Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 19/08/2011, a pag. 12, l'articolo di Aldo Baquis dal titolo " Jihadisti attaccano bus e auto nel Sinai. È battaglia: 16 morti ", l'intervista di Francesca Paci a Martin Von Creveld dal titolo " Laggiù serve un muro dotato di telecamere ". Dall'OPINIONE, l'articolo di Stefano Magni dal titolo " Fuoco dall’Egitto, strage in Israele ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 2, l'intervista di Francesco Battistini a Benny Bilbasky, conducente dell'autobus, dal titolo " Il conducente-eroe dell'autobus colpito: Ho solo tirato dritto ". Dall'UNITA', a pag. 19, l'intervista di Umberto De Giovannangeli ad Avi Pazner dal titolo " Un atto di guerra per destabilizzare tutto il Medioriente ". Da REPUBBLICA, a pag. 16, l'intervista di Pietro Del Re a Marek Halter dal titolo " L´attentato indebolisce Abu Mazen e chi punta a uno Stato palestinese " preceduta dal nostro commento.
Ecco gli articoli:
La STAMPA - Aldo Baquis : " Jihadisti attaccano bus e auto nel Sinai. È battaglia: 16 morti "

Israele ha ieri constatato con sgomento di essere impreparato di fronte alla minaccia incombente rappresentata dal Sinai egiziano che ormai pullula di cellule terroristiche di varia colorazione. Un commando composto da una ventina di uomini ben addestrati e ben equipaggiati ha seminato per numerose ore lo scompiglio nella zona a Nord della affollata località turistica di Eilat, sul Mar Rosso.
I servizi di sicurezza avevano fiutato che qualcosa di grave era nell’aria e già mercoledì lo Yamam (l’unità speciale della polizia per la lotta al terrorismo) era stato schierato presso Eilat. Ciò nonostante i terroristi sono riusciti ad infiltrarsi nel Neghev senza alcuna difficoltà e per ore hanno fatto ricorso ad una vasta gamma di mezzi da combattimento: dai fucili automatici alle devastanti mine Klimagor, dai mortai ai razzi anticarro, fino anche ai corpetti esplosivi indossati dai terroristi in missione suicida.
Per alcune ore Eilat - dove pure le spiagge sono rimaste affollate - è stata di fatto tagliata dal resto del Paese, perché sulle due arterie statali principali (la numero 12 e la 90) erano in corso drammatici combattimenti fra i membri dei commando e i reparti dell’esercito. L’obiettivo di questa operazione, afferma l’intelligence di Gerusalemme, era di rapire a tutti i costi un israeliano, civile o militare, per poi trafugarlo a Gaza dove - dal giugno 2006 - è tenuto prigioniero anche il soldato Ghilad Shalit.
Questo obiettivo non è stato raggiunto. Ma per ore i terroristi (membri dei Comitati di resistenza popolare, una piccola ma agguerrita formazione attiva a Gaza) hanno colpito spietatamente i veicoli in transito, militari e civili, uccidendo almeno sette israeliani e ferendone numerose decine, forse una trentina. Un kamikaze palestinese si è fatto esplodere presso un autobus, uccidendone l’autista. I suoi compagni hanno sparato un razzo anticarro contro un’auto con a bordo passeggeri in gita, uccidendo quattro persone. Una donna, rimasta ferita, ha finto di essere morta giacendo per un’ora immobile accanto al cadavere del marito.
In una zona topograficamente molto difficile, la caccia agli infiltrati è stata durissima. Solo dopo diverse ore ne sono stati uccisi sette nel Neghev e altri due sul versante egiziano del confine. Una caccia che è costata la vita anche a tre guardie di frontiera egiziane, colpite da un elicottero militare israeliano mentre cercava di raggiungere i miliziani. Poi informazioni di intelligence hanno indicato che il comandante dei Comitati, Kamal Abu Awed Nairab, era stato localizzato in una abitazione di Rafah, a Sud di Gaza. Un velivolo israeliano ha allora centrato l’edificio e l’uomo uno dei rapitori di Shalit - è rimasto ucciso con cinque compagni. Poco dopo da Gaza è stato sparato un razzo contro la città israeliana di Ashqelon: ma è stato intercettato in volo e non ha provocato vittime.
Intanto a Gaza Hamas assicurava di essere del tutto estraneo a questi attacchi, che peraltro trovava «giustificabili» alla luce del prolungato congelamento del processo di pace. Nel timore di ritorsioni, i dirigenti di spicco di Hamas hanno comunque preferito darsi alla clandestinità.
