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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica Rassegna Stampa
01.09.2011 Günter Grass e la Shoah, polemiche in seguito all'intervista rilasciata a Tom Segev su Haaretz
Lo scrittore accusato di relativizzare la Shoah. Cronache di Mara Gergolet, Andrea Tarquini. Commento di Pierluigi Battista

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica
Autore: Mara Gergolet - Pierluigi Battista - Andrea Tarquini
Titolo: «Grass 'rilegge' la Shoah: non fu l'unico crimine - Gli arditi paragoni di Gunter Grass, se l'Europa rimpicciolisce Auschwitz - Grass sotto accusa: relativizza la shoah»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/09/2011, a pag. 43, l'articolo di Mara Gergolet dal titolo " Grass 'rilegge' la Shoah: non fu l'unico crimine ", a pag. 45, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " Gli arditi paragoni di Gunter Grass, se l'Europa rimpicciolisce Auschwitz ". Da REPUBBLICA, a pag. 50, l'articolo di Andrea Tarquini dal titolo "Grass sotto accusa: relativizza la shoah".

L'intervista di Tom Segev a Günter Grass uscita due venerdì fa su Haaretz in Israele era dovuta alla pubblicazione in ebraico della sua autobiografia Sbucciando la cipolla, uscita in Italia quattro anni fa. L'intervista non ha suscitato alcuna impressione in Israele e non c'è stato alcun intervento critico. La polemica a cui si riferiscono i tre articoli che riprendiamo è nata da un articolo di Sueddeutsche Zeitung, perchè in Germania Grass fa sempre notizia, è l'unico scrittore vivente al quale sia stato dedicato una casa museo a Lubecca, fatto descritto da Segev anche con toni ironici per chi vuole leggere l'intervista ecco il link (http://www.haaretz.com/weekend/magazine/the-german-who-needed-a-fig-leaf-1.380883). La colpa di Grass, come quella di altri intellettuali diventati famosi nel dopoguerra, non è tanto nell'aver creduto nel nazismo, nel caso di Grass a 17 anni, ma di aver tenuto nascosto questa parte della sua vita giovanile ed essere diventato un maitre à penser della sinistra antifascista e antinazista, com'è successo anche in Italia ai tanti Dario Fo & soci che hanno combattuto nella repubblica di Salò diventando anche loro a Liberazione avvenuta maestri di democrazia. Con la pretesa di insegnarla agli altri. Di questi intellettuali se ne può fare una lunga lista, sono usciti libri dove le loro prodezze vengono raccontate e ad essi rimandiamo i lettori. Una polemica tutta tedesca, quindi. Forse non a caso suscita l'interesse dei commenti italiani perchè di Grass in sedicesimo, ma non solo, ne abbiamo parecchi. Peccato che in questa occasione non ne siano stati ricordati i nomi. Già, come mai ?
Ecco gli articoli:

CORRIERE della SERA - Mara Gergolet : " Grass 'rilegge' la Shoah: non fu l'unico crimine "


