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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
01.08.2011 Siria, Bashar al Assad con i carri armati contro la popolazione
Commento di Antonio Ferrari, cronache di Davide Frattini, interviste di Maurizio Molinari, Ennio Caretto, Alix Van Buren

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - La Repubblica
Autore: Antonio Ferrari - Davide Frattini - Ennio Caretto - Maurizio Molinari - Alix Van Buren
Titolo: «Un potere con la faccia feroce (che ha perso ogni legittimità) - Carri armati sulla folla. Nuovo massacro in Siria - Reem la rossa mastino del regime - Un intervento armato come quello in Libia sarebbe una catastrofe - Scontro fra sunniti Il regime non ca»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/08/2011, a pag. 31, il commento di Antonio Ferrari dal titolo " Un potere con la faccia feroce (che ha perso ogni legittimità) ", a pag. 2, gli articoli di Davide Frattini titolati " Carri armati sulla folla. Nuovo massacro in Siria " e " Reem la rossa mastino del regime ", l'intervista di Ennio Caretto a Vincent Cannistraro dal titolo " Un intervento armato come quello in Libia sarebbe una catastrofe ". Dalla STAMPA, a pag. 3, l'intervista di Maurizio Molinari a Joshua Landis dal titolo " Scontro fra sunniti Il regime non cadrà ". Da REPUBBLICA, a pag. 13, l'intervista di Alix Van Buren a Anwar al Bunni dal titolo " Il paladino dei diritti umani: Questo regime è cieco il massacro non ci fermerà  ".
Ecco i pezzi:

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Un potere con la faccia feroce (che ha perso ogni legittimità) "


Antonio Ferrari

P er oltre un miliardo di musulmani oggi comincia il Ramadan. In Siria, la vigilia del mese di digiuno è stata bagnata dal sangue di decine e forse centinaia di nuove vittime. Martiri di ogni età, uccisi barbaramente dalle forze speciali del presidente Bashar el Assad. Un massacro sistematico che per la seconda volta in trent’anni ha avuto come teatro la quarta città del Paese, l’eroica Hama. Ieri, mentre una pioggia di cannonate, al ritmo di quattro al minuto, falcidiava la folla riunita per manifestare, si è avuta la netta impressione che il regime intendesse soffocare nel sangue, a qualsiasi prezzo, prima dell’inizio del Ramadan, il focolaio della rivolta più simbolico e pericoloso: appunto, Hama. E non stupisce che, superando le convenienze del linguaggio diplomatico, il portavoce dell’ambasciata americana a Damasco J. J. Harder abbia denunciato «l’atto disperato» di un governo «che pensa di poter prolungare la propria esistenza facendo la guerra ai suoi stessi concittadini» . «Atto disperato» del vertice politico-militare perché i leader della protesta, cominciata in primavera e già costata oltre 1.500 morti, avevano promesso, anzi giurato che «durante il Ramadan ogni giorno sarà venerdì» . E il venerdì richiama l’appuntamento settimanale con la rivolta popolare per chiedere riforme immediate ma soprattutto la caduta di un regime, che giorno dopo giorno