Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Rapporto Palmer sulla flottiglia: non tutti sono d'accordo con Erdogan Cronache di Elena Lattes, Michele Giorgio
Testata:L'Opinione - Il Manifesto Autore: Elena Lattes - Michele Giorgio Titolo: «Non tutti sono contro Israele - Scorta armata per la flotilla»
Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 10/09/2011, a pag. 6, l'articolo di Elena Lattes dal titolo "Non tutti sono contro Israele". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Scorta armata per la flotilla ". Ecco i pezzi:
L'OPINIONE - Elena Lattes : "Non tutti sono contro Israele"
Kuwait
Se è vero che la Turchia sta scatenando un putiferio sulle sue relazioni con Israele a causa del rapporto Palmer, è altrettanto vero che nessuno, o quasi, in Italia ha prestato attenzione a reazioni ben diverse da quelle del primo ministro Erdogan. Da notare, soprattutto, quella di un altro Paese musulmano: il Kuwait. Forse è demograficamente irrilevante, ma dal punto di vista politico e diplomatico è sicuramente un segno importante. L'Onu, attraverso il Rapporto Palmer, ha stabilito che il blocco di Gaza è non solo legale, ma anche legittimo e che quindi il violento tentativo di rompere l'embargo da parte della Freedom Flotilla, capeggiata dalla nave turca Mavi Marmara costituì l'anno scorso un attacco deliberato dal quale Israele aveva (e ha) tutti i diritti di difendersi. Anche se il Rapporto chiede ad Israele di esprimere il proprio rincrescimento per i morti provocati negli scontri, riconosce che le responsabilità maggiori delle violenze sono da imputare ai membri dell'Ong turca Ihh che occupavano quelle navi. Ebbene, prima ancora della pubblicazione ufficiale (ritardata dalle minacce turche e dai conseguenti tentativi statunitensi ed europei di convincere Erdogan e Netanyahu a scendere ad un compromesso), il Kuwait ha ritirato il piano di perseguire legalmente Israele attraverso la Corte Penale Internazionale dell'Aia per l'arresto di alcuni parlamentari del piccolo Paese del Golfo che erano presenti sulla Flottiglia. Il dott. Waleed AlـTabtabaie, che era tra i passeggeri, aveva chiesto che il governo israeliano venisse processato per “l'aggressione e l'umiliazione subita dall'esercito”, ma il ministro della Giustizia kuwaitiana, che inizialmente aveva accolto la mozione, ha bocciato l'iniziativa. I legali kuwaitiani lo avevano avvisato che Israele stava per essere assolto poiché il Rapporto Palmer stabiliva che la Mavi Marmara era andata contro la legge internazionale, cercando di entrare nelle acque territoriali israeliane senza autorizzazione. Il governo kuwaitiano ha quindi avuto il timore di perdere la causa e di dover pagare miliardi di dollari al governo di Gerusalemme. Un'altra reazione degna di nota, è quella dell'opposizione turca capeggiata da Kemal Kilicdaroglu che ha aspramente criticato la decisione di Ankara di ridurre e successivamente interrompere i rapporti con Israele. "Non può venire nulla di buono da tutto questo e non c'è bisogno di mettere a rischio i nostri interessi con azioni meschine". Ha affermato. Pur criticando comunque il Rapporto, Kilicdaroglu ha dichiarato che il governo in questo modo “si è messo in un angolo da solo” mettendo a rischio gli interessi della stessa Turchia. “Questo è un duro colpo per la nostra politica estera. A che serve? Israele può sostenere che l'Onu ha espresso parere positivo sul blocco di Gaza. Che risultati ha portato il raid? Avremmo dovuto pensarci prima”.
