Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Siria, assalto alle ambasciate di Francia, Usa e Qatar cronaca di Andrea Morigi, commenti di Guido Olimpio, Antonio Ferrari, intervista di Ennio Caretto ad Anthony Zinni
Testata:Libero - Corriere della Sera Autore: Andrea Morigi - Guido Olimpio - Antonio Ferrari - Ennio Caretto Titolo: «Il tiranno Assad fa assaltare le ambasciate - Assad e lo spettro dell'Iran dietro l'attacco alle ambasciate - Dietro il regime di Damasco le manovre degli ayatollah»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 12/07/2011, a pag. 17, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Il tiranno Assad fa assaltare le ambasciate ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " L'arma del ricatto per neutralizzare le mosse occidentali ", a pag. 17, l'intervista di Ennio Caretto a Anthony Zinni dal titolo " Dietro il regime di Damasco le manovre degli ayatollah ", a pag. 44, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Assad e lo spettro dell'Iran dietro l'attacco alle ambasciate ". Ecco i pezzi:
LIBERO - Andrea Morigi : " Il tiranno Assad fa assaltare le ambasciate "
Andrea Morigi
Scatta in mattinata l’assalto dei sostenitori del presidente Bashar Assad alle ambasciate francese e statunitense a Damasco. Un addetto alla sicurezza e due agenti francesi riescono a respingere la folla inferocita che tenta di sfondare i cancelli, ma rimangono feriti dopo aver risposto al fuoco sparando in aria. Alla vista del sangue, l’odio si scatena ancora di più e «le forze di sicurezza siriane restano a guardare senza fare nulla», denuncia il Quai d’Orsay. A difendere il territorio americano, invece, ci sono i marines, un muro di uomini attraverso il quale riesce a insinuarsi qualche manifestante. Riescono a provocare anche alcuni danni, sfondano le finestre, imbrattano i muri e issano sul tetto bandiere siriane prima di essere respinti e dispersi. Altri si lanciano anche contro la residenza dell’ambasciatore Usa, ma in entrambi i casi senza provocare feriti. In serata, alla lista degli obiettivi stranieri si aggiunge anche l’ambasciata del Qatar. È l’emirato da cui trasmette l’emittente satellitare Al Jazeera, che i dittatori mediorientali accusano di fomentare le rivolte. Paradossalmente, la notizia viene diffusa proprio dalla tv qatarina. RELAZIONI IN BILICO In America, intanto, per evitare un aggravamento della situazione, il Dipartimento di Stato convoca urgentemente l’ambasciatore siriano a Washington. Esige chiarimenti sul comportamento a dir poco ambiguo della sicurezza siriana. «Riteniamo che non abbiamoprotetto a sufficienza i diplomatici », accusa una fonte dell’Ammi - nistrazione Usa, che annuncia: «Condanneremo la loro scarsa reazione». Sono ormai trascorsi i tempi in cui il segretario di Stato Hillary Clinton definiva Assad «un riformatore». In precedenza, venerdì scorso, lo stesso diplomatico di Damasco era stato ammonito dalle autorità americane affinché facesse cessare le riprese filmate e fotografiche dei partecipanti alle dimostrazioni anti-siriane sul suolo statunitense. Era il tentativo di evitare ritorsioni contro le famiglie dei dimostranti rimaste in patria. Per tutta risposta, domenica il governo siriano aveva espresso irritazione per la visita degli ambasciatori di Parigi e Washington ad Hama, città nel nord del Paese, epicentro delle manifestazioni contro il regime, e per protesta aveva convocato iduediplomatici. Eimmediatamente era partitounlancio di pietre, uova e pomodori contro la sede diplomatica americana. Quelli di ieri e dell’altroieri non sono certo gli stessi manifestantichevenerdì scorso ad Hama, avevano accolto con un lancio di fiori gli ambasciatori di Parigi, Eric Chevallier, e di Washington, Robert Ford, al grido di “Libertà”, consegnando loro una lettera e quattro dvd in cui avevano raccolto la documentazione sui crimini del regime di Assad. Quella, oramai, è un’area sfuggita al controllo dell’esercito, che continua a perdere terreno tanto quanto il regime vede sfuggire il proprio consenso basato sul terrore, che finora lo ha tenuto in equilibrio. HOMS SOTTO ASSEDIO Nella capitale, invece, davanti alle due sedi diplomatiche sotto attacco, campeggia uno striscione che idealmente si oppone alla richiesta di diritti umani e di democrazia. Recita: «Allah, Siria, Bashar». Su un muro, qualcuno ha scritto che Ford è «un cane». Lui, però, ha già prestato servizio in Iraq. Non solo non accenna a intimorirsi, ma domenica aveva anticipato la mossa, pubblicando su Facebook una nota in cui difendeva il diritto degli mnhebak (i sostenitori di Assad) a dimostrare, purché fosse garantito altrettanto agli antigovernativi, schierandosi senza esitazione con questi ultimi. Si moltiplicano gli indizi sulla complicità del regime, che tenta di spostare l’attenzione dei media dalle violenze nel resto del Paese. Ieri, mentre le tv controllate dalle autorità siriane incitavano la folla ad attaccare l'ambasciata Usa a Damasco, nella città di Homs, sotto assedio da almeno due mesi, almeno un civile, riferiscono le fonti dell’Osservatorio per i Diritti Umani, è rimasto ucciso sotto i colpi delle forze di sicurezza e una ventina di persone sarebbero state ferite mentre tentavano di ripararsi dal fuoco delle mitraglie montate su veicoli blindati. Continua così a salire il bilancio dei morti dall’inizio delle proteste, che ammonterebbe a oltre 1.600 dimostranti e 350 membri delle forze di sicurezza uccisi nell’arco degli ultimi tre mesi. REGIME SOTTO PROCESSO In questa fase, semmai, la reazione si fa ancora più spietata per vendetta contro il boicottaggio, da parte delle opposizioni della giornata del “dialo - go nazionale”, organizzata domenica scorsa dal governo. Un ennesimo fallimento politico, che contribuisce a isolare sempre più Assad sul fronte interno, mentre a livello internazionale incombe l’incri - minazione dei mandanti dell’omici - dio di Rafik Hariri. Il Tribunale speciale per il Libano, dopo aver spiccato i mandati di cattura per quattro libanesi esponenti di Hezbollah, accusati di esserne gli esecutori mira ora agli organizzatori della strage di San Valentino del 2005, ormai individuati nei servizi segreti siriani. Dalla mossa che decideranno di fare le Nazioni Unite, e dalla reazione di Damasco, dipende anche la sopravvivenza del dittatore.