Günter Grass

BERLINO — Cinque anni fa, Günter Grass stupì e scioccò la Germania, raccontando di quando ragazzo, a 17 anni, si arruolò nelle SS. Fu la rottura di un lungo silenzio. Ma fu anche una confessione — contenuta in due pagine e mezzo del libro autobiografico Sbucciando la cipolla — che incrinò, nella percezione della cultura e società tedesche, la figura dello scrittore che nel dopoguerra è stato il faro intellettuale e morale della sinistra.
Ora, mentre questo libro viene tradotto in Israele e Günter Grass concede un'intervista allo storico israeliano Tom Segev, le sue parole tornano a far discutere e scandalizzare. Ci sono voluti alcuni giorni, perché l'intervista rimbalzasse in Germania, ma l'effetto non di meno è dirompente. Perché Grass torna a parlare di Olocausto, e di vittime della guerra. Stavolta tedesche.
«La follia e il crimine — sostiene Grass — non erano espressi solo nell'Olocausto, e non si sono fermati alla fine della guerra. Di otto milioni di soldati tedeschi che sono stati catturati dai russi, forse due milioni sono sopravvissuti e gli altri sono stati liquidati. E poi ci sono i 14 milioni di rifugiati tedeschi. Metà del Paese è passato direttamente dalla tirannia nazista alla tirannia comunista. Non dico questo per diminuire la gravità del crimine contro gli ebrei, ma l'Olocausto non è stato l'unico crimine. Noi portiamo la responsabilità per i crimini nazisti. Ma i crimini portarono anche a disastrose conseguenze per i tedeschi, che a loro volta divennero vittime».
Quella frase, «l'Olocausto non è l'unico crimine», può far sobbalzare un Paese che nel dopoguerra, in un lungo esercizio d'autoanalisi, ha cercato di fare chiarezza — e redimersi — dal proprio passato. E, sebbene nella lunga intervista Grass mostri enorme rispetto per la tragedia degli ebrei — in un tempo in cui in Francia (come denuncia Claude Lanzmann su «Le Monde») la parola Shoah viene bandita dai manuali scolastici — è facile esporsi alle accuse di voler comparare, relativizzandolo, l'annientamento degli ebrei ad altri stermini.
Ma è sulle «vittime tedesche» che Grass ha raccolto le maggiori critiche. La «Sueddeutsche Zeitung» ha affidato la replica, con un intervento in grande evidenza (pubblicato ieri sera sul sito e oggi sul giornale) allo storico Peter Jahn, direttore dal 1995 al 2006 del museo russo-tedesco di Berlino-Karlshorst. Soprattutto quel numero — sei milioni di soldati tedeschi liquidati — assomiglia in modo inquietante al numero delle vittime della Shoah. «Relativizzare — scrive Jahn — lo sterminio di sei milioni di ebrei paragonandolo all'immagine di pura fantasia della liquidazione di 6 milioni di prigionieri di guerra tedeschi, è una cosa che dal punto di vista morale chiede spiegazioni».
Ora, è vero che la discussione sui morti tedeschi sul fronte orientale non è mai stata chiusa: e le forbici oscillano fortemente. Ma Jahn, da parte sua, riporta quello che ritiene il bilancio più recente: oltre tre milioni di soldati catturati, di questi solo la metà rilasciati tra il 1947-1949. Ben lontano dai numeri di Grass. La questione però non riguarda solo i numeri. Piuttosto, il fatto che Grass riparta dalle «vittime tedesche», dai «nostri prigionieri», ossia dal linguaggio della Germania anni Cinquanta, che i conti con il nazismo non aveva ancora cominciato a farli. O che il premio Nobel tenga in così poco conto la sequenza temporale (e causale) della seconda guerra mondiale: il fatto che a muovere questi orrori — e i milioni di vittime sovietiche — sia stata la macchina da guerra tedesca.
Certo, pensare a un Grass revisionista è troppo. È pur sempre lui lo scrittore che accompagnò Willy Brandt mentre si inginocchiava al ghetto di Varsavia. E a un Tom Segev che gli chiede perché abbia trattato così poco dell'Olocausto nelle sue opere, ricorda che è anche grazie a lui se in Germania è stata pubblicata, negli anni 60, la relazione Stroop (che fece conoscere le dimensioni della Shoah), quella in cui diceva: «A Varsavia non c'è più un ghetto ebraico». Non fa nessuno sconto neppure a se stesso, alla propria appartenenza alle SS, conclusasi dice — con sua grande fortuna — senza aver dovuto ammazzare nessuno. «Ero giovane e stupido. L'ho nascosta così a lungo perché me ne vergognavo». Grass poi ama Israele, è contro il boicottaggio, vorrebbe dare il Nobel ad Amos Oz («ci provo da anni, ma me lo impediscono sempre»). Però, certo, ha molta voglia di parlare (rivedere?) la storia della sua Germania. Che per Grass non è solo quella dei carnefici, ma anche delle vittime. Magari di se stessi.

