Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 01/08/2011, a pag. 1-10, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Se il multiculturalismo genera mostri ". Da REPUBBLICA, a pag. 23, l'articolo di Timothy Garton Ash dal titolo "La rete che ha armato Breivik".
La risposta migliore al pezzo di Timothy Garton Ash, che preferisce nascondere la testa sotto la sabbia per quanto riguarda i pericoli connessi al multiculturalismo, è il commento di Magdi Allam che pubblichiamo in questa pagina della rassegna.
Timothy Garton Ash legga l'articolo di Magdi Allam e si renderà conto che il multiculturalismo non è la soluzione ai problemi dell'Europa, ma la causa della sua trasformazione in Eurabia.
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Magdi Cristiano Allam : " Se il multiculturalismo genera mostri"

Magdi Cristiano Allam
Sembra proprio che in Italia siamo prossimi all’introduzione del reato di offesa al multiculturalismo. Prima che qualche magistrato ideologicamente orientato ( purtroppo in Italia non mancano) arrivi a condannare me o altri intellettuali per apologia di razzismo o addirittura di terrorismo, facendo leva su un reato che si accrediterebbe per la prima volta, di offesa al multiculturalismo o all’islam, ritengo sia opportuno chiarire la differenza sostanziale tra la dimensione dell’ideologia o della religione da quella delle persone, nel caso specifico tra multiculturalismo e multiculturalità, nonché tra islam e musulmani.
Dopo la pubblicazione del mio commento sul Giornale dal titolo «La strage in Norvegia: il razzismo è l’altra faccia del multiculturalismo», pubblicato lo scorso 24 luglio, ho ricevuto una valanga di accese critiche e anche qualche violenta minaccia. Data la mia condizione di sicurezza assai critica che mi costringe da oltre otto anni a vivere con la scorta di primo livello eccezionale, ho dovuto denunciare alle competenti autorità i messaggi che incitavano apertamente ad odiarmi, a disprezzarmi, a radiarmi dalla società civile, qualificandomi come talebano, razzista, fascista, nazista, sentenziando la mia condanna all’ergastolo sbattendomi in galera e lanciando la chiave nell’oceano, perché sarei il peggior nemico dell’Italia e dell’Europa, il sommo traditore di tutto, degli arabi e dei musulmani, ma anche degli italiani e dei cristiani, un rinnegato che immeritatamente è riuscito a spacciarsi per giornalista e poi per politico, ma che in realtà è solo un ignorante e un fanatico.
Mi domando se i miei critici, denigratori e implacabili giustizieri si siano presi la briga di leggere il mio commento prima di infliggermi la pena capitale senza possibilità d’appello. Come hanno potuto tralasciare la mia ferma condanna delle stragi di Oslo e di Utoya, ripetute all’inizio e alla fine del commento, chiarendo che non possono essere in alcun modo giustificate e che non si può accordare alcuna attenuante a chi attenta alla sacralità della vita di tutti, a prescindere dall’etnia, dalla fede, dall’ideologia e dalla cultura? Probabilmente non sanno che proprio per la mia strenua difesa della sacralità della vita di tutti che è iniziato il mio calvario oltre 8 anni fa, quando da musulmano moderato e laico sostenni pubblicamente il diritto di Israele a esistere come Stato del popolo ebraico, condann ando aperta mente il terrori smo islam i c o che, dopo aver legittimato il massacro degli israeliani e degli ebrei, si è scatenato contro i cristiani e infine contro tutti i musulmani che non si sottomettono al suo arbitrio.
Quando nel 2003 fui per la prima volta condannato a morte da Hamas proprio per la mia pubblica denuncia del terrorismo suicida islamico che mieteva vittime tra i civili israeliani, pagando sulla mia pelle la limitazione alla mia libertà personale, ho compreso la necessità di distinguere tra la dimensione della religione e la dimensione delle persone. Presi atto del fatto che i musulmani come persone possono essere moderati, ma che l’islam come religione non è moderato. I fatti oggi confermano che sono gli stessi musulmani la gran parte delle vittime del terrorismo islamico che si ispira esplicitamente ai versetti coranici che istigano all’odio, alla violenza e alla morte contro gli ebrei, i cristiani, gli infedeli, gli apostati, gli atei, le adultere e gli omosessuali. Così come si fonda sul comportamento di Maometto che ha ucciso i «nemici dell’islam» fino a commettere l’orrore di partecipare di persona allo sgozzamento e alla decapitazione di circa 800 ebrei della tribù dei Banu Quraisha nel 628 alle porte di Medina.