Adesso Israele cerca di fare i conti con la nuova realtà creatasi nel Sinai con il crollo del regime di Mubarak. Formalmente il confine con l’Egitto è un confine di pace ma nel Sinai si moltiplicano le forze radicali islamiche, che Israele non può colpire per non compromettere le relazioni con il Cairo. D’altra parte i lavori di costruzione di un lungo reticolato di frontiera sono ancora agli inizi ed impedire ulteriori infiltrazioni non è impresa facile.
Negli attacchi di ieri, ha detto il ministro dei Trasporti Israel Katz, sono rintracciabili «le impronte digitali dell’Iran, che peraltro sostiene economicamente e militarmente Hamas a Gaza». Da parte sua Boaz Ganor, un esperto di terrorismo, ritiene che la tattica di combattimento estremamente complessa ostentata dagli infiltrati abbia caratteristiche riconducibili alle tecniche degli Hezbollah libanesi. «Chi ci attacca - ha avvertito il premier Benyamin Netanyahu - pagherà un duro prezzo». Ma il tempo stringe e il primo obiettivo, per Israele, è adesso quello di tamponare la vistosa falla scoperta lungo il suo confine meridionale.
L'OPINIONE - Stefano Magni : " Fuoco dall’Egitto, strage in Israele "

Stefano Magni
A mezzogiorno di ieri, sulla strada che collega Eilat (sulla costa israeliana del Mar Rosso) a Mitzpe Ramon, un commando terrorista ha aperto il fuoco contro un autobus israeliano. Cinque i feriti, fra gli sfortunati passeggeri. Mezzora dopo, un veicolo dell’esercito che stava accorrendo sul posto è stato investito dall’esplosione di un ordigno da strada, azionato a distanza. E’ seguito un breve scontro a fuoco, durante il quale i terroristi hanno sparato anche alcuni colpi di mortaio. Nemmeno un’ora dopo, all’1 e 30 del pomeriggio, un gruppo di fuoco, a 20 km dal primo luogo di agguato, ha sparato con lanciamissili contro un veicolo privato e un altro autobus. Armi pesanti, da guerra, usate contro veicoli civili, hanno provocato una strage: cinque israeliani sono morti sul colpo. Il bilancio (ancora provvisorio) delle perdine, da parte israeliana, è di 7 morti e 25 feriti, quasi tutti civili. Dalle 2 alle 4 del pomeriggio, unità dell’esercito e della polizia anti-terrorismo hanno dato la caccia ai gruppi di attentatori, uccidendone almeno 7. Ma in serata, verso le 17, i terroristi hanno colpito ancora a Nord di Eilat, provocando un altro ferito. Il tutto è avvenuto, in pieno giorno, a ridosso del confine (un fitto bosco di torrette d’osservazione nel deserto) con l’Egitto. Eppure il Cairo nega di aver individuato “movimenti sospetti” sul suo territorio. L’attentato apre dunque nuovi dubbi sulla gestione dell’Egitto dopo la caduta di Mubarak. La penisola del Sinai sta diventando un’area incandescente. I gasdotti che portano gas anche in Israele (oltre che in Giordania) sono stati fatti saltare in aria ben quattro volte, dalla rivoluzione in poi. Benché in queste settimane l’esercito egiziano stia dando la caccia alle cellule di jihadisti che operano nella penisola, l’attentato di ieri (una vera e propria azione di guerriglia ben organizzata) dimostra che l’ordine non sia affatto ripristinato. Il Cairo nega che i terroristi abbiano agito rimanendo nella parte egiziana del confine. Ma l’azione, stando alla dichiarazione del ministro della Difesa israeliano Ehud Barak (che a sua volta si basa su solide fonti di intelligence), è stata organizzata nella Striscia di Gaza. Se la geografia non inganna e i posti di blocco israeliani non lasciano passare gruppi di uomini armati di mitra, lanciamissili e mortai, vuol dir solo che il commando è entrato in Egitto (il valico di Rafah è aperto dallo scorso maggio) e poi si è appostato lungo la strada di Eilat. La reazione militare israeliana è arrivata subito: un raid su Rafah ha provocato la morte di 5 palestinesi. Ma che fare con l'Egitto? Il ministero della Difesa israeliano ha annunciato che saranno accelerati i lavori per allestire una nuova barriera di confine con un anno di anticipo, dunque entro il 2012.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Il conducente-eroe dell'autobus colpito: Ho solo tirato dritto "

Benny Bilbasky
