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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - La Repubblica Rassegna Stampa
01.08.2011 Il multiculturalismo non è la soluzione
Analisi di Magdi C. Allam. Timothy Garton Ash fuori strada

Testata:Il Giornale - La Repubblica
Autore: Magdi Cristiano Allam - Timothy Garton Ash
Titolo: «Se il multiculturalismo genera mostri - La rete che ha armato Breivik»

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 01/08/2011, a pag. 1-10, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Se il multiculturalismo genera mostri ". Da REPUBBLICA, a pag. 23, l'articolo di Timothy Garton Ash dal titolo "La rete che ha armato Breivik".

La risposta migliore al pezzo di Timothy Garton Ash, che preferisce nascondere la testa sotto la sabbia per quanto riguarda i pericoli connessi al multiculturalismo, è il commento di Magdi Allam che pubblichiamo in questa pagina della rassegna.
Timothy Garton Ash legga l'articolo di Magdi Allam e si renderà conto che il multiculturalismo non è la soluzione ai problemi dell'Europa, ma la causa della sua trasformazione in Eurabia.
Ecco i pezzi:

Il GIORNALE  - Magdi Cristiano Allam : " Se il multiculturalismo genera mostri"


Magdi Cristiano Allam

Sembra proprio che in Ita­lia siamo prossimi all’in­troduzione del reato di of­fesa al multiculturali­smo. Prima che qualche magistrato ideologica­mente orientato ( purtrop­po in Italia non mancano) arrivi a con­dannare me o altri intellettuali per apolo­gia di razzismo o addirittura di terrori­smo, facendo leva su un reato che si ac­crediterebbe per la prima volta, di offesa al multiculturalismo o all’islam, ritengo sia opportuno chiarire la differenza so­stanziale tra la dimensione dell’ideolo­gia o della religione da quella delle perso­ne, nel caso specifico tra multiculturali­smo e multiculturalità, nonché tra islam e musulmani.
Dopo la pubblicazione del mio com­mento sul
Giornale dal titolo «La strage in Norvegia: il razzismo è l’altra faccia del multiculturalismo», pubblica­to lo scorso 24 luglio, ho ricevu­to una valanga di accese criti­che e anche qualche violenta mi­naccia. Data la mia condizione di sicurezza assai critica che mi costringe da oltre otto anni a vi­vere con la scorta di primo livel­lo eccezionale, ho dovuto de­nunciare alle competenti autori­tà i messaggi che incitavano apertamente ad odiarmi, a di­sprezzarmi, a radiarmi dalla so­cietà civile, qualificandomi co­me talebano, razzista, fascista, nazista, sentenziando la mia condanna all’ergastolo sbatten­domi in galera e lanciando la chiave nell’oceano, perché sa­rei il peggior nemico dell’Italia e dell’Europa, il sommo tradito­re di tutto, degli arabi e dei mu­sulmani, ma anche degli italia­ni e dei cristiani, un rinnegato che immeritatamente è riuscito a spac­ciarsi per giornali­sta e poi per politi­co, ma che in re­altà è so­lo un ignoran­te e un fa­natico.
Mi do­mando se i miei critici, denigra­tori e implacabili giustizieri si si­ano presi la briga di leggere il mio commento prima di inflig­germi la pena capitale senza possibilità d’appello. Come hanno potuto tralasciare la mia ferma condanna delle stragi di Oslo e di Utoya, ripetute all’ini­zio e alla fine del commento, chiarendo che non possono es­sere in alcun modo giustificate e che non si può accordare alcu­na attenuante a chi attenta alla sacralità della vita di tutti, a pre­scindere dall’etnia, dalla fede, dall’ideologia e dalla cultura? Probabilmente non sanno che proprio per la mia strenua dife­sa della sacralità della vita di tut­ti che è iniziato il mio calvario ol­tre 8 anni fa, quando da musul­mano moderato e laico sostenni pubblicamente il diritto di Israe­l­e a esiste­re come Stato del popolo ebraico, condan­n ando aperta­ mente il terrori­ smo isla­m i c o che, do­po aver legittimato il massacro degli israeliani e degli ebrei, si è scate­nato contro i cristiani e infine contro tutti i musulmani che non si sottomettono al suo arbi­trio.
Quando nel 2003 fui per la pri­ma volta condannato a morte da Hamas proprio per la mia pubblica denuncia del terrori­smo suicida islamico che miete­va vittime tra i civili israeliani, pagando sulla mia pelle la limi­tazione alla mia libertà persona­le, ho compreso la necessità di