Il ragionamento simile l’ho maturato nei confronti del multiculturalismo dopo l’atroce sgozzamento di Theo Van Gogh il 2 novembre 2004 da parte di un giovane terrorista islamico olandese di origine marocchina nel centro di Amsterdam e dopo la strage perpetrata da quattro giovani terroristi suicidi britannici di origine pachistana nel centro di Londra il 7 luglio 2005. Da allora hanno preso le distanze o pubblicamente denunciato il multiculturalismo capi di stato e di governo europei di sinistra e di destra, da Tony Blair a David Cameron, da Nicolas Sarkozy a Angela Merkel, da Silvio Berlusconi a Anders Fogh Rasmussen. Ebbene se io oggi condanno apertamente il multiculturalismo e come reazione vengo accusato di essere razzista, fascista, ecc. dovremmo estendere la medesima accusa a questi capi di Stato e di governo?
A questo punto dobbiamo chiarire la distinzione fondamentale tra il multiculturalismo e la multiculturalità. La multiculturalità è la fotografia della realtà inoppugnabile che ci fa toccare con mano il fatto che ormai in qualsiasi angolo della terra convivono persone provenienti da Paesi diversi, con fedi, culture e lingue diverse. Personalmente considero di per sé la multiculturalità come una realtà positiva, una risorsa che può tradursi in arricchimento e crescita per l’insieme della società e, su scala più ampia, per l’insieme dell’umanità. La multiculturalità è l’estensione, nel nostro mondo globalizzato, della realtà dell’emigrazione che è connaturata alla vita stessa, avendo da sempre l’uomo ricercato altrove migliori condizioni di sussistenza.
Il multiculturalismo invece è tutt’altro dalla multiculturalità.
Mentre la multiculturalità è un dato che concerne gli «altri », il multiculturalismo è un dato che concerne il «noi». Il multiculturalismo è un’ideologia che immagina di poter governare la pluralità etnica, confessionale, culturale, giuridica e linguistica senza un comune collante valoriale e identitario, limitandosi sostanzialmente a elargire a piene mani diritti e libertà a tutti indistintamente senza richiedere in cambio l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole. Il multiculturalismo laddove viene praticato, principalmente in Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Germania, ha finito per disgregare anche fisicamente la società al suo interno con la presenza di quartieri-ghetto abitati quasi esclusivamente dagli immigrati, ha accreditato l’immagine di nazioni alla stregua di «terre di nessuno»alimentando l’appetito di chi ci guarda come se fossimo «terre di conquista».
Ora spero proprio che sia chiaro il mio pensiero: se io, legittimamente, confortato anche dalla posizione espressa da capi di Stato e di governo europei in carica, denuncio il multiculturalismo, ciò non significa in alcun modo né che io sia contrario alla multiculturalità intesa come convivenza con persone di etnie, fedi, culture e lingue diverse e, meno che mai, che io nutra un pregiudizio razziale o religioso nei confronti delle persone. Come potrei mai proprio io, che sono di origine egiziana e che sono stato musulmano per 56 anni, avere sentimenti ostili nei confronti dei miei exconnazionali e dei miei excorreligionari?
Tuttavia, al pari di Gesù e di Gandhi, che dissero di amare il peccatore, ma di odiare il peccato, io rivendico il diritto di poter affermare pubblicamente e legittimamente sia il mio amore per gli immigrati e per i musulmani come persone sia la mia condanna del multiculturalismo come ideologia e dell’islam come religione. È ancora lecito in Italia e in Europa affermare la verità in libertà? Possiamo ancora attenerci all’esortazione evangelica: «Sia il vostro parlare sì sì, no no » ?
La REPUBBLICA - Timothy Garton Ash : "La rete che ha armato Breivik"

Timothy Garton Ash
«Si può scegliere di ignorare la Jihad, ma non si possono ignorare le conseguenze della scelta di ignorarla», così Pamela Geller, blogger anti-islam, ha reagito a caldo alla notizia degli attacchi terroristici in Norvegia. Ha quindi postato il video di una manifestazione pro-Hamas a Oslo già apparso qualche anno fa sul suo sito Atlas Shrugs (traduzione letterale "Atlante fa spallucce"). Quando è emerso che l´autore della strage non era un terrorista islamico bensì Anders Behring Breivik, un terrorista anti-islamico, che aveva pubblicato su Internet un manifesto zeppo di citazioni di autori anti-islamici come lei, la Geller-Atlante ha alzato a sua volta le spalle: «È un maledetto assassino. Punto. È il solo responsabile delle sue azioni. L´ideologia non c´entra», ha commentato.
Bruce Bawer, americano trapiantato ad Oslo, autore di un saggio che lamenta la conquista dell´Europa da parte dei musulmani, è più riflessivo. Osserva che nel suo manifesto dei cavalieri templari Anders Behring Breivik: «Riproduce e approva molte frasi mie e cita il mio nome 22 volte». Con sana costernazione aggiunge: «È agghiacciante pensare che i post pubblicati sul mio blog negli ultimi anni, scritti nella mia casa di Oslo siano stati letti e copiati da questo futuro omicida nello stesso quartiere della stessa città».