GERUSALEMME — Ma come hai fatto, Benny? «Stavo guidando, ho fatto quel che dovevo...», dice lui tranquillo ai microfoni della tv israeliana, ancora seduto al posto di guida del suo bus, solo una sigaretta accesa a tradire la paura appena passata. Benny Bilbasky, 60 anni, una vita sulla linea 392 tra Beersheva ed Eilat, è l'eroe del giorno: «Se molti di noi si sono salvati — hanno raccontato i soldati che viaggiavano sul pullman attaccato — lo devono all'autista». Che ha mantenuto il sangue freddo, appena sono spuntati i terroristi, e ha dato di gas per togliersi dalla zona dell'agguato. «Stavo guidando. Ho sentito gli spari. Due colpi, è esploso il finestrino vicino a me. I proiettili mi sono passati sopra la testa e si sono conficcati nel tettuccio. Ho abbastanza esperienza per sapere che, in questi casi, bisogna tenere le mani sul volante. E non frenare. Altrimenti le cose possono soltanto peggiorare». Benny dice d'averci pensato molte volte, «anche se alla fine non credi mai che possa accadere a te»: chi si ferma è perduto, «sul pullman sentivo i ragazzi gridare, ho capito che qualcuno rispondeva al fuoco. Ma nemmeno mi sono girato a guardare: ho pestato sull'acceleratore e via. Correvo e speravo non c'inseguissero». Sembra rilassato, ora. Ma è tutt'apparenza: «Mai avuto tanta paura».
La STAMPA - Francesca Paci : " Laggiù serve un muro dotato di telecamere"

Martin van Creveld
Martin van Creveld è abituato a ragionare di strategia bellica, materia a cui ha dedicato ben 17 volumi. Ma stavolta perfino questo peso massimo della guerra simmetrica e asimmetrica che da oltre trent’anni insegna Storia militare all’Università di Gerusalemme appare spiazzato. L’attacco coordinato di ieri è al di là di ogni previsione, dice. E come tale va trattato: «Non c’è tempo da perdere, Israele dovrebbe costruire al più presto un muro dotato di telecamere lungo l’intero confine egiziano».
Cosa legge dietro l’azione di Eilat?
«Devo risalire indietro molti anni per ricordare un attacco del genere. Indica una nuova fase del terrorismo, un processo iniziato mesi fa quando, alla caduta di Mubarak, l’Egitto ha iniziato a perdere il controllo del Sinai. Da allora la regione è precipitata nel caos e adesso rischia di diventare un secondo Afghanistan o una seconda Somalia».
Il ministro della difesa israeliano Barak punta l’indice contro Gaza. Sono i palestinesi ad avvantaggiarsi del caos nel Sinai?
«Grazie al fatto che gli egiziani non possono più controllare il deserto come facevano prima, in Sinai operano ora molti gruppi: i salafiti, i beduini, Hamas, sembra ormai che ci sia anche al Qaeda. È verosimile che prima di migliorare la situazione peggiori e presto».
La risposta israeliana non è tardata. Assisteremo a un’escalation?
«L’escalation è già in corso. Difficile a questo punto prevedere cosa accadrà. Di certo, in virtù degli accordi di pace con l’Egitto, Israele non può colpire obiettivi nel Sinai. Resta solo Gaza».
A settembre i palestinesi chiederanno all’Onu di essere riconosciuti come nazione. Ci vede un collegamento con l’attacco di Eilat?
«Un collegamento potrebbe essere nel fatto che Hamas è stata a lungo tranquilla e ora vuole vedere cosa può fare oppure è un tentativo di sabotaggio di possibili colloqui di pace. Tutto è possibile. Comunque si tratta di un attacco complesso, ci sono molti gruppi all’opera nell’ombra. Barak ha additato Gaza ma magari la responsabilità è di al Qaeda. È presto per fare ipotesi».
Ai palestinesi non converrebbe arrivare pacificamente al riconoscimento delle Nazioni Unite?
«A rigor di logica sì. E anche ad Hamas non conviene un attacco massiccio contro Gaza in questo momento».
Cosa succederà se a settembre l’Onu riconoscerà davvero la Palestina?
«Non credo che assisteremo a una terza Intifada, specialmente in Cisgiordania dove la gente comincia a riprendersi ora dal salasso economico della seconda intifada. Magari ci sarà qualche manifestazione, non mi aspetto però una vera rivolta. E comunque il problema principale oggi non è la volontà futura dell’Onu riguardo ai palestinesi bensì il Sinai: e siamo solo all’inizio».
