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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa-Il Giornale Rassegna Stampa
11.09.2011 9/11 La guerra continua
Cronaca e commento di Maurizio Molinari, Fiamma Niresntein

Testata:La Stampa-Il Giornale
Autore: Maurizio Molinari-Fiamma Nirenstein
Titolo: «Obama e Busch uniti nel giorno del ricordo-Osama è stato eliminato ma la sua follia deve farci ancora paura»

9/11, dieci anni dopo. Pubblichiamo dalla STAMPA di oggi la cronaca di Maurizio Molinari e dal GIORNALE il commento di Fiamma Niresntein.
Leggiamo con preoccupazione il titolo di prima pagina di AVVENIRE, il quotidiano della Cei, " 11 settembre, ingiustificabile il terrorismo nel nome di Dio", la frase pronunciata dal Papa. Lungi da noi l'idea che Benedetto XVI intendesse dire che il terrorismo attuato non nel nome di Dio lo sia, ma letto così lascia sconcertati, soprattutto tenendo conto della sottovalutazione che la Santa Sede esprime quando deve affrontare il problema del  terrorismo islamico.
Ecco i due articoli:

La Stampa-Maurizio Molinari: " Obama e Busch uniti nel giorno del ricordo "

Maurizio Molinari

 La celebrazione del decimo anniversario dell’11 settembre coincide con una imponente caccia all’uomo in atto su tutto il territorio americano per trovare i tre jihadisti che sarebbero parte del piano di Al Qaeda per vendicare Bin Laden, facendo esplodere delle autobombe. Non sono giunti dall’estero ma risiedono in America, due sono cittadini, tutti sono di origine araba e due di loro parlano arabo correntemente. Si tratta di una cellula dormiente che sarebbe stata attivata in agosto da un ordine di colpire arrivato dall’area afghanopachistana.

I piloti si confessano Cade uno dei segreti più impenetrabili dell’11 settembre. I nomi dei piloti che avevano ricevuto l’ordine di abbattere gli aerei civili dirottati. Il colonnello Heather Penney era ai comandi di un F-16 sulla pista della base di Andrews, le ordinarono di decollare per fermare in qualsiasi modo il volo UA93 diretto verso Washington. Non aveva munizioni né missili ed ora confessa: «Ero pronta a gettarmi in un attacco kamikaze contro il Boeing pur di fermarlo». Non servì, per la rivolta di bordo dei passeggeri contro i terroristi. Lo stesso ordine era arrivato al tenente colonnello Tim Duffy, in volo sopra Cape Cod. Doveva intercettare il volo AA11 ed era armato di missili. Viaggiò a velocità supersonica ma arrivò troppo tardi sopra Manhattan. Vide la North Tower che già fumava.

Air Force One senza difese Mark Tillman pilotava l’Air Force One con a bordo George W. Bush. Era la sua missione 3480. Quando decollò da Sarasota, in Florida, non aveva idea di cosa sarebbe successo. «Ero stato addestrato a difendere il presidente da un attacco nucleare, non da un attacco interno. Non sapevo cosa fare, chiesi la scorta dei jet militari. Ci dissero di chiudere i cellulari per impedire ai terroristi di sapere dove eravamo in cielo».

In fila per le reliquie Al Preview Memorial su Vesey Street sono in mostra alcune delle reliquie destinate al Museo del Memorial dell’11 settembre, che si svilupperà su sette piani sotterranei. La gente è in fila per vedere le scarpe insanguinate, i caschi ammaccati, le carte di credito consumate dal fuoco e i distintivi di agenti e pompieri uccisi. Sono gli oggetti delle vittime e degli eroi, tasselli unici di una memoria immanente.

La bandiera di Billy Billy Eisengrein è uno dei tre pompieri che issarono la bandiera americana sulle rovine di Ground Zero in un’immagine simbolo della capacità nazionale di «resilience», di resistere al nemico. Con le Torri Gemelle tatuate sulle braccia racconta che «quel giorno avevo perso oltre cento compagni e mi sembrò la cosa più naturale da fare per rendere loro omaggio».

