è andato alla televisione di casa a dire di volere un Egitto “secolare”, somigliante al modello turco – un modello che affascina le masse arabe dalla Mauritania allo Yemen, forse per la prosperità economica di cui gode la Turchia. Nei prossimi giorni Erdogan volerà in Tunisia e a Bengasi in Libia, paesi alle prese con il post rivoluzione, dove è probabile che batterà ancora sul tema – la nascita “necessaria dello stato palestinese” a settembre – che sta rendendo questo tour diplomatico un trionfo personale tra gli arabi.

La STAMPA - Francesca Paci : " Ma Ramallah non crede alle magie "


Abu Mazen

Di questi tempi Erdogan, nella città palestinese di Ramallah, è diventato una parola magica. In Italia è apprezzato? Prendo uno sgabello, preferisce tè o caffè?» s’infervora il ferramenta Yussuf abu Waleed mentre la tv alle sue spalle trasmette dal Cairo il discorso del premier turco. Il figlio tredicenne Ali ripete in arabo la frase ormai celebre, musica per le orecchie palestinesi: «Israel tal’ab dawr al sabi al mudallal», Israele fa la parte del bambino viziato. «Lo so dire anche in inglese» afferma il ragazzino torcendo timido i lembi della maglietta «The Godfather», il padrino. Davanti alla piccola bottega ingombra di bulloni e tubi, quattro braccianti accaldati smantellano i banchi del mercato di Ramallah, lungo la discesa che parte dalla nevralgica piazza Manar dove sono appena spuntati un paio di poster dell’ormai coralmente acclamato eroe mediorientale.

«Erdogan è stato il primo leader regionale ad alzare la voce con Israele e dichiarare che riconoscere il nostro Stato è un dovere» ragiona l’aspirante ingegnere Mustafa controllando la posta elettronica a un tavolo dello Stars and Bucks cafè. Non simpatizza per Fatah («i corrotti ci hanno rovinato»), ma giura che il 21 settembre risponderà alla sua chiamata e alle 12 sarà in strada per sostenere la richiesta del presidente Abu Mazen all’Onu.

«Le parole del premier turco peseranno sull’appuntamento della settimana prossima alle Nazioni Unite soprattutto perché sono state pronunciate nell’Egitto post-rivoluzione confermando che dalla causa palestinese dipende la stabilità del Medio Oriente: sarà dura ora per Washington ignorarle e continuare a sostenere le primavere arabe» osserva Ghassan Khatib, direttore del Palestinian Government Media Center. L’aria fibrilla. Sembra atteso a giorni il ritorno degli inviati Usa David Hale e Dennis Ross, mediatori last minute per ricondurre al negoziato i due riottosi contendenti ed evitare lo strappo. Se Israele balla sul Titanic infatti, l’Anp non gode di ottima salute e molti scorgono dietro l’appello alla comunità internazionale il duplice fallimento delle trattative di pace e della riconciliazione nazionale con Hamas. Anche per questo l’assist di Erdogan è una boccata d’aria.

«Il premier turco ci piace e non mi stupirei che le giovani coppie iniziassero a chiamare i figli Erdogan, ma sotto sotto nessun palestinese pensa che la soluzione sia vicina» ammette il tassista Tawfik. Dalle colline cisgiordane che incorniciano la strada per Gerusalemme occhieggiano le case squadrate dei coloni ebraici, passati dal 1993 a oggi da 110 mila a 320 mila. Ankara è lontana, riflette dalla sua cattedra in democrazia dell’università Birzeit di Ramallah il professor George Giacman. E non parla di geografia: «La Turchia colma il vuoto lasciato dagli Stati Uniti. Ma oltre a curare i propri interessi, come dimostra la decisione di non andare a Gaza, ha un margine d’azione limitato: non può sciogliere il nodo per cui serve invece la fine del cieco sostegno Usa a Israele». Il vento turco che soffia dal Cairo scuote la bandiera palestinese sotto la quale però alla fine la routine scorre pigra. Come gli israeliani credono d’essere destinati a vivere tra i nemici, loro dubitano di qualsiasi alternativa alla precarietà esistenziale.

«Erdogan parla, sì, ma l’Europa tituba. Perché la Germania non ci appoggia all’Onu?» domanda la studentessa di legge Fatima Farsakh dividendo con l’amica velata una fetta di knafeh al Ja’far Sweet, nel quartiere arabo della vecchia Gerusalemme. Anche qui il premier turco è assai popolare. «Mica tutto quelloche fa Israele può essere applaudito...» mormora il fornaio Nasser ammiccando ai militari israeliani che pattugliano i vicoli dove i commercianti di souvenir hanno aggiunto alle t-shirt con lo smile avvolto nella koefia quella con la schermata di Google e la scritta «Israel... Did you mean Palestine» («Cerchi Israele... Intendevi Palestina»). Da giorni alla storica libreria Educational Bookshop di Salah Eddin fioccano le richieste di volumi in arabo sul premier turco ma, concede il titolare, «è presto, non c’è nulla di tradotto».

E a Gaza? Come sono giunte a Gaza le parole del riscatto palestinese laddove era atteso fisicamente colui che le ha pronunciate? «Abbiamo bisogno di ben altro che di dichiarazioni e visite internazionali» commenta amaro il ventiduenne che si presenta come Abu Ghassam, uno dei protagonisti del manifesto dei giovani di Gaza, quello che a febbraio, chiedendo elezioni democratiche e la riconciliazione nazionale tra Hamas e Fatah, ha cercato di allineare i palestinesi al risveglio arabo. Decine di suoi coetanei hanno sventolato in riva al mare il vessillo turco, lui, dice, non crede più alle favole. Non è l’unico. Nonostante le immagini tv della folla festante nelle strade di Gaza City, il neolaureato in informatica Nader Mumter guarda a domani: «Quando il tour di Erdogan sarà concluso noi resteremo chiusi dentro come al solito, sto cercando invano una borsa di studio per l’Europa».

Il portavoce di Fatah Osama Qawssmeh ha un bell’invitare i connazionali a supportare il presidente Abu Mazen all’Onu e riprendersi il proprio futuro: l’entusiasmo dei palestinesi è così arrugginito da accendersi per un leader straniero e brillare senza grandi scintille. «Erdogan è una figura strategica perché è insieme partner della Nato e leader stimato in Medio Oriente ma proprio perché parla con Hamas dovrebbe adoperarsi per la sola cosa che ci aiuterebbe, l’unità nazionale» chiosa Khaled Abu Awwad, direttore del Palestinian Institution for Development and Democracy. La vera domanda è se la parola magica farà davvero magie.

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