Pensa che il vento della primavera araba abbia in qualche modo scombussolato il Sinai?
«Di certo quello a cui stiamo assistendo è l’effetto di quanto avvenuto nei mesi scorsi in Egitto. Ora il Cairo sta mandando rinforzi militari nel Sinai ma potrebbe essere troppo tardi».
Si mormora anche che l’Iran e la Siria soffino sul fuoco. E’ possibile?
«In Medio Oriente tutto ha a che vedere con tutto. Ma non vedo cospirazioni specifiche in quanto sta avvenendo. Può darsi che l’Iran lavori per i suoi interessi: il problema iraniano però, così centrale nelle preoccupazioni israeliane, è al momento il minore. Dopo trent’anni di ottime relazioni con l’Egitto Israele si trova con la frontiera vulnerabile e interamente sguarnita».
Crede che in questi mesi Israele abbia sottovalutato il fronte Sinai?
«Non credo. E comunque cosa avrebbe potuto fare? Il processo è iniziato mesi fa e ha subito un’accelerata repentina. Se però oggi fossi responsabile della sicurezza d’Israele mi affretterei a costruire lungo l’intero confine con l’Egitto un muro, non una barriera ma un vero e proprio muro attraverso il quale non sia possibile vedere al di qua ma dotato di telecamere affinché i militari israeliani possono sorvegliare il deserto del Sinai».
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Un atto di guerra per destabilizzare tutto il Medioriente "

Avi Pazner
La Comunità internazionale farebbe bene a riflettere sul significato di questo triplice attacco terroristico: gli ideatori non hanno inteso solo colpire Israele, ma hanno voluto alzare il livello dello scontro con una chiara finalità: destabilizzare l’intera area mediorientale». A sostenerlo è Avi Pazner, già ambasciatore dello Stato ebraico in Italia, portavoce del Governo di Gerusalemme. Israele è di nuovo al centro di attacchi terroristici…
«Siamo di fronte a qualcosa di più complesso e, per molti versi, di ancor più inquietante: ad agire sono state almeno tre cellule terroristiche, con una pianificazione propria di un’operazione di guerra. Si è trattato di un’azione militare in piena regola, con mine telecomandate, lanciarazzi…».
Il ministro della Difesa Barak, ha detto che l’«origine degli attacchi terroristici è Gaza e noi reagiremo con tutta la nostra forza e determinazione».
«Gaza è in mano ad un’organizzazione terroristica,Hamas, che ha rapporti strettissimi con l’Iran e gli Hezbollah libanesi. Sappiamo che le milizie di Hamas continuano a ricevere armi e finanziamenti da Teheran e dai loro sodali libanesi. Tutto questo dovrebbe far riflettere il presidente Abbas (Abu Mazen)». Quale sarebbe questa riflessione?
«Dar vita a un Governo palestinese con dentro Hamas è liquidare la possibilità di riprendere un percorso negoziale. Il presidente Abbas rischia di essere ostaggio di chi non ha mai nascosto il suo vero obiettivo: cancellare dalla faccia della terra lo Stato d’Israele».
Le parole di Barak prefigurano una nuova escalation militare nella Striscia di Gaza?
«Israele intende esercitare il suo diritto alla difesa. In che termini, è materia di discussione in queste ore. Unacosa è certa: per Israelenonesistono “zone franche” per chi attenta alla nostra sicurezza».
I terroristi hanno colpito in un’area ai confini con l’Egitto. E un caso?
«In queste vicende il “caso” non c’entra niente. Sappiamo che l’Egitto sta attraversando una complessa transizione».
Per Israele è venuto meno un punto di riferimento: Hosni Mubarak. «Nonintendo entrare negli affari interni di un Paese, l’Egitto, con cui Israele è intenzionato a mantenere buone relazioni, ma resta il fatto che Mubarak ha rappresentato un argine alla penetrazione jihadista in Egitto e nella regione. Abbassare la guardia sarebbe una catastrofe. Per tutti. Sappiamo che nel Sinai agiscono da tempo gruppi legati ad Al Qaeda, il cui nuovo capo èun egiziano (Ayman al Zawahiri, ndr): realizzareun fronte unico terroristico che dal Sinai si colleghi a Gaza può essere nei disegni dei nemici d’Israele».
Gli attacchi avvengono in una fase di stallo delnegoziato israelo-palestinese. Abu Mazen accusa il Governo israeliano di intransigenza.