CORRIERE della SERA - Pierluigi Battista : " Gli arditi paragoni di Gunter Grass, se l'Europa rimpicciolisce Auschwitz "


Pierluigi Battista

Chi pensava che Claude Lanzmann avesse esagerato, forse invece, leggendo le dichiarazioni di Gunter Grass, sarà costretto a ricredersi. L'autore del documentario che in nove ore e mezzo ha raccontato nei dettagli più mostruosi l'orrore della Shoah si era allarmato perché nei manuali di storia in Francia fosse scomparsa, appunto, la parola Shoah, sostituita da termini come «annientamento» o «genocidio». Era difficile interpretare come una minimizzazione l'uso di una parola potente come «annientamento» del popolo ebraico: al massimo come un sintomo dello sciovinismo linguistico francese, ostile a ogni termine straniero. Ma quando Grass, in un'intervista a Tom Segev, giunge a paragonare l'Olocausto alle sofferenze dei militari tedeschi, forse davvero è il caso di interrogarsi se non sia in atto un mutamento profondo della sensibilità collettiva nei confronti dello sterminio degli ebrei. La Shoah appare un concetto usurato. Un riferimento banalizzato. Una metafora del negativo che irrompe nella storia, senza considerazione per le dimensioni, i metodi, il progetto di annichilimento, l'organinazione industriale dello sterminio che contraddistinguono la Shoah come un fenomeno a sé, imparagonabile anche alle mille malvagità e nefandezze di cui è costellata la storia. Oramai persino nella politica italiana ogni minimo ma incruento sopruso subìto viene paragonato al trattamento riservato agli ebrei con la Shoah. Ogni torto inflitto ai palestinesi dallo Stato di Israele viene amplificato come un sintomo del nuovo «nazismo», oltra: iando gli stessi ebrei, sempre più dipinti come le vittime di ieri diventate i carnefici di oggi. Grass ha tra l'altro costruito il suo paragone su una serie di strafalcioni storici (come requiparazione dei «sei milioni» di militari tedeschi uccisi con i «sei milioni» di ebrei sterminati nell'Olocausto). Qualcosa di più che un goffo tentativo di giustificazione del suo arruolamento volontario di sedicenne nelle Waffen SS confessato molto tardivamente. Forse davvero la banalizza-zione e la relativizzazione della Shoah sta diventando un luogo comune. Simbolo di una battaglia perduta sul fronte della memoria D rimpicciolimento simbolico di Auschwitz, esito doloroso e paradossale di un'Europa che dimentica facilmente l'orrore da cui è venuta. Pierluigi Battista ***

La REPUBBLICA - Andrea Tarquini : "Grass sotto accusa: relativizza la shoah"


