Riportiamo da LIBERO di oggi, 24/08/2011, a pag. 14, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " I leader della rivolta faranno rimpiangere il raìs ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " La nuova Libia e l’incognita della sharia ". Dalla STAMPA, a pag. 1-31, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Effetto domino su Assad ". Da REPUBBLICA, a pag. 11, l'intervista di Arturo Zampaglione a Daniel Pipes dal titolo " Non è ancora un successo, i ribelli rischiano di essere peggiori di Gheddafi ".
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " La nuova Libia e l’incognita della sharia "


Una delle maggiori incognite di queste rivolte arabe è il peso che gli islamisti giocheranno nel futuro di quei paesi, strategici anche per la sicurezza dell’occidente e d’Israele. In Egitto si oscilla fra fondamentalismo islamico, attivismo pro democrazia e restaurazione militare. In Tunisia si aspetta di vedere quanto forte sarà la famosa società tunisina “laica”, contro un partito Ennahda che avanza baldanzoso. In Libia il crescente peso degli estremisti islamici è emerso fin da subito con gli ex jihadisti reduci da Afghanistan e Iraq andati a combattere con i ribelli. I Fratelli musulmani, al Qaida, la galassia islamica africana, tutti hanno dato sostegno ai rivoltosi. Una fatwa emessa dal Yusuf Qaradawi aveva sollecitato a mettere a morte Muammar Gheddafi, dichiarato “apostata”. Giorni fa il generale Abdel Fattah Younes, comandante militare dei ribelli, è stato ucciso dalla frangia islamica. Ma il peso dell’ala islamista lo si vede ora sul piano della dichiarazione costituzionale, resa nota il 18 agosto dal Consiglio nazionale di transizione. Questa Carta dice che “l’islam è la religione e la sharia la principale sorgente legislativa”. Resta da vedere se le chiavi del futuro di Tripoli finiranno nelle mani dell’occidentalizzante neoliberista Mahmoud Jibril e della sua compagine accolta all’Eliseo, o di questa falange di combattenti barbuti e fanatizzati che grida “Allah Akhbar” mentre fa a pezzi i ritratti del colonnello. Non bisogna dimenticare che gli islamisti sono abbastanza scaltri da usarci fintanto che non avranno raggiunto il potere, per rivoltarsi contro di noi in quanto “infedeli” e “occidentali” non appena gli sarà data l’opportunità.
LIBERO - Carlo Panella : " I leader della rivolta faranno rimpiangere il raìs"

Abdel Salam Jallud
Si può affermare che Abdel Salam Jallud «è un personaggio che ha svolto in Libia un ruolo equilibrato e non si è macchiato di delitti e ha ottime caratteristiche per essere uno dei protagonisti della transizione verso la nuova Libia» come ha fatto ieri il ministro degli Esteri Franco Frattini a proposito del braccio destro di Gheddafi sino al 1993? La risposta è semplice: non si può. Jallud è stato infatti pienamente corresponsabile per ben 24 anni di tutti i molti crimini commessi da Gheddafi, espulsione violenta ed esproprio degli italiani dalla Libia incluso, appoggio aperto al terrorismo incluso. Questa risposta obbliga ad un'altra domanda: chi fornisce al responsabile della Farnesina informazioni così palesemente contrastanti con la verità storica? Come sa bene chiunque abbia seguito le dinamiche del potere in Libia, Jallud ha sempre svolto un ruolo di oltranzista nel quadro di comando della Jamahiriya di cui è stato, spesso contemporaneamente ministro degli Interni, vice primo ministro, ministro dell’Economia, ministro delle Finanze, Segretario Generale aggiunto del Congresso Generale del Popolo. Come Gheddafi, Jallud ha abbandonato ogni incarico formale nel 1979, ma è rimasto a tutti gli effetti il numero 2 del regime sino al 1993. E mentre il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, incontrerà domani il primo ministro del Consiglio nazionale transitorio libico, Mahmud Jibril, qualcuno deve informare al più presto Franco Frattini che è attendibile la notizia riportata di un suo viaggio in Cina nel marzo del 1970 per l’ac - quisto per 100 milioni di dollari di una bomba atomica “per risolvere una volta per tutte il conflitto arabo-sionista” (offerta respinta da Ciou En Lai). E anche che è certa la responsabilità personale di Jallud per l’ospitalità concessa al leader terrorista palestinese Abu Nidal, all’indomani degli attentati da lui organizzati a Fiumicino e Vienna nel 1985, fino al 1992. Tra l’altro, operando da Tripoli, e in raccordo con