sta perdendo legittimità. Aver deciso di punire con una nuova strage la città di Hama, sicuramente diventata uno dei centri nevralgici della ribellione, non è un errore ma un calcolato piano di annientamento della resistenza più audace e determinata. Tutti sanno quel che è accaduto nel 1982 nella città, dove più forti erano i fermenti degli oltranzisti sunniti contro il regime del presidente Hafez el Assad, padre di Bashar. I sunniti rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione siriana, e i loro estremisti evidentemente puntavano a indebolire il regime alauita, cioè la minoranza laica che guida il Paese. Ci furono violente manifestazioni, attentati, e Hafez el Assad decise di soffocare nel sangue quella rivolta. Mandò le forze speciali di suo fratello Rifaat con il compito di radere al suolo il centro e alcuni quartieri di Hama. Per poi ricostruirla, nascondendo nelle colate di cemento 15 mila o forse 20 mila cadaveri. Di quello scempio si parlò ma non quanto si sarebbe dovuto: allora non esistevano tv satellitari, Internet, social network, telefonini cellulari e la censura siriana era quasi insuperabile. I servizi segreti controllavano tutto e tutti. E poi il mondo, a quel tempo, si poneva altre domande. L’Iran era stato sconvolto dalla rivoluzione khomeinista ed era in guerra con l’Iraq. L’integralismo islamico, soprattutto in Libano, stava diventando un problema internazionale. Osservatori e cancellerie, quando si occupavano di Siria, seguivano la dottrina di Henry Kissinger, il quale ammirava Hafez el Assad (e non era l’unico), e sosteneva che «la pace non si può fare senza Damasco» . Per decenni la strage di Hama è stata nascosta nei sottoscala della memoria collettiva. Oggi torna con prepotenza a ricordarci come i piani di annientamento si possano sempre riprodurre. Certo, nell’ 82 non esistevano «primavere arabe» e nessuno minacciava seriamente regimi che sembravano intoccabili e immutabili. Oggi l’erede di Hafez el Assad, il figlio Bashar, che voleva dare di sé un’immagine da convinto riformatore, ripercorre — seppur con minore intensità — il percorso del padre, e va a colpire alla cieca gli abitanti di Hama, riuniti per manifestare. Non solo. Nella città — martire per la seconda volta — si manifesta un altro accostamento con la tragedia del 1982. Allora fu il fratello di Hafez, Rifaat Assad, a compiere il massacro, adesso è il fratello di Bashar, Maher, con la sua quarta divisione composta da professionisti dell’ «élite» militare, a sparare sulla folla. È la dimostrazione che il regime alauita ha bisogno di tutta la possibile coesione, pronto a ricorrere a qualsiasi brutalità per sopravvivere e tentare di mantenere il potere. Ecco perché quello che inizia oggi è un Ramadan diverso. Mese di digiuno, di preghiera, ma anche di paura. Stavolta— la Siria ne è l’esempio— non è la gente ad aver paura ma è il potere a vacillare e a farsi scudo con la ferocia.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Carri armati sulla folla. Nuovo massacro in Siria "


