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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
19.08.2011 Usa, Barack Obama chiede a Bashar al Assad di lasciare il potere
Ma a che cosa serve? Cronache di Maurizio Molinari, Francesca Paci. Commento di redazione del Foglio

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Maurizio Molinari - Francesca Paci - Redazione del Foglio
Titolo: «Obama: Assad se ne deve andare - Non c’è nessuna tregua. Sparite decine di persone - Morte di una dottrina a Damasco»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 19/08/2011, a pag. 15, gli articoli di Maurizio Molinari e Francesca Paci titolati " Obama: Assad se ne deve andare " e  " Non c’è nessuna tregua. Sparite decine di persone ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Morte di una dottrina a Damasco ".
Ecco i pezzi:

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama: Assad se ne deve andare "


Maurizio Molinari

Stati Uniti e Unione Europea chiedono a Bashar Assad di «farsi da parte» nel giorno in cui Washington approva nuove sanzioni economiche contro Damasco e un rapporto dell’Onu svela «orribili violenze compiute contro i civili siriani».

La regia dell’assedio ad Assad è alla Casa Bianca. Il presidente Barack Obama redige e diffonde un comunicato nel quale afferma che «il futuro della Siria deve essere deciso dal suo popolo ma il presidente Bashar Assad è un ostacolo, i suoi appelli a dialogo e riforme si sono rivelati vuoti mentre imprigiona, tortura e massacra la sua gente. Per il bene del popolo siriano è arrivato il momento per Assad di farsi da parte».

L’espressione «farsi da parte» spicca nelle analoghe dichiarazioni dell’Unione Europea e dei governi di Francia, Gran Bretagna, Germania e Canada. «Gli Stati Uniti e gli alleati sono uniti nel chiedere ad Assad di andarsene» riassume un alto funzionario della Casa Bianca, sottolineando «l’importanza del consenso di Turchia, Arabia Saudita e Consiglio del Golfo» che rende ancora più evidente l’isolamento della Siria. «L’unica nazione rimasta a fianco di Assad è l’Iran» commenta il Segretario di Stato Hillary Clinton, illustrando dal Dipartimento di Stato le nuove sanzioni varate dall’amministrazione con un ordine esecutivo che congela tutti i beni del regime, proibisce investimenti e commerci ma soprattutto vieta «transazioni sui prodotti petroliferi siriani» obbligando le compagnie Usa, come Shell, a porre fine alle attività. Per Damasco significa il blocco alla produzione di 380 mila barili di greggio al giorno che costituiscono una delle maggiori entrate di liquidi per l’apparato di sicurezza.

«Sappiamo che la transizione non sarà immediata ma l’equilibrio di forze dentro la Siria è cambiato - spiega un consigliere di Obama - e i passi adottati servono ad accrescere l’isolamento di Assad, il tempo oramai sta lavorando contro di lui».

All’assedio internazionale di Damasco manca il tassello dell’Onu. Il Consiglio di Sicurezza si è riunito ieri sera con americani ed europei convinti di poter concordare una posizione comune con Russia e Cina, finora contrarie all’aperta condanna di Damasco, sulla base delle indagini svolte dal Consiglio dei diritti umani, le cui conclusioni contengono particolari agghiaccianti. «Le forze siriane hanno aperto il fuoco su manifestanti pacifici in tutto il Paese, spesso a distanza ravvicinata e senza avvertimenti, uccidendo almeno 1900 civili, inclusi bambini, per effetto di un apparente ordine di sparare per uccidere» recita il rapporto, secondo il quale «nello stadio di Daraa 26 persone, tra le quali un 13enne, sono state bendate e uccise». Inoltre «sono stati usati i cecchini per sparare contro i manifestanti, anche quando tentavano di evacuare i feriti» e vi sono «diverse testimonianze sulle forze di sicurezza che hanno ucciso i feriti ricoverati chiudendoli vivi nelle celle frigorifere degli ospedali». Il responsabile dei Diritti Umani dell’Onu, Navi Pillay, parla di «cinque mesi di gravi violazioni delle leggi internazionali sui diritti umani» schiudendo le porte ad un’indagine da parte del Tribunale penale internazionale dell’Aja per crimini di guerra, come avvenuto nei confronti di Muammar Gheddafi in Libia.

Mercoledì il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon aveva parlato con Assad, ricevendo l’assicurazione che le operazioni militari erano terminate ma quando sono giunte notizie di nuove uccisioni di civili ha fatto trapelare disappunto e delusione.

La STAMPA - Francesca Paci : " Non c’è nessuna tregua. Sparite decine di persone "

Non è vero che le operazioni militari siano terminate, l’esercito mantiene l’assedio alle città di Hama, Latakia, Dayr az Zour, Daraa, e non ferma le retate notturne, ma il popolo siriano non arretrerà perché sa che questa è la sua ultima chance di liberarsi della dittatura» dice al telefono da un villaggio nel Nord-Est del Paese Faisal Bader, del Syrian Lawyers for Freedom, la rete di avvocati che sostiene l’opposizione. Ahmed, laureando in economia all’università Homs, conferma la versione araba di quanto il presidente Assad ripete in inglese al segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon: «Al governo non resta che la propaganda. Le forze di sicurezza agiscono col buio e continuano a uccidere. Mercoledì notte sono penetrate nei quartieri sunniti, hanno arrestato decine di persone e le hanno ammassate nello stadio».

