Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Hosni Mubarak e i suoi figli processati al Cairo commenti di Giulio Meotti, Bernardo Valli
Testata:Il Foglio - La Repubblica Autore: Giulio Meotti - Bernardo Valli Titolo: «'Egitto vs Mubarak'. L’ex rais in aula per la grandiosa resa dei conti - I generali del Cairo e la farsa democratica»
Sul processo a Hosni Mubarak e ai suoi figli hanno scritto tutti i quotidiani italiani: Carlo Panella su LIBERO, Giordano Bruno Guerri e Gian Micalessin sul GIORNALE, Viviana Mazza, Guido Olimpio e Franco Venturini sul CORRIERE della SERA, Lucia Annunziata e Francesca Paci sulla STAMPA, Stefano Magni sull'OPINIONE, Umberto De Giovannangeli sull'UNITA', Michele Giorgio sul MANIFESTO. I commenti sono per lo più equivalenti, riportiamo dal FOGLIO di oggi, 04/08/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " 'Egitto vs Mubarak'. L’ex rais in aula per la grandiosa resa dei conti ". Da REPUBBLICA, a pag. 1-13, l'articolo di Bernardo Valli dal titolo " I generali del Cairo e la farsa democratica ". Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - Giulio Meotti : " 'Egitto vs Mubarak'. L’ex rais in aula per la grandiosa resa dei conti"
Giulio Meotti, Hosni Mubarak
Roma. “Caso numero 3.642 – La Repubblica araba d’Egitto contro Hosni Mubarak”. E’ il nome tecnico del primo processo della storia a un presidente arabo. A differenza dell’ex capo di stato tunisino Ben Ali, fuggito in Arabia Saudita, Mubarak aveva promesso che sarebbe morto sul suolo egiziano. Ieri l’ex generale e rais è apparso in barella, pallido e sconfitto, nell’aula-bunker del Cairo, accusato di omicidio, corruzione per alcuni progetti immobiliari a Sharm el Sheikh e per la vendita di gas a Israele. La pubblica accusa ha detto che Mubarak ha “ordinato” l’uccisione di 850 manifestanti. L’ex presidente ha respinto ogni accusa e tra i testi chiamati ci sarà Mohammed Tantawi, numero uno del Supremo consiglio delle Forze armate che ha preso il potere con la caduta del regime. Secondo Mubarak è il responsabile della repressione, poiché dal 28 gennaio di fatto è divenuto leader del paese. I maggiori giornali egiziani hanno titolato sul “processo del secolo” (al Akhbar), sulla “resa dei conti” (al Masry al Youm) e sul “giorno memorabile” (al Ahram), perché “per la prima volta nella sua storia viene processato un presidente egiziano”. “I faraoni hanno costruito le piramidi, ma non sono stati processati in tv”, ha detto ironico Steven Cook del Council on Foreign Relations. C’è chi ha paragonato il processo, aggiornato al 15 agosto, a un “musalsalat”, i serial tv trasmessi nel Ramadan. Il procuratore ha annunciato che Mubarak deve rispondere anche di “tutte le violenze” commesse tra il 2000 e il 2010, non solo a piazza Tahrir. Quest’ultima accusa lascia intendere il ruolo decisivo giocato nel processo dai Fratelli musulmani, principali vittime del regime speciale di Mubarak. “Allah akhbar” (Dio è grande) ha gridato la folla di fronte ai mega schermi che trasmettevano le immagini di Mubarak e figli, vestiti con la tuta bianca dei detenuti. Sessanta i feriti negli scontri fra sostenitori e oppositori di Mubarak. Il processo si svolge nell’accademia di polizia da cui due giorni prima delle proteste (il 25 gennaio scorso) Mubarak aveva lodato i gendarmi nel garantire la sicurezza. Si chiamava “Mubarak Police Academy”, ma nome e cognome sono stati cancellati. Domenica l’ex presidente Mubarak era stato condannato a morte in effigie a Qena, durante un processo organizzato da un gruppo di avvocati e islamisti. Ieri fuori dal tribunale i familiari delle vittime hanno alzato cartelli che chiedono la pena di morte: “Il sangue si lava col sangue”. Cinquemila militari e cinquanta carri armati hanno garantito la sicurezza. “Una lezione per gli autocrati”, ha detto il portavoce dei Fratelli musulmani, Essam el Erian, che avevano chiesto una gogna pubblica. Da Israele l’ex ministro Benjamin Ben- Eliezer ha rivelato che durante la protesta Gerusalemme aveva