distinguere tra la dimensione della religione e la dimensione delle persone. Presi atto del fat­to che i musulmani come perso­ne possono essere moderati, ma che l’islam come religione non è moderato. I fatti oggi con­fermano che sono gli stessi mu­sulmani la gran parte delle vitti­me del terrorismo islamico che si ispira esplicitamente ai verset­ti coranici che istigano all’odio, alla violenza e alla morte contro gli ebrei, i cristiani, gli infedeli, gli apostati, gli atei, le adultere e gli omosessuali. Così come si fonda sul comportamento di Maometto che ha ucciso i «nemi­ci dell’islam» fino a commettere l’orrore di partecipare di perso­n­a allo sgozzamento e alla deca­pitazione di circa 800 ebrei del­la tribù dei Banu Quraisha nel 628 alle porte di Medina.
Il ragionamento simile l’ho maturato nei confronti del mul­ticulturalismo dopo l’atroce sgozzamento di Theo Van Gogh il 2 novembre 2004 da parte di un giovane terrorista islamico olandese di origine marocchina nel centro di Amsterdam e dopo la strage perpetrata da quattro giovani terroristi suicidi britan­nici di origine pachistana nel centro di Londra il 7 luglio 2005. Da allora hanno preso le distan­ze o pubblicamente denunciato
il multiculturalismo capi di sta­to e di governo europei di sini­stra e di destra, da Tony Blair a David Cameron, da Nicolas Sarkozy a Angela Merkel, da Sil­vio Berlusconi a Anders Fogh Ra­smussen. Ebbene se io oggi con­danno apertamente il multicul­turalismo e come reazione ven­go accusato di essere razzista, fa­scista, ecc. dovremmo estende­re la medesima accusa a questi capi di Stato e di governo?
A questo punto dobbiamo chiarire la distinzione fonda­mentale
tra il multiculturali­smo e la multiculturalità. La multiculturalità è la fotografia della realtà inoppugnabile che ci fa toccare con mano il fatto che ormai in qualsiasi angolo della terra convivono persone provenienti da Paesi diversi, con fedi, culture e lingue diver­se. Personalmente considero di per sé la multiculturalità come una realtà positiva, una risorsa che può tradursi in arricchimen­to e crescita per l’insieme della società e, su scala più ampia, per l’insieme dell’umanità. La multiculturalità è l’estensione, nel nostro mondo globalizzato, della realtà dell’emigrazione che è connaturata alla vita stes­sa, avendo da sempre l’uomo ri­cercato altrove migliori condi­zioni di sussistenza.
Il multiculturalismo invece è tutt’altro dalla multi­culturali­tà.
Mentre la multicul­turalità è un dato che concer­ne gli «al­tri », il mul­ti­culturali­smo è un dato che concerne il «noi». Il multiculturalismo è un’ideologia che immagina di poter governare la pluralità etni­ca, confessionale, culturale, giu­ridica e linguistica senza un co­mune collante valoriale e identi­tario, limitandosi sostanzial­mente a elargire a piene mani di­ritti e libertà a tutti indistinta­mente senza richiedere in cam­bio l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole. Il multi­c­ulturalismo laddove viene pra­ticato, principalmente in Gran Bretagna, Olanda, Svezia, Nor­vegia, Danimarca, Belgio, Ger­mania, ha finito per disgregare anche fisicamente la società al suo interno con la presenza di quartieri-ghetto abitati quasi esclusivamente dagli immigra­ti, ha accreditato l’immagine di nazioni alla stregua di «terre di nessuno»alimentando l’appeti­to di chi ci guarda come se fossi­mo «terre di conquista».
Ora spero proprio che sia chia­ro il mio pensiero: se io, legitti­mamente, confortato anche dal­la posizione espressa da capi di Stato e di governo europei in ca­rica, denuncio il multiculturali­smo, ciò non significa in alcun modo né che io sia contrario alla multiculturalità intesa come
convivenza con persone di et­nie, fedi, culture e lingue diver­se e, meno che mai, che io nutra un pregiudizio razziale o religio­so nei confronti delle persone. Come potrei mai proprio io, che sono di origine egiziana e che so­no stato musulmano per 56 an­ni, avere sentimenti ostili nei confronti dei miei ex­c­onnazio­nali e dei miei ex­correligio­nari?
Tuttavia, al pari di Gesù e di Gandhi, che disse­ro di amare il peccato­re, ma di odiare il peccato, io ri­vendico il diritto di poter affer­mare pubblicamente e legitti­mamente sia il mio amore per gli immigrati e per i musulmani come persone sia la mia condan­na del multiculturalismo come ideologia e dell’islam come reli­gione. È ancora lecito in Italia e in Europa affermare la verità in libertà? Possiamo ancora atte­nerci all’esortazione evangeli­ca: «Sia il vostro parlare sì sì, no no » ?