Tom Segev, Haaretz

L´Olocausto non fu il solo crimine durante e dopo la seconda guerra mondiale. Ci furono crimini anche contro i soldati tedeschi deportati e in gran numero morti nel Gulag, o contro i 14 milioni di civili tedeschi espulsi a forza dai territori orientali perduti dalla Germania dopo la disfatta del 1945. L´argomento, detto così, quasi evoca alla lontana tesi e slogan degli storici o pseudostorici negazionisti, o dei neonazisti in tutta Europa. Ma a sorpresa, la frase è uscita di bocca a Günter Grass, forse il massimo scrittore tedesco vivente, Nobel della letteratura e grande voce critica della sinistra democratica tedesca, in una lunga intervista concessa al quotidiano israeliano Ha´aretz, e ieri sera la Sueddeutsche Zeitung, il grande quotidiano liberal di Monaco, ha sparato la storia nella prima pagina del suo sito gridando allo scandalo. Grass, accusa lo storico Peter Jahn, riscrive la storia della seconda guerra mondiale, rifà i conti delle vittime a modo suo, relativizza i crimini nazisti. E così ancora una volta l´infaticabile autore de Il tamburo di latta entra nell´occhio del ciclone delle critiche.
La lunga intervista a Ha´aretz è stata concessa da Grass al giornalista Tom Segev in occasione dell´uscita in Israele del suo libro Sbucciando la cipolla (pubblicato in Italia da Einaudi). Quello cioè uscito in Germania nel 2006 in cui, dopo decenni di silenzio, Grass raccontò che nella fase finale della seconda guerra mondiale egli, adolescente sedotto dai miti di vittoria e di nazionalismo del Terzo Reich, si arruolò nelle Ss.
È stata un´intervista di due ore e mezza, «e non è stata sempre facile», ha scritto Tom Segev nella sua presentazione. Un´intervista in cui lo scrittore parla di tutto («Mi vergogno di essere stato uno stupido ragazzino nazista», ha spiegato) arrivando alle responsabilità tedesche nei confronti dello Stato d´Israele: «La Germania ha la responsabilità di assicurare l´esistenza dello stato di Israele, la responsabilità di usare la sua forza e la sua influenza per avvicinare i confini. Ma è impossibile considerare Israele senza includere anche il conflitto con i palestinesi. E anche in questo senso la Germania ha una responsabilità nei confronti dei palestinesi. Il sostegno verso Israele talvolta obbliga ad essere critici con Israele. Eppure sono contrario ad ogni forma di boicottaggio». E, per far capire il suo legame con Israele, aggiunge: «Una storia d´amore e di tenebra di Amos Oz è uno dei libri più importanti di quelli scritti nel ventesimo secolo. Ogni anno cerco di supportare Oz per il Nobel: non mi ascoltano».
Ma quel che fa scandalo, forse in Germania più che in Israele perché nella Repubblica federale la negazione dell´Olocausto espressa in pubblico espone al rischio di sentirsi rimproverare giuridicamente un reato penale, è una piccola frase, verso la fine dell´intervista. Eccola: «Sono felice di sapere che i miei nipoti vogliono apprendere con grande interesse la verità sul nazismo e sull´Olocausto. Ma la follia e il crimine non si espressero solo nell´Olocausto e non finirono con la fine della guerra. Degli otto milioni di soldati tedeschi che furono catturati dai russi, forse due milioni sopravvissero, e gli altri furono liquidati. Ci furono 14 milioni di rifugiati in Germania (ndr: i civili che i sovietici espulsero dai territori orientali del Reich perduti dalla Germania dopo la disfatta hitleriana); un terzo dei tedeschi cadde direttamente dalla tirannia nazista alla tirannia comunista. Non dico questo per diminuire la gravità del crimine contro gli ebrei, ma l´Olocausto non fu il solo crimine. Noi portiamo la nostra responsabilità per i crimini nazisti, ma quei crimini causarono gravi catastrofi ai tedeschi, e così noi divenimmo vittime».
Sul piano logico, ovviamente, la presa di distanze da ogni relativizzazione dei crimini nazisti contro l´umanità è chiarissima. Però al tempo stesso Grass rilancia il discorso sui tedeschi vittime e non solo colpevoli nella tragedia storica del nazismo e della seconda guerra mondiale. In un modo che ad alcuni osservatori qui appare non privo di ambiguità fastidiose: la coscienza del mondo postbellico non ha mai detto che non ci furono altri crimini ma, col processo di Norimberga e altrove, ha sempre ricordato la differenza tra l´unicità della Shoah e gli altri crimini. Tra l´altro lo storico Peter Jahn, appunto nel suo articolo sulla Sueddeutsche online nota che Grass sbaglia anche le cifre: i soldati tedeschi deportati in Urss furono al massimo 4 milioni, di cui tra 700mila e 1 milione morirono nei Gulag. Molti meno, ad esempio, dei 3 milioni di prigionieri di guerra sovietici morti in mano nazista.

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