offerto asilo a Mubarak: “Io e Bibi (il premier israeliano Netanyahu, ndr) abbiamo incontrato Mubarak a Sharm el Sheikh, gli ho detto che la distanza tra Sharm el Sheikh ed Eilat era poca e che sarebbe stata una buona opportunità per curarsi. Israele lo avrebbe accolto, ma Mubarak è un grande patriota e ha rifiutato”. Mubarak dovrà rispondere in aula della “Peace Pipeline”, il gasdotto della pace con cui il Cairo vende gas a Israele e che è già stato bombardato cinque volte in sei mesi. “Gli israeliani hanno pagato il triplo”, ha detto Mubarak alla procura. Il ministro della Giustizia, Mohammed al Guindi, dice che gran parte della ricchezza di Mubarak deriva dall’accordo con Israele, una delle decisioni più controverse, tanto che non era stato mai approvato dal Parlamento egiziano. A mediare per il contratto fu un amico dell’ex rais, Hussein Salem, ieri contumace ma giudicato in aula assieme a Mubarak. L’accordo fra il Cairo e Gerusalemme era stato il primo di questo tipo dalla pace di Camp David che costò la vita ad Anwar al Sadat. L’Egitto si impegnava, in cambio del ritiro israeliano dal Sinai, a vendere combustibile a Gerusalemme, un patto mai violato neppure durante l’invasione del Libano del 1982, quando i regimi arabi accusarono Mubarak di “fare il pieno” ai carri armati israeliani.
La REPUBBLICA - Bernardo Valli : " I generali del Cairo e la farsa democratica "
Bernardo Valli
Nell´aula del tribunale del Cairo, dove Hosni Mubarak è comparso ieri steso su una barella, è in gioco la credibilità della primavera araba, versione egiziana. Nella civiltà delle immagini, l´ex rais di 83 anni (dei quali 30 al potere) offerto agli occhi del mondo dietro le sbarre della gabbia riservata ai criminali, è già di per sé un avvenimento di enorme portata. Anzitutto inedito per l´Egitto che non ha mai visto un suo presidente trascinato davanti ai giudici. Uno pensa a Bagdad, dove Saddam Hussein fu processato e giustiziato. C´è tuttavia una profonda differenza. Il rais iracheno fu sconfitto e catturato dagli americani che l´hanno poi consegnato ai connazionali, ansiosi di condannarlo a morte; mentre Hosni Mubarak è stato destituito dai suoi. È stato destituito dagli egiziani, durante una rivolta popolare, ed ora rischia la pena capitale in un momento cruciale per il paese. In seguito a quella rivolta l´Egitto vive un difficile, tormentato periodo di transizione, da un regime autoritario a una democrazia, della quale disegneranno i contorni le elezioni d´autunno. Ma già il modo in cui si svolgerà il processo a Hosni Mubarak darà una precisa indicazione sulla natura della democrazia in gestazione. Le accuse, sia quella di omicidio (le 850 vittime della repressione di gennaio), sia quelle di malversazione e di corruzione (si parla di un patrimonio dei Mubarak di 40 miliardi di dollari), dovranno essere meticolosamente dibattute e non annegate in una retorica falsamente rivoluzionaria. Hosni Mubarak non è Luigi Capeto davanti alla ghigliottina. Né il dittatore destinato ad essere giustiziato sulla piazza dalla folla inferocita. Il suo processo è una prova di democrazia a cui la primavera araba, versione egiziana, è sottoposta. E quindi deve essere giusto. Senza concessioni. Ma serio. Né una farsa dunque, né un sacrificio propiziatorio per placare la collera popolare. Non un´imitazione dei tanti riti giudiziari, con sentenze già scritte, celebrati durante i trent´anni di Mubarak contro oppositori o presunti tali, non soltanto islamisti, e contro omossessuali, come i 52 imputati dieci anni fa nel processo del Queen Boat. La prima udienza accende qualche sospetto. Quell´immagine del raìs vecchio e malato, in apparenza sofferente, steso in barella, dietro le sbarre, è stata trasmessa con un´insistenza che lascia intravedere l´intenzione di offrire un forte spettacolo teso a soddisfare coloro che insieme alla democrazia chiedono che sia fatta giustizia del vecchio regime, e che finora si sono sentiti inascoltati o addirittura beffati dai militari al