Le foto di Joel

Dal momento del crollo la fotografa Joel Meyerowitz rimase a Ground Zero per 8 mesi e gli 8000 scatti ricavati descrivono coraggio, compassione e solidarietà della città che si strinse attorno a vittime e soccorritori incarnando il valore di «United We Stand». Sono in mostra al Centro Y sulla 92˚ Strada.

Il canto di Times Square

Per celebrare l’amore per la vita e la forza del riscatto che distinguono la Grande Mela i più noti artisti di Broadway si sono dati appuntamento al centro di Times Square per intonare assieme «New York, New York».

55 milioni di dollari

Tanto costerà il mantenimento annuale del Memorial. In tempi di crisi la città è a corto di fondi e il sindaco Michael Bloomberg chiede al governo federale di garantirli, trasformando il luogo in Museo nazionale. Se ciò non avverrà, la contromossa è già pronta: farà pagare 25 dollari a ogni visitatore. Se ne prevedono a un ritmo di circa 1.500 l’ora, 365 giorni l’anno.

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Osama è stato eliminato ma la sua follia deve farci ancora paura "


Scomparso, ucciso                                              Fiamma Nirenstein

Non c'è chi non sappia do­ve si trovava quando le TwinTowers furonocol­pite. Io ero a Gerusa­lemme, appena tornata da Durban; avevogiàvisto, scrittosulmuro, quel­lo che sarebbe accaduto. So esatta­mente dove mi trovato subito prima e durante l'attacco. Al centro dell' odio. A Durban, la conferenza dell' ONU sul razzismo che avevo coper­to, si era senza vergogna trasformata in una conferenza razzista contro ebrei e americani. L'odio antiocci­dentale era al picco: Mughabe, Fidel Castro, Arafat, applauditi a scena aperta, predicavanolanuovareligio­ne globale delle sa­le del Centro Con­gressiedelloStadiodoveeranoriuni­te le ONG: i giovani rincorrevano quelliidentificaticomeebreieameri­cani, maledicevano l'occidente, schiavista, oppressore, imperialista. L'Occidente doveva pagare. Le marcesisvolgevanosottoma­nif­estiestriscionicheritrae­vano Bin Laden, che cer­to anche allora non era uno sconosciuto. Al Qaida aveva già compiuto, nel '93, l'attacco del Wor­ld Trade Cen­ter, poi la Soma­­lia, quindi Ryiad, nel '96 l'attacco alle Khobar Towers che uc­cise 19 america­ni, nel '98 le amba­sciate USA in Kenia e Tanzania, 224 morti,nel2000lana­ve Cole…. Israele in­tanto esplodeva ovun­que, eralafestadellecintu­re suicide.
Durban fu una specie di sabbaperl'avventodell'anticri­sto, e lui venne.Nel ’96 Bin Laden aveva giurato guerra «ai crociati e agli ebrei», nel ’98 una fatwa ne con­fermò la validità e crebbe la religione del terrorismo suicida: morire ucci­dendo, e non la vita, fu dichiarata l'aspirazione più sacrosanta, ogni giovane doveva essere desideroso di morire contro l'Occidente per la fede nazionalista araba e per quella reli­giosa islamista. Nel mondo islamico le scuole,le mamme,la tv,le canzoni della strada, le moschee, tutto il con­testo sociale era un alito di fuoco che prometteva la conquista del mondo per il califfato universale. Le bande sunnite e sciite che si odiano diven­neropronteaunirsiperlaguerrasan­ta. Ahmadinejad oltre alla sua banda sciita degli hezbollah, prescelse an­che quella sunnita di Hamas per la guerra terrorista.