Davide Frattini

Gli spettri di Hama non hanno fermato i carri armati. Per due mesi i blindati hanno assediato la città, senza entrare, senza attraversare i ponti sul fiume Oronte, senza calpestare con i cingolati le macerie e i ricordi del massacro di ventinove anni fa. Bashar Assad sembrava non voler ripercorrere le strade dell’orrore asfaltate dal padre Hafez per coprire le fosse comuni e le ventimila vittime della repressione contro la rivolta islamista. Fino a ieri. All’alba i tank hanno cominciato a cannoneggiare i cubi bianchi di cemento, i mezzi corazzati hanno attaccato il centro da quattro punti diversi, hanno tirato giù le barricate costruite con i pali della luce sradicati, i sacchi di sabbia, i resti di qualche cantiere, hanno abbattuto i dimostranti che — raccontano i testimoni — hanno provato a sbarrare l’accesso impugnando bastoni e spranghe di ferro. I video su YouTube mostrano il fumo nero dei copertoni bruciati, le fiamme delle molotov tirate contro le camionette militari, le granate e i colpi di artiglieria rimbombano senza fermarsi. Il regime ha colpito alla vigilia di Ramadan, ha voluto calpestare il piano degli oppositori di intensificare le proteste nel mese più sacro per i musulmani. Gli attivisti hanno risposto proclamando lo sciopero generale per oggi. Le ferite — dicono i medici dagli ospedali — sono al petto e alla testa. Un filmato riprende l’orrore in primo piano: il proiettile (probabilmente dalla mitragliatrice di un carrarmato) ha spalancato la faccia dell’uomo, quel che resta è sangue. Un’altra immagine dà speranza ai ribelli: i soldati sorridono dal tetto di un tank, salutano i rivoltosi. Sarebbero le truppe che hanno deciso di disobbedire agli ordini. La maggior parte delle reclute è di origine sunnita, i comandanti sono stati invece scelti da Maher, il fratello minore incaricato dal presidente Bashar di dirigere la repressione, tra la minoranza alauita, la stessa della famiglia Assad. Nessuno toglie i cadaveri dalle strade, andarli a prendere — con i cecchini appostati sui tetti — è troppo pericoloso. Le vittime sarebbero un’ottantina ad Hama e almeno una quarantina nelle altre città prese d’assalto. L’Organizzazione nazionale per i diritti umani in Siria calcola 145 caduti, dei quali 113 ad Hama. A Deir Ezzor, le forze di sicurezza hanno arrestato lo sceicco Nawaf al-Bashir, leader di una tribù che conta oltre un milione di persone. Il clan ha minacciato il regime di una rappresaglia armata, se al-Bashir non viene rilasciato. I manifestanti sono scesi in strada anche a Damasco, dove i soldati hanno colpito i cortei con le granate. «Le notizie da Hama sono raccapriccianti, una brutalità che fa orrore— dichiara Barack Obama, il presidente americano —. Nei prossimi giorni cercheremo di isolare ancora di più il regime siriano» . Franco Frattini, ministro degli Esteri italiano, chiede «la cessazione immediata delle violenze» e condanna «questo ulteriore orribile atto contro i manifestanti che protestano da giorni in maniera pacifica» . Frattini ha anche chiesto una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. La versione ufficiale del regime è ancora una volta staccata dalla realtà: l’intervento sarebbe stato necessario per riportare Hama alla normalità, per ripulirla dalle bande armate che tiranneggiavano i quasi ottocentomila abitanti. Anthony Shadid, giornalista del New York Times, è riuscito a infiltrarsi nella città una decina di giorni fa (il governo ha bandito i reporter stranieri dal Paese). I suoi articoli raccontano quello che potrebbe diventare la Siria senza la famiglia Assad, senza il dominio della minoranza che uccide per restare aggrappata al potere. Il palazzo del partito unico Baath— scrive Shadid— non è stato toccato. Sulle gradinate, la gente si ritrova per discutere di politica, cantare inni di protesta e parlare per la prima volta senza paura di quello che successe nel 1982, quello che tutti chiamano solo «l’incidente» . Le pietre bianche affiorano ancora tra l’erba. Sono i resti degli edifici abbattuti allora dai bulldozer. «Almeno cinquecento palazzi sono stati demoliti dai colpi di mortaio e di artiglieria — scrive in un rapporto il Syrian human rights Committee, basato a Londra —. Le scuole, i negozi, le cliniche, le officine sono stati tirati giù con l’esplosivo» . L’unico memoriale — involontario — al massacro è la spianata dove prima si estendevano le case della città vecchia.

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Reem la rossa mastino del regime"