potere. Quel vecchio malato, dato più volte sull´orlo della morte, e poi apparso all´improvviso, in aprile, lo sguardo allerta e la parola facile, sui teleschermi di Al-Arabiya a proclamare la propria innocenza, dà l´impressione di essere un personaggio usato con disinvolta accortezza, strumentalizzato, dai generali un tempo suoi subordinati e comunque colleghi. Subordinati e colleghi che all´inizio dell´anno hanno tentato di salvarlo, come si salva un compagno d´arme nei guai, e che poi l´hanno invitato ad andarsene, l´hanno di fatto destituito sotto la pressione popolare e degli americani. E che ora lo mandano in barella davanti ai giudici, come una concessione alla piazza. Non bisogna dimenticare che dal 1952, anno in cui la rivoluzione degli "ufficiali liberi" mise fine alla monarchia, la Republica egiziana è inquadrata da una società militare, e che i quattro presidenti succedutisi da allora - Naguib, Nasser, Sadat, Mubarak - uscivano dalle sue file. L´influenza di quella società ha subito alti e bassi. Sia sul piano della sicurezza nazionale, interna ed esterna, come su quello politico ed anche economico, poiché molte industrie, da quella degli armamenti a quella alberghiera, sono affidate ai militari. I generali si sono dovuti adeguare a svolte importanti: dal socialismo nasseriano al liberismo di Sadat e Mubarak; dall´aperta ostilità verso Israele a una convivenza simile a un´alleanza con lo Stato ebraico; dalla stretta intesa con l´Unione Sovietica a quella (sovvenzionata) con gli Stati Uniti. Oggi il Consiglio superiore delle Forze armate, composto da (pare) diciannove generali, guida la transizione verso la democrazia, tra mille dubbi e sospetti. Sospetti e dubbi basati non solo sullo scetticismo circa la capacità di fondare una democrazia da parte di militari da più di mezzo secolo abituati a regimi autoritari. La sempre più evidente tendenza dei generali ad ascoltare il principale partito religioso, quello dei Fratelli Musulmani, non appare a molti un sintomo positivo. Inoltre non sono in pochi a ritenere che la società militare abbia deciso di sbarazzarsi di Hosni Mubarak, anche perché egli stava preparando la propria successione nell´ambito della famiglia. Gamal Mubarak, detto " jimmy", uno dei figli, il politico, spinto anche dalla madre Suzanne, puntava ormai apertamente a sedersi sulla poltrona del padre ultraottantenne. Si era impadronito del Partito democratico nazionale, al quale aveva pocurato un forte successo elettorale nell´inverno del 2010, ricorrendo a truffe plateali, e si pensava fosse imminente una dichiarazione ufficiale sulla questione della successione. Anche se devoti a Mubarak, i militari stentavano ad accettare che per la prima volta un civile, un borghese, sia pure figlio di un generale, occupasse la più alta carica dello Stato, e quindi il comando delle forze armate. E questo ha pesato l´11 febbraio, quando il Consiglio superiore, dopo molte esitazioni, ha accettato le richieste di piazza Tahrir e ha costretto Mubarak alle dimissioni. Ieri Gamal Mubarak era tra gli imputati, insieme al fratello Alaa, il finanziere. Non è insomma tanto avventato affermare che i militari processano la famiglia (con l´eccezione di Suzanne, la madre, la sposa influente) che stava per tradire la società militare. Il processo a Mubarak, nelle condizioni di salute in cui si trova l´imputato, non certo le migliori, può dunque essere considerato anche un regolamento di conti all´interno della società militare, e non esclusivamente un passo verso la giustizia chiesto dalle formazioni democratiche. I militari si sono rivelati riluttanti a giudicare i compagni d´arme. Tra gli imputati non c´è ad esempio il generale Omar Suleiman, mano destra di Mubarak come capo dei servizi segreti. Si può, si deve processare l´ex rais, ormai innocuo e altamente simbolico, ma non i generali che contano ancora. Se questa è la regola quella egiziana rischia di essere una "democrazia militare".
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