«Chiedere lo smantellamento delle cellule terroristiche a Gaza significa essere intransigenti? Dirsi pronti a riconoscere uno Stato palestinese se il presidente Abbas riconoscerà il diritto all’esistenza d’Israele in quanto Stato ebraico, significa voler sabotare il dialogo? Se la leadership palestinese avesse colto tutte le opportunità manifestatesi in questi decenni, ora non saremmo in questa situazione».
Abu Mazen è intenzionatoa presentare il mese prossimo, attraverso i Paesi arabi, una risoluzione per il riconoscimento dello Stato di Palestina all’Assemblea generale Onu.
«Si tratta di una forzatura unilaterale inaccettabile che non aiuterà la ripresa del negoziato».
Ma una forzatura, ribatterebbero i dirigenti palestinesi, è anche la colonizzazione dei Territori.
«Noi non facciamo nuovi insediamenti. Ma vogliamo che i 300mila ebrei che vivono in quei villaggi della Cisgiordania abbiano una vita normale».
La REPUBBLICA - Pietro Del Re : " L´attentato indebolisce Abu Mazen e chi punta a uno Stato palestinese "
Ecco l'aria fritta di Marek Halter. L'attentato indebolirebbe i 'moderati' come Abu Mazen, rafforzerebbe il governo Netanyahu che, secondo Halter, è contrario alla nascita di uno Stato palestinese, la risposta israeliana all'attentato viene definita 'rappresaglia'.
Ecco l'intervista:

Marek Halter
«Chi c´è dietro gli attacchi di Eilat? È verosimile che ci siano quelle schegge impazzite di Hamas che si oppongono a ogni cambiamento dello status quo», sostiene lo scrittore Marek Halter, figlio di un tipografo polacco e di una poetessa yiddish, che scampato per miracolo alla distruzione del ghetto di Varsavia si batte da una vita per il raggiungimento della pace in Medio Oriente. «Stavolta, rinforzando il governo di Bibi Netanyahu e indebolendo quello di Abu Mazen, i terroristi hanno preso due piccioni con una fava».
Marek Halter, era prevedibile un attentato del genere in Israele?
«Sì, se si pensa che Netanyahu è contrario alla creazione di uno Stato palestinese, nel quale ad ogni modo non ci sarebbe spazio per Hamas, perché sarebbe comunque presieduto da Abu Mazen. Credo che a Gaza nessuno vorrebbe oggi un nuovo Yitzhak Rabin».
C´è è poi il problema del Sinai, e della sua frontiera con l´Egitto, che non è più pattugliata dall´esercito di Mubarak. Ora, del muro simile a quello in Cisgiordania gli israeliani hanno costruito solo pochi chilometri.
«Dopo la rivoluzione di piazza Tahrir, l´indebolimento della potenza militare del Cairo fa gioco a molti. E gli egiziani stessi hanno paura dei terroristi nel Sinai, sostenuti sia dai Fratelli musulmani sia da Hamas. L´anno scorso, quando incontrai il suo capo a Damasco, Khaled Meshaal, egli mi disse che Hamas è già sorpassato da gruppi ancora più estremisti e difficilmente controllabili».
È quindi d´accordo con il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, quando dice che è Gaza la fonte di ogni terrore?
«No, mi sembra solo una frase di propaganda con cui giustificare l´immediata rappresaglia sulla Striscia».
Secondo i servizi israeliani il commando era composto da una ventina di uomini. La precisione dei loro attacchi e la loro potenza di fuoco - lanciarazzi, mine, mortai - ricorda gli attentati compiuti da Al Qaeda in Iraq e in Afghanistan. Si può parlare anche in questo caso di una rete internazionale del terrore?
«E se fossero gli iraniani che attraverso gli Hezbollah libanesi e i gruppi più estremisti di Hamas cercano di aprire un nuovo fronte mediatico per stornare l´interesse che il mondo porta a quanto accade in Siria? Per l´Iran la caduta di Assad in Siria potrebbe rivelarsi un colpo molto duro».
C´è chi sostiene che attacchi come questi sono riconducili alla politica degli insediamenti israeliani voluta da Netanyahu. È d´accordo?
«No, mi sembra un´opinione pretestuosa. Se così fosse, i terroristi avrebbero piuttosto attaccato un insediamento. Hanno invece ucciso nel cuore di Israele, in un luogo altamente simbolico».
Le sembra ancora possibile il raggiungimento della pace?
«Il nostro dovere è quello di non rassegnarci. La pace sopraggiungerà quando non ci sarà più speranza. Il peggio deve forse ancora arrivare. Solo allora, quando israeliani e palestinesi si troveranno davvero al buio, apparirà la luce».
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