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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio-Libero Rassegna Stampa
28.07.2011 Integrazione non è multiculturalismo e il terrorismo islamico è sempre dietro l'angolo
Editoriale del Foglio, la cronaca di Andrea Morigi

Testata:Il Foglio-Libero
Autore: Editoriale del Foglio-Andrea Morigi
Titolo: «Integrazione non è multiculturalismo- Anche gli islamici credevano fosse una strage di Al Qaeda»

Breve ed essenziale, sul FOGLIO di oggi, 28/07/2011, a pag-3, l'editoriale su integrazione e multiculturalismo, per capire la distorsione della realtà degli avvenimenti norvevegesi appliocata dalla maggior parte dei media.
Utile il commento di Andrea Morigi, su LIBERO a pag.17, che dimostra quanto l'interpretazione data il giorno successivo alla strage non fosse stata dettata da islamofobia, ma derivasse più semplicemente da oggettive valutazioni.
Ecco gli articoli:

Il Foglio- " Integrazione non è multiculturalismo "


Integrazione si, multiculturalismo no

La strage di Oslo ha fornito alla commissaria europea agli Affari interni, la svedese Cecilia Malmström, l’occasione per stigmatizzare le pulsioni xenofobe, il che è ovviamente sacrosanto. “Oltre a condannare le discriminazioni e i delitti – ha anche detto – bisogna spiegare di più i benefici del multiculturalismo, dell’integrazione”. Un pensiero, quest’ultimo, in cui si confondono due princìpi non solo diversi, ma persino contraddittori. L’integrazione (che è il contrario dell’integralismo) è un processo che può avvenire solo sulla base della concezione di dignità, libertà e responsabilità della persona che è il lascito fondamentale del retaggio giudeo- cristiano della civiltà occidentale. Di integrazione infatti si parla solo nei paesi che appartengono a questa civiltà. Il multiculturalismo, invece, implica la rinuncia all’affermazione dei valori personalistici come imprescindibili per tutti i cittadini, l’accettazione di altre concezioni basate sulla sottomissione dell’uomo alla fede, della donna all’uomo, dell’infedele al fedele, che dovrebbero concorrere alla costruzione di questa non meglio identificata civiltà “multiculturale”. L’integrazione, processo difficile e complesso che non è stato completamente realizzato neppure in paesi come gli Stati Uniti costruiti dalla confluenza di diversi flussi migratori, implica l’accettazione del principio di base della civiltà occidentale, che si è evoluto nel corso di una storia millenaria, dal libero arbitrio alla tolleranza e all’eguaglianza di diritti per tutte le persone. Il multiculturalismo sincretico, che va tanto di moda, in realtà rappresenterebbe un cedimento alla pari dignità degli integralismi rispetto ai principi di libertà e di rispetto. L’assassino di Oslo è, prima di tutto, oltre che un pazzo criminale, un negatore della civiltà occidentale, dei suoi valori umanitari e personalistici, come lo fu, su una scala tremendamente più vasta, il nazismo.

Libero-Andrea Morigi: " Anche gli islamici credevano fosse una strage di Al Qaeda "

Perfino i musulmani norvegesi credevano all’attentato islamico. «La cosa peggiore è che io stessa ho pensato che, dietro, dovesse esserci un musulmano», ammette Mawra Mahmood, il volto incorniciato dal velo, parlando con il quotidiano Aftenposten dell’attentato di venerdì a Oslo e della strage di Utøya. Non è certo un’islamofoba, ma anche nel suo immaginario di ventunenne responsabile dell’Associazione degli studenti musulmani, «questo dimostra quel che è successo nel mondo, e come il terrore a poco a poco ci abbia separaticomeesseri umani». Ha appena partecipato alla commemorazione delle vittime presso la moschea di Tøyen, il quartiere a più alta densità di immigrati della capitale. Pare che, immediatamente dopo le esplosioni e le notizie sul massacro, un ragazzo pachistano sia stato fatto scendere da un autobus per essere malmenato subito dopo. E dal segretario generale del Centro culturale islamico di Oslo, Rizwan Ahmad, parte la denuncia degli atti d’intolleranza. Sceglie il palcoscenico satellitare di Al Jazeera per informare il mondo arabo del maltrattamento di due donne velate. Magari erano fra coloro che sospettavano dei propri correligionari. Oppure che, come Mawra, a proposito di Breivik pensavano che «una cosa è chiara: indipendentemente da come si definisce, è un singolo individuo e perciò la religione non deve essere chiamata in causa». A cosa si debba quell’improvvi - sa manifestazione della malvagità umana, i norvegesi se lo stanno ancora chiedendo. Vogliono imparare la lezione, ha affermato ieri il premier Jens Stoltenberg, annunciando la creazione di una commissione indipendente sul 22 luglio, per stabilire «ciò che ha funzionato bene e meno bene». Il governo inoltre contribuirà alle spese funerarie e intende indire una giornata di lutto nazionale in memoria delle 76 persone uccise. Mentre gli intellettuali e i politici s’interrogano sulle cause, ieri alle 14.58 oltre un milione di persone in tutto il Paese si sono strette la mano per unirsi simbolicamente contro la violenza. Altri pensano che la tragedia si sarebbe potuta evitare almeno in parte, se solo le forze dell’ordine si fossero mosse in tempo. Geir Johnsen, padre di una delle vittime di Utøya, racconta al quotidiano Fremover di aver chiamato 112 volte la polizia senza esito, subito dopo aver ricevuto la telefonata della figlia che lo avvertiva della sparatoria. Quando finalmente qualcuno aveva alzato il ricevitore, era stato per rispondergli che sarebbe stato meglio che fosse la ragazza a chiamare direttamente. Non gli avevano creduto Sull’isola del terrore, venerdì, la polizia era giunta dopo l’elicottero della televisione di Stato, l’Nrk, che era riuscita a filmare lo sterminatore. Se al posto di un cameraman vi fossero stati i tiratori scelti e le forze speciali, forse il bilancio delle vittime sarebbe statonumericamente inferiore. E se l’assassino fosse stato messo sotto controllo prima che entrasse in azione, ora ci sarebbe un mostro in meno. Era stato individuato in base alle informazioni fornite dall’agenzia di noleggio che gli aveva affittato il Volkswagen Crafter utilizzato per l’atten - tato e il Fiat Doblò con il quale aveva raggiunto Utøya. A conferma dell’esistenza di un secondo progetto di attentati, ieri la polizia ha fatto detonare gli esplosivi presenti nella fattoria di Breivik, a circa 160 chilometri a nord di Oslo. Ma il profilo del mostro, tracciato dopo la strage, non serve più a molto. I suoicompagni discuola ora lo descrivono come un vanitoso egotista, che si era recato negli Stati Uniti per sottoporsi a operazioni di chirurgia plastica al volto. Si era fatto sistemare la fronte, il naso, il mento. Vantava conquiste femminili, senza peraltro che fosse mai stato visto in compagnia di donne. Era anche iscritto al poligono di tiro della capitale norvegese, ma non pare che il suo nominativo avesse attirato l’attenzione dell’intelligence, che non si era accorta nemmeno del documento di 1.500 pagine dal titolo “2.083. Una dichiarazione di indipendenza europea”, in cui descrive la preparazione del massacro, altri dettagli sulla sua vita personale e sulle sue idee. Un’ora e mezza prima di tramutarsi in angelo della morte, Breivik lo aveva inviato a un migliaio di persone per posta elettronica: circa 130 vivono in GranBretagna, 115 in Italia e 74 in Francia, riporta il settimanale francese Le Point.

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