La REPUBBLICA - Timothy Garton Ash : "La rete che ha armato Breivik"


Timothy Garton Ash

«Si può scegliere di ignorare la Jihad, ma non si possono ignorare le conseguenze della scelta di ignorarla», così Pamela Geller, blogger anti-islam, ha reagito a caldo alla notizia degli attacchi terroristici in Norvegia. Ha quindi postato il video di una manifestazione pro-Hamas a Oslo già apparso qualche anno fa sul suo sito Atlas Shrugs (traduzione letterale "Atlante fa spallucce"). Quando è emerso che l´autore della strage non era un terrorista islamico bensì Anders Behring Breivik, un terrorista anti-islamico, che aveva pubblicato su Internet un manifesto zeppo di citazioni di autori anti-islamici come lei, la Geller-Atlante ha alzato a sua volta le spalle: «È un maledetto assassino. Punto. È il solo responsabile delle sue azioni. L´ideologia non c´entra», ha commentato.
Bruce Bawer, americano trapiantato ad Oslo, autore di un saggio che lamenta la conquista dell´Europa da parte dei musulmani, è più riflessivo. Osserva che nel suo manifesto dei cavalieri templari Anders Behring Breivik: «Riproduce e approva molte frasi mie e cita il mio nome 22 volte». Con sana costernazione aggiunge: «È agghiacciante pensare che i post pubblicati sul mio blog negli ultimi anni, scritti nella mia casa di Oslo siano stati letti e copiati da questo futuro omicida nello stesso quartiere della stessa città».
Che rapporto lega le tesi anti-islamiche alle azioni efferate di Breivik, ammesso che un rapporto esista? Innanzitutto gente come la Geller o il più moderato Bawer, non sono responsabili dei misfatti di Breivik. Accusarli di concorso di colpa nella strage equivale a giudicare gli autori musulmani non violenti. Dato che è proprio quello che i radicali anti-islamici fanno da anni, si potrebbe anche provare un briciolo di maligno compiacimento vedendoli vittima dei loro stessi metodi. Non sono responsabili.
Però come è ridicolo sostenere che non esistono collegamenti tra l´ideologia islamista e il terrore islamista è altrettanto ridicolo affermare l´assenza di collegamenti tra la tesi allarmista dell´islamizzazione dell´Europa (e dell´Occidente intero) diffusa da queste persone e da altri e l´interpretazione che Breivik dà delle proprie azioni. L´ideologia non c´entra? Certo che c´entra. Buona parte del manifesto di Breivik ribadisce (spesso attraverso il copia-incolla di brani tratti da Internet) esattamente questa spaventosa visione dell´Europa come "Eurabia", un´Europa avvelenata dal multiculturalismo e da altri morbi sinistrorsi, che si piega, arrendendosi senza reagire alla supremazia musulmana. La sua mente senza dubbio squilibrata salta quindi alla folle conclusione che il cavaliere giustiziere (questo il ruolo che si arroga) deve compiere un´azione eroica, brutale, per dare una scossa alla sua società indebolita. Cosa fare allora con queste voci estremiste? Una parte della sinistra europea è favorevole a censurarle. Ma è una strategia sbagliata. Non fermerà queste tesi, le farà semplicemente entrare in clandestinità, dove diventeranno ancor più velenose. Congelerà il legittimo dibattito su temi importanti come l´immigrazione, la natura dell´Islam, i fatti storici. Porterà in tribunale mitomani come la ventitreenne Samina Malik, la commessa accusata di aver scritto brutti versi inneggianti al martirio in nome della Jihad e non assicurerà alla giustizia i veri violenti.