Reem Haddad

Sull’assalto dei carrarmati ad Hama: «Inevitabile. La città faceva ormai parte di un altro pianeta, le bande armate impedivano alla gente di andare a lavorare» . Sulle migliaia di rifugiati in fuga verso la Turchia sotto il bombardamento dell’esercito: «È normale. Molti di loro hanno parenti che stanno dall’altra parte del confine e sono andati a trovarli. È un po’ come avere un problema nella strada dove vivi e tua madre abita un isolato più in là, così ti trasferisci da lei per qualche giorno» . Sulle proteste cominciate alla metà di marzo: «So che voi giornalisti sfruttate questo "fenomeno dei testimoni". Ma noi abbiamo telecamere ovunque e non abbiamo visto manifestazioni» . I capelli rossi alla Julianne Moore, l’accento britannico riportato a casa dopo gli anni di università a Londra, in quattro mesi e mezzo Reem Haddad ha collezionato apparizioni su Al Jazeera e la Bbc. Da portavoce del ministero dell’Informazione (poi licenziata), da direttrice della televisione di Stato (la posizione ufficiale che dovrebbe ancora mantenere), sempre da terzina del regime che marca qualunque tentativo di raccontare quello che sta succedendo in Siria. Le sue versioni sono così lontane dai video ripresi con i telefonini e trafugati fuori dal Paese da aver fatto riesumare il ricordo di Mohammed Said al-Sahaf, il ministro dell’Informazione iracheno, che a pochi giorni dalla caduta di Saddam Hussein ripeteva: «Americani? Non ci sono infedeli a Baghdad. Stanno per arrendersi o per essere bruciati nei loro tank» . I proclami di Alì il comico (com’era stato soprannominato il generale) e quelli di Reem sono così surreali che spesso è difficile capire quanto ci credano loro stessi. «Forse non a tutto, ma a molto sì. Reem è convinta ci sia in atto una guerra tra due ideologie, due gruppi, e pensa di aver scelto la parte giusta» , spiega Amr al-Azm, professore di Storia mediorientale negli Stati Uniti al quotidiano britannico Times. Assieme hanno seguito i corsi di lingua organizzati dall’ambasciata americana a Damasco. Pur ammettendo che ai giornalisti stranieri (banditi dal Paese) dovrebbe essere consentito di entrare, Reem respinge le accuse degli attivisti in esilio come una zia infastidita da nipotini troppo chiassosi. In una risposta alla Bbc: «Chi vi ha detto che ci sono così tanti morti? Le organizzazioni per i diritti umani? Mio caro, quelli stanno seduti a Londra, come possono saperlo?» .

CORRIERE della SERA - Ennio Caretto : " Un intervento armato come quello in Libia sarebbe una catastrofe "


Vincent Cannistraro

WASHINGTON — La Siria è intoccabile? Vincent Cannistraro ritiene di sì. Ma intoccabile non soltanto per l’America e l’Europa. «Intervenire significherebbe sconvolgere i delicati equilibri del Medio Oriente e del Golfo Persico, e probabilmente anche scatenare una sanguinosa guerra regionale. Sarebbe una tragedia ancora più grave di quella in corso» . L’ex direttore dell’antiterrorismo della Cia, ex consigliere della Casa Bianca che negli anni 80 lavorò in Italia, non esclude che il presidente siriano possa cadere. L'America e l'Europa sono intervenute militarmente in Libia. Perché non in Siria? «Troppo pericoloso. La Siria confina con l’Iraq, il Libano e Israele, che verrebbe coinvolto in un intervento occidentale. E la Libia insegna che interferire in una guerra civile può essere controproducente. L’Europa e l’America speravano di indurre Assad alla ragione con la politica, con la diplomazia e con le sanzioni. Si sono sbagliate. Ma non devono abbandonare questa strada, è l’unica che può dare frutti. Devono mobilitare la comunità internazionale contro questi bagni di sangue» . L'Iran non è presente in Siria? «Mi risulta che consiglieri politici e militari iraniani aiutano il regime nella repressione, perché l’opposizione ad Assad si è trasformata in una rivolta armata. Ma non penso che, se la situazione a Damasco peggiorasse, l’Iran manderà le truppe regolari o i pasdaran. L’Occidente e i Paesi dell’area hanno di certo diffidato l’Iran, isolato in Medio Oriente come nel Golfo Persico, dal compiere mosse avventate» . Perché Assad è indebolito? «Non solo dalla graduale diffusione della rivolta. Ma anche dalla straordinaria cautela di Hezbollah in Libano nel discuterne pubblicamente. Quando scoppiarono le rivolte in Tunisia, Egitto e Libia, Hezbollah le definì un risveglio musulmano. Ora tace. Teme due cose: perdere la protezione di Damasco e diventare teatro di un’altra guerra tra siriani e israeliani. E sa che se fornisse aiuti ad Assad perderebbe l’appoggio della maggioranza dei musulmani» . Che sbocco potrebbe avere la crisi? «È difficile da prevedere perché l’opposizione non è organizzata e l’entità delle defezioni tra le forze armate non ci è nota. Se le pressioni e le sanzioni fallissero, l’amministrazione Obama preferirebbe che la rivolta divenisse un movimento di massa come in Tunisia e in Egitto, senza sfociare in guerra civile. Ma molto dipenderà dai militari. Qualcuno tenterà un golpe? Oppure imporrà l’ordine con le armi come pretende Assad? Neppure i servizi segreti americani hanno ancora una risposta» . L'Iran accetterebbe di perdere la Siria? «Se intervenisse militarmente in Siria le conseguenze sarebbero gravi. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu non starebbe a guardare, anche se io non credo che darebbe mandato all’Europa e all’America di bombardarlo. L’Iran non è così stabile. Ed è nel mirino occidentale per il suo programma di riarmo atomico. Non può gettarsi in avventure all’estero» .