l’alleato della Libia nel “Fronte del Rifiuto” (del - la pace con Israele) Saddam Hussein, Abu Nidal organizzò l’attentato del 14 gennaio 1991 in cui fu ucciso il braccio destro di Yasser Arafat Abu Iyad (Salah Khalaf), colpevole di condannare l’appoggio dell’Olp alla invasione irachena del Kuwait. Non basta: non è possibile che l’at - tentato di Lockerbie del 21 dicembre del 1988 sia stato messo in atto - come è stato - da Abdelbaset ali Mohamed al Megrahi, alto dirigente dei Servizi libici appartenente alla tribù Magharia, senza che il capo politico di quella tribù e potente numero due del regime, Jallud appunto, non fosse pienamente consenziente. La riprova è nel fatto che è noto che Jallud - pur allontanato dal potere (ma mai imprigionato, gli fu solo ritirato il passaporto per sospetta “intelli - genza” con un complotto militare contro il raìs), non solo protestò presso Gheddafi quando questi decise di estradare al Megrahi a Londra, ma ottenne nel 2010 che Gheddafi ne “comprasse” letteral - mente la libertà - tramite la British Petroleum che ha ammesso questo ruolo - come precondizione per quel proprio rientro nel quadro di comando del regime a cui ha inutilmente lavorato Seif al Islam. Per essere chiari: Jallud è stato - a essere leggeri- il Rudolf Hess, o il Galeazzo Ciano, o il Tareq Aziz di Gheddafi e solo pensare che ora possa svolgere un ruolo positivo nella della nuova Libia è inimmaginabile. Certo. Jallud ha sempre avuto in mano i rapporti con tutte le multinazionali del petrolio, Eni inclusa. Ancora: è evidente che il passaggio di campo della sua tribù Magharia e suo personale, dal fiancheggiamento di Gheddafi al campo di Bengasi ha avuto un peso forse determinante nel contemporaneo tracollo del regime di Tripoli. Ma la realpolitik, e la stessa difesa degli interessi energetici dell’Italia, non può portare un eccellente ministro quale è Franco Frattini a attribuire attestati di affidabilità democratica - e ancor meno di coscienza pulita - ad un figuro come Jallud. Si può anche comprendere che si faccia di necessità virtù e che in qualche modo si “pa - ghi” il suo tardivo tradimento di Gheddafi. Ma che almeno lo si faccia in modo discreto.
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Effetto domino su Assad "


Maurizio Molinari Barack Obama
Dopo aver eliminato Osama bin Laden e rovesciato Muammar Gheddafi il presidente americano Barack Obama punta alla caduta di Bashar Assad.
La Casa Bianca non ama l’espressione «presidente di guerra», evita di parlare di «missioni compiute» e teorizza il ruolo di leadership americana nel mondo «guidando dal sedile posteriore» ma ciò non toglie che da Abbottabad a Tripoli fino a Damasco stia prendendo forma una dottrina Obama contro despoti e dittatori.
Per capire di cosa si tratta bisogna ascoltare Ben Rhodes.
Il trentenne esperto di strategia che scrive gran parte dei discorsi di Obama sulla sicurezza nazionale, quando afferma che «questa amministrazione segue politiche diverse su ogni scenario» partendo dalle «condizioni sul terreno». Nel caso di Bin Laden l’eliminazione è arrivata con la formula militare che coniuga intelligence, droni e forze speciali perché ha consentito di operare sul terreno di un Paese alleato come il Pakistan a dispetto dei suoi servizi segreti, considerati infiltrati da elementi jihadisti. Si è trattato dunque di un’operazione tutta americana mentre nel caso dell’intervento in Tripoli la scelta è stata di puntare sull’accoppiata fra legittimazione internazionale - la risoluzione Onu, il sostegno della Lega Araba e l’intervento della Nato - e il sostegno ai ribelli con metodi non tradizionali come l’addestramento da parte delle forze speciali, la forniture d’armi giunte da Paesi alleati e l’impiego delle più sofisticate apparecchiature di intelligence per suggerire alle tribù berbere quando iniziare l’assalto finale verso la Piazza Verde di Tripoli. Nel caso della Siria la formula a cui si affida l’amministrazione Obama è un’altra ancora: nessun intervento militare ma massiccio sostegno all’opposizione interna grazie a gioielli della tecnologia come le valigette che consentono di creare reti Internet capaci di sfuggire alla sorveglianza del regime, nella convinzione che il movimento di protesta interna contro Assad ha dimensioni tali da aver determinato una «cambiamento di rapporti di forza sul terreno», come li definisce William Burns, vice del