Che rapporto lega le tesi anti-islamiche alle azioni efferate di Breivik, ammesso che un rapporto esista? Innanzitutto gente come la Geller o il più moderato Bawer, non sono responsabili dei misfatti di Breivik. Accusarli di concorso di colpa nella strage equivale a giudicare gli autori musulmani non violenti. Dato che è proprio quello che i radicali anti-islamici fanno da anni, si potrebbe anche provare un briciolo di maligno compiacimento vedendoli vittima dei loro stessi metodi. Non sono responsabili.
Però come è ridicolo sostenere che non esistono collegamenti tra l´ideologia islamista e il terrore islamista è altrettanto ridicolo affermare l´assenza di collegamenti tra la tesi allarmista dell´islamizzazione dell´Europa (e dell´Occidente intero) diffusa da queste persone e da altri e l´interpretazione che Breivik dà delle proprie azioni. L´ideologia non c´entra? Certo che c´entra. Buona parte del manifesto di Breivik ribadisce (spesso attraverso il copia-incolla di brani tratti da Internet) esattamente questa spaventosa visione dell´Europa come "Eurabia", un´Europa avvelenata dal multiculturalismo e da altri morbi sinistrorsi, che si piega, arrendendosi senza reagire alla supremazia musulmana. La sua mente senza dubbio squilibrata salta quindi alla folle conclusione che il cavaliere giustiziere (questo il ruolo che si arroga) deve compiere un´azione eroica, brutale, per dare una scossa alla sua società indebolita. Cosa fare allora con queste voci estremiste? Una parte della sinistra europea è favorevole a censurarle. Ma è una strategia sbagliata. Non fermerà queste tesi, le farà semplicemente entrare in clandestinità, dove diventeranno ancor più velenose. Congelerà il legittimo dibattito su temi importanti come l´immigrazione, la natura dell´Islam, i fatti storici. Porterà in tribunale mitomani come la ventitreenne Samina Malik, la commessa accusata di aver scritto brutti versi inneggianti al martirio in nome della Jihad e non assicurerà alla giustizia i veri violenti.
L´incitamento diretto alla violenza deve essere ovunque punito con rigore. I testi di stampo ideologico di cui si è nutrita la follia di Breivik non rientrano, a mio giudizio, in questa fattispecie giuridica. Consentire agli estremisti anti-islamici da un lato e agli islamisti dall´altro di dar voce alle proprie fantasie da crociata è il prezzo che si paga per la libertà di parola in una società aperta. Significa che non si deve reagire? Ovviamente no. Proprio perché censurare costa troppo in termini di libertà di parola e nell´era di Internet la censura è comunque impossibile. Fondamentale è l´ambito politico, dove i politici tradizionali, visto il successo elettorale dei partiti xenofobi e populisti, tendono a tollerare più che a condannare i miti xenofobi.
Un altro campo di battaglia è costituito dai cosiddetti media tradizionali. In un paese come la Norvegia - e in Gran Bretagna - le emittenti pubbliche e una stampa valida e responsabile generalmente garantiscono che le opinioni estreme messe in onda e pubblicate siano controbilanciate da critiche ai miti pericolosi che spacciano, fondate sui dati di fatto, la ragione e il buon senso. Ma se la fonte di informazione sono i tabloid scandalistici preferiti da Rupert Murdoch? O un´emittente sistematicamente di parte come quelle di Silvio Berlusconi in Italia o la Fox News di Murdoch negli Usa? La notte delle stragi di Oslo durante il talk show "The O´Reilly Factor", sulla Fox, Laura Ingraham dà notizia di «due gravissimi attacchi terroristici in Norvegia, a quanto pare opera ancora una volta di terroristi musulmani». Dopo qualche dettaglio sulle stragi in base alle informazioni al momento disponibili, la conduttrice prosegue: «Intanto a New York i musulmani intenzionati a costruire una moschea a Ground Zero hanno recentemente ottenuto una grande vittoria…». Maledetti musulmani, mettono bombe a Oslo, costruiscono moschee a New York. Breivik dimostra quale fantastica risorsa rappresenti la rete per chi vi si accosti con una mentalità aperta. Online si possono anche trovare migliaia di persone che condividono le stesse idee perverse, cementando ideologie della peggior risma. Si crea così una visione del mondo sistematica, chiusa, completamente avulsa dalla realtà umana quotidiana. Il manifesto di Breivik, infinito copia-e-incolla di brani presi dalla rete, è un esempio perfetto di questo meccanismo.
Non esistono soluzioni semplici. La vera sfida è scoprire come ottimizzare la straordinaria capacità di Internet di aprire le menti minimizzando la tendenza a chiuderle, oggi così evidente.
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