La STAMPA - Maurizio Molinari : " Scontro fra sunniti Il regime non cadrà "


Maurizio Molinari, Joshua Landis

Bashar Assad ha mandato i carri armati a Hama perché è la Bengasi della Siria»: così Joshua Landis, direttore del Centro di studi mediorientali all’Università dell’Oklahoma e autore della newsletter «Syria Comment», legge la repressione in atto.

Perché l’attacco a Hama?

«Hama è la Bengasi della Siria. Il governatore è stato licenziato e l’autorità di Assad si è dissolta ma tutto funziona alla perfezione. I dipendenti pubblici lavorano, gli uffici del governo non sono stati attaccati e testimoni che vi sono stati raccontano di un’atmosfera da carnevale. La gente festeggiava».

Quali rischi portava ad Assad?

«Di due tipi. Il primo militare, perché se l’esercito non avesse ripreso il controllo avrebbe ammesso di essere sulla difensiva. Il secondo politico: a Hama l’opposizione ha dimostrato che ci può essere una Siria che funziona senza Assad».

Bashar voleva distinguersi dal padre Hafez ma è tornato ad attaccare Hama come il predecessore aveva fatto nel 1982...

«Il presidente è alle prese con le conseguenze della scelta di essersi voluto distinguere dal padre. Se all’inizio della rivolta avesse ucciso non tre ma 1000 persone non si sarebbe ridotto a dover dare l’assalto a Hama».

Chi guida la città ribelle?

«Non lo sappiamo. È la domanda più importante e cui rispondere ma è una città sunnita con molti dipendenti pubblici quindi l’ossatura è composta da membri del partito Baath».

Fonti locali indicano nel fratello di Bashar, Rifaat, la guida della repressione. Cosa le suggerisce?

«L’opposizione tiene a trasmettere l’immagine di una Siria dove Rifaat e gli alawiti guidano una repressione contro i sunniti ma non mi convince. Se è vero che la gente in piazza è sunnita, sono sunniti anche i militari che restano nel complesso fedeli al regime. La verità è più complessa. Non siamo davanti ad una guerra etnica ma ad una spaccatura fra i sunniti».

Chi ne sono i protagonisti?

«Le élite e le masse:, le prime stanno con Assad, le seconde si rivoltano. Se i sunniti sono divisi il regime non cade».

Perché il nuovo leader di Al Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha chiesto ai sunniti siriani di rovesciare Assad?

«Sono diversi anni che Al Qaeda tenta di insediarsi in Siria. Perso l’Iraq, Al Qaeda ha immaginato di trasferire in Siria il fronte arabo con l’obiettivo di arrivare a contatto con Israele. L’idea è che un confine caldo fra Al Qaeda e Israele infiammerebbe il mondo arabo, restituendo vigore ai terroristi».

È un progetto che può riuscire?

L’appello di Al Zawahiri ai siriani farà la stessa fine di quello dell’Iran agli egiziani. L’estremismo sciita e sunnita in questo momento è perdente perché la Primavera araba dimostra che la forza del rinnovamento è non violenta».

Cosa avverrà in Siria nelle prossime settimane?

«L’opposizione è convinta che il Ramadan porterà ad una caduta del regime. Ma ritengo che fino a quando l’esercito resterà con Assad, e Damasco sarà calma, il regime non rischia. Dobbiamo tenere però d’occhio due fattori».

Quali sono?