Segretario di Stato Hillary Clinton, riferendosi all’indebolimento degli apparati di sicurezza del regime. L’unico tassello che accomuna l’operazione-Siria della Casa Bianca a quella libica sta nel costante lavorìo diplomatico per accrescere l’isolamento del dittatore con un misto di sanzioni nazionali, multilaterali e, quando possibile, delle Nazioni Unite. La differenza di approcci alle crisi presenti nel mondo arabo-musulmano può fa apparire l’amministrazione Obama incerta, ambigua e in contraddizione ma per Rhodes e Burns la coerenza sta nella «direzione di marcia» ovvero la decisione di mettere alle strette gli avversari dell’America ovunque si trovano, facendo leva sui mezzi pragmaticamente disponibili. Questo approccio ha il vantaggio di rendere Obama imprevedibile per i suoi avversari, che spesso lo sottovalutano, andando incontro a errori fatali. Bin Laden era sicuro di poter sfuggire alla caccia dei droni, Gheddafi pensava di fare tranquillamente strage degli abitanti di Bengasi e Assad ha continuato a promettere candidamente «riforme» mentre ordinava di sparare ad alzo zero sulle manifestazioni di piazza. Il risultato è uno scacchiere arabo-musulmano dove gli avversari dell’America che Obama ha ereditato da George W. Bush sono in questo momento caduti o sulla difensiva. Con l’eccezione dell’Iran di Mahmud Ahmadinejad che ha avuto successo nel reprimere le proteste e continua ad inseguire l’atomica. Ma alla Casa Bianca assicurano che l’«indebolimento di Assad investe l’Iran» usando un linguaggio da effettodomino, seppur non dichiarato.
La REPUBBLICA - Arturo Zampaglione : " Non è ancora un successo, i ribelli rischiano di essere peggiori di Gheddafi "


Daniel Pipes, Muhammar Gheddafi
NEW YORK - Esponente di punta del pensiero neocon in politica estera, Daniel Pipes non è affatto pronto a decretare la vittoria di Nicolas Sarkozy nella "campagna di Libia", né tanto meno ad applaudire il ruolo, più defilato ma sempre importante, della Casa Bianca di Barack Obama. «Ritengo infatti prematuro parlare di successo quando ancora non sappiamo se gli insorti che hanno preso il potere a Tripoli saranno meglio o peggio di Muammar Gheddafi», ci dice Pipes, 62 anni, direttore del Middle Eastern Forum e autore di una dozzina di saggi sulle crisi medio-orientali.
Lei, Pipes, ha sempre avuto il gusto della provocazione. Ma come fa a dimenticare gli atti di terrorismo internazionale firmati dal colonnello Gheddafi? Difficilmente si potrà avere una situazione peggiore di quella degli ultimi 40 anni.
«Sono stati decenni orribili e non ho bisogno che lei me lo ricordi: nel 1981 scrissi un saggio su Gheddafi che fece scalpore in cui ricordavo e analizzavo i vari aspetti della sua tirannia. Era isolato, era un eccentrico, ma non possiamo escludere a priori che i suoi successori non siano peggiori. La realtà è che la Francia, gli Stati Uniti e la Nato hanno usato la risoluzione del consiglio di sicurezza dell´Onu per aiutare gli insorti a sconfiggere Gheddafi, sapendo però ben poco sulla nuova classe dirigente destinata a prendere il potere».
Qual è il suo timore?
«Che dietro alla rivoluzione si nascondano gli integralisti islamici e che escano presto allo scoperto trasformando la Libia in un nuovo pericolo per la pace mondiale».
Gli stessi spauracchi venivano agitati quando la "primavera araba" ha cambiato le sorti di un altro paese, l´Egitto...
«Al tempo: so che altri lo hanno fatto, ma io non ho mai sopravvalutato il ruolo dei Fratelli musulmani in Egitto. Poi bisogna stare attenti alla definizione di "primavera araba": ritengo che in Tunisia e in Egitto ci siano stati solo dei colpi di Stato. Le masse di egiziani a piazza Tahrir hanno dato la giustificazione ai militari per defenestrate Mubarak e riprendersi il potere».
Quali sono i possibili scenari per il dopo-Gheddafi?
«Essenzialmente due: o prevalgono le correnti più aperte, moderne, liberal; o saranno i gruppi islamici a prendere il potere. Nel primo caso potremo parlare di vittoria nel vero senso della parola e potremo aspettarci ricadute positive altrove, a cominciare dalla Siria».
Se invece prevalessero gli integralisti?
«Ci sarebbero contraccolpi molto negativi, specie per paesi come l´Italia vicini alle coste libiche. Una Libia islamica potrebbe essere tentata di allearsi con l´Iran e costituirebbe una minaccia per Israele».
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