Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Barack Obama: Assad abbandoni la Siria Inasprite anche le sanzioni. Cronaca di Maurizio Molinari, commento di redazione del Foglio
Testata:La Stampa - Il Foglio Autore: Maurizio Molinari - Redazione del Foglio Titolo: «Obama: Assad deve andarsene - Decisionismo alla turca»
Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 11/08/2011, a pag. 13, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Obama: Assad deve andarsene ". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Decisionismo alla turca ". Ecco i due articoli:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Obama: Assad deve andarsene "
Maurizio Molinari, Barack Obama
Nuove sanzioni economiche e l’imminente appello ad abbandonare il potere a Damasco: Barack Obama accresce la pressione sul leader siriano Bashar Assad sulla base della convinzione che le oltre 1700 vittime della repressione militare lo abbiano delegittimato ma all’Onu il Consiglio di Sicurezza si divide sulla linea da adottare mentre la Turchia frena, parla di «ritiro dei militari da Hama» e propone di dare ancora dieci giorni di tempo al regime per consentirgli «di fare le riforme».
Sono due funzionari della Casa Bianca a far sapere a Cnn eAssociated Press che «il presidente ha deciso di chiedere ad Assad di lasciare il potere» ripetendo il passo compiuto in febbraio nei confronti del Rais egiziano Hosni Mubarak. «L’annuncio di Obama potrebbe avvenire entro la settimana, forse nelle prossime 24 ore» aggiunge la Casa Bianca, facendo notare che ieri il presidente ha incontrato a porte chiuse il Segretario di Stato Hillary Clinton e il ministro del Tesoro Tim
Geithner per concordare i prossimi passi sulla Siria. I primi segnali di quanto sta maturando arrivano proprio dal Tesoro con le nuove sanzioni decretate contro due pilastri economici del governo di Assad: la Banca Commerciale di Siria, attraverso la quale passano gran parte delle transazioni finanziarie dello Stato, e la compagnia telefonica Syriatel di proprietà di Rami Makhouf, facoltoso cugino materno di Bashar contro il quale in febbraio si svolsero le prime proteste antigovernative nella città di Daraa, per via delle accuse di corruzione e sperperi sollevate nei suoi confronti.
L’intenzione di tali sanzioni è duplice: ostacolare ogni movimento finanziario di Assad, dalla fuga di capitali all’alimentazione delle forze armate, e schierarsi concretamente a fianco di chi accusa Makhouf di sfruttare il business delle comunicazioni per sostenere il regime. Sul fronte diplomatico il compito di Hillary è di preparare il terreno all’Onu affinché l’affondo di Obama contro Assad venga seguito da un simile pronunciamento del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ma la riunione avvenuta ieri sera al Palazzo di Vetro ha riproposto la spaccatura fra i cinque membri permanenti con Usa, Gran Bretagna e Francia favorevoli a nuove sanzioni mentre Russia e Cina si oppongono. Ad esitare sono anche India, Brasile e Sud Africa - membri non permanenti - i cui inviati hanno incontrato a Damasco Moallem premendo per «porre fine alla repressione». Nel tentativo di superare queste perplessità l’amministrazione Usa assieme a Francia e Gran Bretagna ieri notte ha puntato sui contenuti del rapporto Onu sulle violenze commesse in Siria. Nel testo si parla di almeno 2000 morti, 3000 feriti e un numero equivalente di profughi fuggiti in territorio turco, attribuendo al regime la scelta metodica della violenza contro i civili. Neanche questo è servito a superare le divisioni, di conseguenza Washington guarda all’ipotesi di un isolamento regionale del regime puntando soprattutto su Arabia Saudita e Turchia. Ma Ankara fa capire di voler dare ancora tempo ad Assad. Il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, si è recato in visita a Hama - la città teatro dell’attacco dei reparti corazzati - per poi affermare che «i mezzi militari si stanno ritirando», come anche osservato da alcuni giornalisti stranieri trasportati sul luogo dalle autorità siriane. «Speriamo che tali ultimi sviluppi portino a conseguenze positive» commenta il premier turco Recep Tayyp Erdogan, auspicando che «entro 10 o al massimo 15 giorni tutto sarà finito e la Siria adotterà passi verso le riforme». L’esercito siriano difende le operazioni condotte a Hama come «necessarie per sradicare gruppi di terroristi autori di attentati» e parla di «attività concluse» ma secondo fonti dell’opposizione e dei manifestati l’esercito continua a colpire i civili in altre località e «la repressione è in corso nella città di Deir el-Zour dove le forze del regime sparano contro ogni cosa in movimento». «La situazione è terribile - ha dichiarato un abitante di Deir el-Zour alla Ap - negozi di alimentari e farmacie sono chiusi, scarseggiano il cibo ed il latte per bambini». L’Osservatorio sui diritti umani in Siria parla di vittime civili anche a Sarmin, nei pressi del confine turco, e nella città di Taftanaz, nel nord-ovest.
Il FOGLIO - " Decisionismo alla turca "
Recep Erdogan
Il decisionismo unilaterale della Turchia di Tayyip Erdogan rompe lo spettacolo poco edificante di una comunità internazionale incapace di arrestare l’avanzare dei carri armati di Bashar el Assad sulle città siriane ribelli. Il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, ha avuto un incontro di sei ore col presidente siriano: l’inusuale durata del faccia a faccia segnala le scarse possibilità di un effetto pacificatore dell’ultimatum, anche se le truppe siriane hanno lasciato Hama, segnale apparente di buona volontà. E’ vero che lo spettacolo che si è aperto agli occhi dei giornalisti è desolante, così come è vero che rastrellamenti di uguale ferocia sono continuati a Deir al Zor, e si sono estesi alla provincia di Idlib (al confine con la Turchia). I media turchi suggeriscono che un eventuale fallimento della pressione di Ankara – scenario purtroppo più che probabile – potrebbe preludere a un intervento militare, almeno dimostrativo, sul suolo siriano. Azione con uno scopo tutto politico: mandare un messaggio ai non pochi sostenitori interni del regime per spingerli ad abbandonarlo al suo destino. Mentre le cancellerie occidentali continuano a esprimere vacue proteste verbali, mentre l’Onu è bloccata dal veto russo-cinese, mentre l’Europa discute di sanzioni che hanno già dimostrato la loro inutilità, mentre la Nato è impegolata in una insensata guerra libica, mentre Hillary Clinton valuta se chiedere la caduta di Assad – ma non sa con quali mezzi ottenerla – soltanto l’iniziativa unilaterale della Turchia appare, per mero contrasto con il vuoto circostante, l’unica adeguata per affrontare la crisi siriana.
Per inviare la propria opinione a Stampa e Foglio, cliccare sulle e-mail sottostanti