«Il primo è lo scontro laici-islamici fra i sunniti. È in atto in Libia, dove gli islamici hanno ucciso un capo dei ribelli, in Egitto, dove gli islamici hanno fatto una prova di forza a Piazza Tahrir, e anche in Siria. L’altro è l’equilibrio fra elite e masse sunnite dentro l’esercito. Sono i fattori che possono innescare nuove dinamiche».

Che giudizio dà dell’opposizione?

«Si sta organizzando lentamente. Nei due incontri avvenuti, ad Ankara e Istanbul, sono stati eletti rappresentanti diversi, a conferma delle fratture».

Quali sono le scelte che Usa ed Europa hanno davanti?

«A Washington chi si è opposto alla guerra in Iraq adesso preme per accelerare la caduta di Assad, d’intesa con turchi e sauditi. È un errore grave e può portare al caos come avvenuto in Iraq dopo la caduta di Saddam. L’Occidente deve aiutare l’opposizione a rafforzarsi, per poter guidare la transizione».

La REPUBBLICA - Alix Van Buren : " Il paladino dei diritti umani: Questo regime è cieco il massacro non ci fermerà "


Anwar Al Bunni

«Avevo vent'anni quando l'artiglieria spianò la mia città, Hama, nel 1982. Ho ancora le immagini di quel massacro negli occhi. Oggi, vedo che il regime ha imparato niente: i tempi sono cambiati, i cannoni non faranno tacere le voci di chi reclama democrazia, diritti umani, libertà». AnwarAl Bunni , 52 anni, "principe" dei difensori dei diritti umani in Siria, avvocato pluripremiato all'estero per il suo attivismo, parla al telefono da Damasco. Riemerso dal carcereduemesifa, dopo una condanna a cinque anni, ritrova la Siria in fiamme, ma anche un Paese cambiato: «Prima eravamo in pochi, isolati, a sfidare il regime. Ora il popolo intero condivide le nostre richieste». A che prezzo, avvocato Al Bunni? Hama è di nuovo insanguinata. La storia si ripete? «Hama ha un profondovalore simbolico, per quel che accadde trent'anni fa. Le autorità distrussero il vecchio centro. Doveva servire da lezione per l'intero Paese: chiunqueavesse osato alzare la testa, avrebbe patito la stessa sorte. Così è stato, per decenni». E adesso? «Adesso c'è che la gente, tutta la gente, è unita nel desiderio di libertà. Non si torna più indietro. Il regime, però, è fermo al passato: è cieco di fronte alla realtà. Crede di potere aggiustare le cose ora esercitando pressione, ora intervenendo con le armi. Per pura follia, pensa di risolvere la questione in un solo giorno, con l'esercito, alla vigilia del Ramadan, impedendo che la ribellione divampi nel L'ultimo appello Se vuole, il presidente può ancora aprire le porte del potere alla democrazia. Altrimenti le piazze resteranno piene mese sacro». Con che risultati, secondo lei? «Che otterrà niente. Per un mese, da giugno, Hama èvissuta in relativa libertà. Non importa se moriranno 100 o più persone: Hama non obbedirà più. Il governo non potrà ripetere i massacri del passato». Come si es ce d allo stallo? Lei crede nell'apertura di un dialogo nazionale? «Non si dialoga col coltello alla gola. Ho rifiutato l'invito al tavolo allestito dal governo. Finché il sangue scorre per le strade, finché le riforme sono un pretesto per guadagnare tempo, non si può parlare. La soluzione è nelle mani delle autorità: dell'esercito, del potere». Lei vuoi dire che il regime può ancora riformarsi? «Il presidente Assad può trasformare il regime in ventiquattro ore, se lo vuole: può aprire le porte del potere alla democrazia. Noi, infatti, non vogliamo una soluzione all'egiziana né alla tunisina: li sono cambiate le autorità, ma la struttura del regime è intatta. Finché questo accadrà, in Siria, i ribelli continueranno a riempire le piazze. E se finora molti siriani sono rimasti in casa, nel mese di Ramadan tutto può cambiare».

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