Il MANIFESTO - Michele Giorgio : " Scorta armata per la flotilla "
Recep Erdogan
«Non ci sarà alcuno scontro militare. È assurdo soltanto immaginare che un paese della Nato decida di andare al confrontomilitare con Israele». Parla con il tono di chi sa il fatto suo Gad Shimron, un analista con un passato di ufficiale del Mossad. Probabilmente ha ragione. Nonostante la profonda frattura diplomatica tra i due paesi che si è aperta la scorsa settimana, una guerra è impensabile. E conta fino ad un certo punto il tono bellico del premier turco Erdogan che ha annunciato un paio di giorni fa alla tv satellitare araba al Jazeera che «unità da guerra turche, sono autorizzate a proteggere le nostre navi (civili) che portano aiuti umanitari a Gaza». Erdogan faceva riferimento a una possibile nuova missione della «Freedom Flotilla» e della nave Mavi Marmara, assaltata da commando israeliani il 31 maggio 2010 (9 civili turchi uccisi). Pur avendo una potente Marina militare, la Turchia non è in grado di proteggerla dalla superiorità aerea di Israele. Ma Ankara potrebbe ugualmente complicare la vita di Israele, specie nel Mediterraneo orientale dove il governo Netanyahu intende compiere esplorazioni congiunte con i greco-ciprioti per individuare giacimenti di gas e petrolio. Senza dimenticare che la Turchia sarebbe in grado di intervenire, con una massiccia presenza navale nel Mediterraneo, anche nel contenzioso aperto tra Tel Aviv e Beirut sullo sfruttamento delle riserve sottomarine di gas al confine marittimo tra i due paesi. Gli imprenditori israeliani da parte loro temono il crollo dell’interscambio commerciale tra i due paesi (3,5 miliardi di dollari nel 2010), sino ad oggi a vantaggio dello stato ebraico. Anche per queste ragioni Netanyahu, dopo aver silurato la riconciliazione con la Turchia dopo l’assalto alla Mavi Marmara – lo rivelava ieri il quotidiano di Tel Aviv Yediot Ahronot –, ieri ha deciso di usare un tono più conciliante con l’ex «alleato strategico». L’obiettivo di Israele, ha spiegato il premier in un comunicato, resta quello di impedire il degrado nelle relazioni con la Turchia e di placare le tensioni.Nell’esecutivo di destra israeliano è passata, almeno per ora, la linea più prudente del ministro della difesa Barak che sa bene quali danni comporterebbe per gli addestramenti delle forze armate di Israele un allargamento del solco con Ankara. «Quest’onda passerà - ha previsto Barak - Sono certo che noi la supereremo. La Turchia non è un nemico di Israele». «Sia noi che i turchi conosciamo bene la realtà - ha aggiunto - i nostri due paesi sono molto importanti per l’Occidente». Troppi interessi in comune e troppo forti le pressioni americane per andare allo scontro aperto, spiegano gli esperti. Sarà per questo che Erdogan, dicono fonti turche, eviterà di andare a Gaza e, quindi, di esacerbare la crisi con Israele nell’ambito della sua imminente visita in Egitto. Due fonti dell’ufficio del primo ministro hanno detto ieri all’agenzia francese Afp che «fino ad ora» nel programma di Erdogan non è prevista alcuna visita a Gaza, del resto non inclusa nel programma semi-ufficiale diffuso ad inizio settimana dall’agenzia turca Anadolu del viaggio che, da lunedì, Erdogan compirà in Egitto, Tunisia e Libia. Ma in questi giorni la Turchia occupa solo una minima parte del tempo di Netanyahu, che in queste settimane ha visto crescere il sostegno internazionale alla proclamazione unilaterale di indipendenza dello stato di Palestina prevista nella seconda metà del mese. Certo gli alleati americani useranno il loro diritto di veto contro le intenzioni palestinesi al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ma 140 paesi sarebbero pronti a riconoscere la Palestina nell’Assemblea Generale (il voto è previsto ad ottobre). Il «sì» dell’AG sarebbe una sconfitta per Israele e Casa Bianca. Ieri il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che pure è un punto di riferimento costante al Palazzo di Vetro degli interessi americani ed occidentali, ha ribadito il suo sostegno alla creazione di uno stato palestinese che, ha detto, «dovrebbe esistere da tempo». «La visione di due Stati che permettono a Israele e ai palestinesi di vivere fianco a fianco in pace e in sicurezza, è una visione sempre valida e la sostengo pienamente », ha spiegato Ban.
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