In apparenza indifferente alla sfida dell’opposizione come al crescente isolamento internazionale, il regime siriano ostenta sicurezza. Le scuole riprenderanno regolarmente il prossimo 18 settembre, annuncia il ministero dell’Istruzione smentendo la notizia di migliaia di dissidenti detenuti in aule e palestre. Le informazioni che trapelano dalla riunione del Comitato centrale del Baath, il partito unico al potere da quasi mezzo secolo, riferiscono la soddisfazione delle autorità per i risultati dell’offensiva militare contro «bande armate di terroristi» mentre i media di Stato titolano con l’ordine che regna a Damasco.

Eppure le voci dietro le quinte raccontano un Paese tutt’altro che pacificato. E non si tratta solo dei video e dei blog degli attivisti sulle vittime che avrebbero ormai superato quota 2000. Tra le righe dei comunicati ufficiali si legge l’affanno dei potenti che si sentono alle corde.

«Invece di aiutarci a attuare le riforme, il presidente americano Obama e l’Occidente cercano di fomentare la violenza in Siria» nota il portavoce del ministero dell’Informazione Rim Haddad commentando il giro di vite di Washington. L’agenzia di Stato Sana minimizza le nuove sanzioni affermando che i porti di Tartous e Banyias continuano a operare normalmente ma accenna anche a un presunto tentativo della Nato di preparare il terreno per un intervento in Siria, estrema manovra diversiva per spostare l’attenzione popolare contro la classica minaccia esterna.

Peccato che a cinque mesi dall’inizio della rivolta la credibilità del presidente Bashar al Assad sia ridotta al lumicino. Gli attivisti non negano che un intervento occidentale compatterebbe per un po’ i siriani risolvendosi in un assist per il regime. Ma sorridono cinici all’ennesimo piano di riforme promesso ieri in extremis dal Baath.

«Il tempo è scaduto, a lungo abbiamo chiesto aperture alla democrazia e ora vogliamo la fine della dittatura» taglia corto un’universitaria di Damasco, dove ieri gli sgherri del governo hanno rastrellato il quartiere sunnita Rukn alDin. A poche ore dalle rassicurazioni di Assad al segretario generale dell’Onu i Comitati di coordinamento locali riferivano già di nuove manifestazioni «contro le bugie del raiss» nel centro di Homs e alla periferia della capitale.

La partita geopolitica che si gioca in Siria è ormai nel vivo. Il mondo arabo, a eccezione del partito libanese Hezbollah, se n’è tirato fuori associandosi all’Arabia Saudita nel condannare la repressione e perfino i palestinesi, che a Damasco mantengono la centrale operativa di Hamas, non hanno gradito l’attacco al campo profughi di Raml, a Latakia. L’esercito siriano sembra ancora abbastanza solidale con il regime, ma l’inviato del «Time» ha incontrato diversi disertori dell’unità Rastan armati di AK-47 e della volontà di difendere la propria gente. Nessuno appare disposto a fare un passo indietro, ammesso che fosse ancora possibile.

Il FOGLIO - " Morte di una dottrina a Damasco "


Bacarck Obama                Bashar al Assad

Barack Obama, Hillary Clinton, David Cameron e la Ue hanno formalmente chiesto ieri a Bashar el Assad di lasciare il potere. Il dittatore naturalmente ha risposto picche di fronte al summit del Baath, riunito per varare le sue inesistenti “riforme”. Di rado la comunità internazionale è apparsa così incapace di iniziativa come di fronte alla macelleria delle truppe di Assad. Di rado un presidente americano si è esposto con un appello tanto drammatico quanto velleitario, di fronte al quale il destinatario può fare spallucce. Sono molte le ragioni di questo fallimento americano ed europeo di fronte alla più grave crisi umanitaria nel Mediterraneo dopo la guerra di Bosnia, in cui però l’America, con Bill Clinton, seppe infine intervenire con coraggio. La più grave, che ha poi prodotto le altre, è che Barack Obama, Hillary Clinton, John Kerry e Nancy Pelosi consideravano “l’affidabile” Assad addirittura il baricentro di tutta la loro dottrina per il medio oriente. Per contrastare la dottrina Bush, Pelosi e Kerry sono più volte volati a Damasco certi della sua volontà riformista, sicuri della possibilità di sganciare la Siria dall’alleanza con l’Iran e di farne la piattaforma per una pacificazione dialogante del medio oriente, questione palestinese inclusa. Un’illusione disastrosa, prodotta da un’analisi dilettantesca, da cui sono poi discese le altre incaute scelte di questi mesi, inclusa la guerra in Libia che oggi appare – ma lo è soltanto formalmente – il principale ostacolo a un impegno umanitario in Siria. Passo falso americano: non è tanto il declino della potenza militare, quanto la mancanza di comprensione delle dinamiche delle aree di crisi.

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