Il senatore americano Joseph Lie­berman, dopochesonostatiresipub­blici i termini della strategia antiter­rorista obamiana, ha protestato per­ché Obama non capisce che la di­mensione culturale e religiosa della guerralarendeancoramoltoperico­losa. Il senatore critica i termini usati perilnemico:«gliestremisti»o«imili­tanti ». Non di questo si tratta, ma di terroristi islamisti, e non abbiamo nemmeno il coraggio di chiamarli
con l loro nome, dice.
NelcorsodeglianniAlQaidahaco­perto il mondo di circa diecimila at­tacchi( Londra,Madrid,Algeria,Tur­chia, Bali,Karachi,Baghdad,leFilip­pine…). Eliminare Bin Laden e altri terroristi non elimina un'agenda, un modo di vita: l'uccisione dello sceic­co Yassin non ha fermato Hamas, ne quello di Imad Mughniyeh gli hezbollah. Al Qaida, come oggi si ve­de per esempio nella mobilitazione del Sinai, si muove ormai per gruppi autonomi e non coordinati sfruttan­doleopportunità, spessoinaggressi­va concorrenza l'uno con l'altro, au­tentichefranchisingdelterrorecapa­ci di audaci alleanze. Anche Bin La­den stesso capì, così sostengono in molti, che, benché sciita, l'Iran era per lui sunnita un ottimo nascondi­glio temporaneo.
Hezbollah, ormai molto presenti specieinSudAmerica, Hamas, orga­nizzazioni palestinesi svariate della Jihad Islamica si aggregano e si di­stanziano da Al Qaida in base a pro­getti che diventano tanto più effettivi quanto più la confusione legata alle cosiddette primavere arabe permet­te nuovi movimenti, nuovi rapporti. Questa è l'altra grande variabile che ci indica che la guerra può oggi gode­re di segreti o aperti appoggi di chi in passato la osteggiava.
Per esempio, un nuovo governo egiziano potrebbe trovare conve­niente
aiutare una Fratellanza Isla­mic­aamicasuamaapertamenteose­gretamentebelligerantecontrol'Oc­cidente.
Sotto Mubarak l'Egitto non avrebbe mai lasciato che le organiz­zazioni terroriste sia locali, come la Fratellanza, sia di fuori, come Al Qai­daeHamas, avesserotantapossibili­tà di organizzazione e movimento sulsuoterritorioquantonehannoog­gi.
Noi non abbiamo, letteralmente, lacapacitàculturaleditenereilterro­rismo nella dovuta considerazione. La guerra ideologica dopo il secolo delle ideologie sanguinose ci suscita repulsioneeciinduceacercarelapa­ce anche dove non ce n'è la possibili­tà.
Invece della guerra per il territo­rio, per le risorse, per odio nazionale, il terrore conduce una guerra contro l'idea stessa della civiltà occidentale equestociportaapensarecheilcedi­mento, lamanotesapossanoottene­re un qualche accordo. La confusio­n­e nasce anche dalla dimensione te­ologica e confusa di una guerra che dovrebbeconcludersi,unavoltacon­quistatoilmondo, conlafinedeitem­pi. La jihad non ci spiega bene i suoi progetti. Per gli sciiti, è previsto l'av­vento del Mahdi in cui Ahmadinejad credetantodaaverecostruitolestrut­ture fisiche per il suo avvento. Per Al Qaeda e i talibani c'è un grande cen­tro nell'accerchiamento del nemico in Afghanistan e in Pakistan, e azioni di disturbo e copertura in altre aree geografiche anche lontane, a Lon­dra, a Madrid, a Mumbai, chissà do­ve ancora. E poi, il califfato e la fine dei tempi. È una promessa di cui il mondoislamicosoffreperprimo, da­to che è molto maggiore il numero dei morti musulmani in attentati dei nostri. Ma il terrorismo è un albero nero dalle mille foglie scosse ancora dal vento, che nessuno osiamo guar­dare mentre estende la sua ombra. 
 
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