Riportiamo da LIBERO di oggi, 13/08/2011, a pag. 14, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Assad spara alle moschee ". Dalla STAMPA, a pag. 19, l'articolo di Francesca Paci dal titolo "Clinton: Boicottiamo la Siria ".
Ecco i pezzi:
LIBERO - Carlo Panella : "Assad spara alle moschee"

Carlo Panella
«Agenti dei servizi segreti militari hanno puntato i loro fucili d'assalto Ak-47 in direzione della moschea e hanno colpito il condizionatore, che ha preso fuoco. in tutto il quartiere circostante di Ordi riecheggia il rumore degli spari, i fedeli scappano cercando riparo nei vicol »:questala testimonianza filtrata da Homs. Scene identiche a Deir Ezzor, dove cecchini appostati sui tetti hanno sparato e ucciso fedeli che uscivano dalle moschee dopo la preghiera del venerdì. Intanto, cani armati hanno distrutto il minareto della moschea Anwar al Rahman, così come giovedì avevano demolito il minareto della moschea Uthman ben Affan nella periferia Damasco, come testimoniano filmati diffusi su Youtube. La moschea Anwar al Rahman è stata trasformata in un bivacco di militari così come quella Mussa ben Nassir del quartiere Qussur a Dama, la città meridionale in cui è deflagrata la rivolta A Banias, da venerdì mattina tutti i luoghi di culto islamici sono stati interdetti ai fedeli, nonostante si sia in pieno Ramadan. Ieri 23 venerdì di protesta con lo slogan "Non ci inchiniamo a nessuno, solo ad Allah", le vittime in tutta la Siria sono state una ventina. Una ad Hama, la città "martire" che è di nuovo scesa in piazza nonostante sia stata messa a ferro e fuoco per dieci giorni dalla 7a divisione di MaheralAssad, fratello del presidente Bashar al Assad che ha fatto un centinaio di vittime. I giornalisti hanno potuto visitare Hama solo giovedì, constatando che le strade erano ancora occupate da barricate e che molti edifici portavano ancora i segni del bombardamento con granate e mortai. Tranne la certezza della ripresa di manifestazioni, nulla si sa o zi con certezza su Hama perché il regime ha interrotto venerdì tutte le linee telefoniche e ogni collegamento a Internet. Continua dunque la marcia del rullo compressore della più spietata repressione che si sia mai vista nel dopoguerra in un Paese del Mediterraneo. L'unica novitàèche ora prende di miraedistni ;eanche le moschee. Indisturbata dalla comunità internazionale, anche se le vittime sono ormai più di 1500 (più di tutte quelle della repressione in Tunisia, Egitto, Libia e Yemen messe assieme), gli arrestati 15.000 e 3.000 i desaparecidos. È clamorosa, inquietante, ingiustificata questa incapacità di fermare la frenetica guerra guerreggiata dell'esercito siriano contro il suo popolo. La ragione di questa ignavia di Onu, Nato ed Ue è ancora più inquietante: si sono impegolate in una guerra senza senso e che non riescono a vincere in Libia e, così facendo, si sono inibite qualsiasi capacità di pressione e di minaccia che ostacoli il regime siriano nel praticare la sua politica di "terra bruciata". Ieri Barack Obama ha telefonato al premier turco Tayyp Erdogan - l'unico che ha minacciato un sia pur limitato intervento militare contro Damasco - ma si è limitato a auspicare che «Bashar al Assad lasci il potere». Un verbalismo impotente, a cui ha fatto da spalla Hillary Clinton che ha chiesto ai Paesi che commerciano con la Siria di non comprare più gas siriano e di non vendere più armi a Damasco. Di nuovo, solo parole, così come sono solo minacce verbali le nuove sanzioni che la Ue prepara contro il regime baathista. Solo il presidente turco Abdullah Giil, ha saputo usare il linguaggio delle minacce chiare ed esplicite di intervento militare: «Dico con nettezza ai dirigenti della Siria che non vorrei che un giorno, guardandosi indietro, non dobbiate rimpiangere di avere agito troppo tardi e troppo poco».
La STAMPA - Francesca Paci : " Clinton: Boicottiamo la Siria "

Hillary Clinton
«Il problema ora è restare uniti, quelli che insistono nel manifestare a mani nude e gli altri, la minoranza, decisa a rispondere al regime colpo su colpo», ammette al telefono la militante Sima A. che da metà luglio pendola con Istanbul per le riunioni dei dissidenti siriani. Il quotidiano saudita Asharq al Awsat conferma le divisioni dell’opposizione ad Assad: i 19 morti contati dagli attivisti al tramonto del ventitreesimo venerdì di protesta impongono un bilancio ai ribelli. Come onorare la memoria dei 2000 civili uccisi in cinque mesi dalle forze di sicurezza di Damasco continuando a ignorare la chiamata alle armi delle zone tribali del sud e del nordest del paese?
Lo spettro della guerra civile volteggia sulla Siria sempre più isolata. Che la sfida al regime imponga una soluzione interna lo prova l’incertezza della comunità internazionale, verbalmente vicina «alle richieste del popolo siriano» eppure di fatto concentrata sulle proprie beghe economiche. Il segretario di Stato americano Hillary Clinton preme per l’inasprimento delle sanzioni, chiede ai paesi partner di «bloccare i rapporti commerciali con la Siria» e approfitta della crescente insofferenza di Mosca per auspicare lo stop delle esportazioni di armi russe a Damasco. Ma il presidente Obama, pur convinto che il mondo sarebbe migliore senza Bashar al Assad, confida nei buoni uffici della Turchia che martedì ha dato al regime 15 giorni di tempo per «ritirare le truppe dai principali fronti di tensione».
In apparenza indifferente alla clessidra della Storia, il Leone di Damasco non molla la morsa. Anche ieri, racconta l’Osservatorio siriano per i diritti umani, i tank hanno bersagliato i cortei organizzati a Hama, Homs, sul confine turco di Idlib, nelle enclave curde di Amouda e Qamishli, a Damasco e perfino nella finora restia Aleppo dove i ribelli si sarebbero concentrati nei quartieri di Sakhour, al-Zaydiyeh, Jarablos. Un video su YouTube mostra le rovine del minareto della moschea Anwar al Rahman di Dayr az-Zor, capoluogo della regione prossima all’Iraq. Secondo i Comitati rivoluzionari locali, lungi dall’essere un effetto collaterale dei bombardamenti la profanazione dei simboli sacri vorrebbe intimidire lo spirito del Ramadan.
«Non ci sottomettiamo che a Dio» replicano i ribelli, ripetendo lo slogan del secondo venerdì del mese sacro all’islam. Neppure l’arresto del presidente della Lega siriana per i diritti umani Abdel Karim Rihawi, prelevato nella sua casa al centro della capitale, sembra scoraggiare gli animi.
Difficile immaginare a questo punto che una delle due parti faccia un passo indietro. Se il regime cerca la sponda di Teheran con cui ha appena rilanciato la cooperazione commerciale consapevole di poter contare ormai solo sugli ayatollah, l’opposizione resiste per ora alla tentazione delle armi tentando di tenere a bada i propri fantasmi. Gli economisti danno al paese solo pochi mesi di vita economica.
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