L´incitamento diretto alla violenza deve essere ovunque punito con rigore. I testi di stampo ideologico di cui si è nutrita la follia di Breivik non rientrano, a mio giudizio, in questa fattispecie giuridica. Consentire agli estremisti anti-islamici da un lato e agli islamisti dall´altro di dar voce alle proprie fantasie da crociata è il prezzo che si paga per la libertà di parola in una società aperta. Significa che non si deve reagire? Ovviamente no. Proprio perché censurare costa troppo in termini di libertà di parola e nell´era di Internet la censura è comunque impossibile. Fondamentale è l´ambito politico, dove i politici tradizionali, visto il successo elettorale dei partiti xenofobi e populisti, tendono a tollerare più che a condannare i miti xenofobi.
Un altro campo di battaglia è costituito dai cosiddetti media tradizionali. In un paese come la Norvegia - e in Gran Bretagna - le emittenti pubbliche e una stampa valida e responsabile generalmente garantiscono che le opinioni estreme messe in onda e pubblicate siano controbilanciate da critiche ai miti pericolosi che spacciano, fondate sui dati di fatto, la ragione e il buon senso. Ma se la fonte di informazione sono i tabloid scandalistici preferiti da Rupert Murdoch? O un´emittente sistematicamente di parte come quelle di Silvio Berlusconi in Italia o la Fox News di Murdoch negli Usa? La notte delle stragi di Oslo durante il talk show "The O´Reilly Factor", sulla Fox, Laura Ingraham dà notizia di «due gravissimi attacchi terroristici in Norvegia, a quanto pare opera ancora una volta di terroristi musulmani». Dopo qualche dettaglio sulle stragi in base alle informazioni al momento disponibili, la conduttrice prosegue: «Intanto a New York i musulmani intenzionati a costruire una moschea a Ground Zero hanno recentemente ottenuto una grande vittoria…». Maledetti musulmani, mettono bombe a Oslo, costruiscono moschee a New York. Breivik dimostra quale fantastica risorsa rappresenti la rete per chi vi si accosti con una mentalità aperta. Online si possono anche trovare migliaia di persone che condividono le stesse idee perverse, cementando ideologie della peggior risma. Si crea così una visione del mondo sistematica, chiusa, completamente avulsa dalla realtà umana quotidiana. Il manifesto di Breivik, infinito copia-e-incolla di brani presi dalla rete, è un esempio perfetto di questo meccanismo.
Non esistono soluzioni semplici. La vera sfida è scoprire come ottimizzare la straordinaria capacità di Internet di aprire le menti minimizzando la tendenza a chiuderle, oggi così evidente.

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