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " L'arma del ricatto per neutralizzare le mosse occidentali "
Hafez al Assad
WASHINGTON— Bashar Assad segue il modello iraniano. Sei irritato perché gli ambasciatori americano e francese hanno visitato la città-martire Hama? Bene, usa la «rabbia spontanea» della folla. Teppaglia composta da attivisti di partito e mercenari, gli «shabiha» . L’assalto alle ambasciate è una rappresaglia che ricorda gli attacchi organizzati dai mullah contro le rappresentanze europee a Teheran. Ed un ricorso al sistema mafioso che il regime siriano si tramanda di padre in figlio. Il «leone» Hafez Assad usava i servizi segreti, organizzava attentati contro l’Ovest, proteggeva i sequestratori. Poi si offriva di mediare per far rilasciare i prigionieri, garantiva «collaborazione» e «sicurezza» . Vedete – era la parabola – cosa succede a schierarsi contro di noi. Il «leoncino» Bashar non è da meno, anche se non ha il carisma dell’astuto genitore. Da quando è esplosa la protesta popolare, Damasco si è illusa di chiudere la bocca ai contestatori con una violenza barbara. Ha lasciato campo alle milizie, ha impiegato le forze speciali, ha richiamato in servizio vecchi arnesi degli apparati di sicurezza. Si racconta che avrebbe anche riaperto una prigione del deserto di Palmira. L’avevano chiusa, anni fa, per dare un «segnale di cambiamento» , ma ora serve per rinchiuderci centinaia di manifestanti. Le fucilate non hanno placato la contestazione. Sono apparse fratture tra le unità pretoriane e l’esercito regolare. Tanto è vero che il raìs si è affidato solo a reparti composti in prevalenza da alawiti, i membri della sua stessa comunità. Non è bastato. Bashar ha poi provato tattiche diversive. Nell’anniversario della guerra del 1967 ha costretto centinaia di palestinesi a marciare sul Golan occupato dagli israeliani. Un’operazione affidata al Fronte popolare di Ahmed Jibril, uno dei capi storici palestinesi da sempre pronto ai lavori sporchi. Ma l’iniziativa costata la vita a molti giovani si è ritorta contro i burattinai. Le famiglie del campo profughi di Yarmuk sono insorte dopo aver visto i loro figli usati come carne da cannone. L’intento di Assad era quello di lanciare tre messaggi: 1) L’incendio può estendersi ai Paesi vicini (Israele, Libano, Iraq). 3) Attenti, c’è il rischio di un ritorno al terrorismo. 2) Se il mio regime cade quello che verrà dopo è un’incognita. La tattica della paura ha funzionato. In modo parziale. A Washington e Gerusalemme in molti hanno sottolineato che il dittatore era il male minore. Altri erano convinti che, alla fine, il regime avrebbe imposto l’ordine. Non poteva durare. Sono arrivate le sanzioni contro esponenti del potere e, ieri, dopo le violenze, l’avvertimento della Clinton a Bashar: «Non sei indispensabile» . Ancora poco per chi si è ribellato ma che ha inquietato la satrapia siriana. E i timori sono cresciuti con la missione degli ambasciatori ad Hama, visita considerata come un pericoloso omaggio all’insurrezione. Ecco allora la prima reazione. Plateale. Che potrebbe essere seguita da qualcosa di più violento.
CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " Assad e lo spettro dell'Iran dietro l'attacco alle ambasciate "
Antonio Ferrari
Quando si violenta l’extraterritorialità di un’ambasciata è sempre un giorno tristissimo, perché vuol dire che le regole non esistono più. Ieri in Siria sono state attaccate due importanti sedi diplomatiche occidentali: quella degli Stati Uniti e quella della Francia. Le hanno attaccate centinaia di sostenitori del presidente Bashar al Assad, eccitati dai bellicosi proclami della televisione statale. Sono stati affrontati con grande (e molto sospetto) ritardo dalle forze di sicurezza siriane che, come accade in ogni Paese civile, dovrebbero garantire la protezione di tutte le sedi diplomatiche. La colpa delle ambasciate, o meglio di due coraggiosi ambasciatori, l’americano Robert Ford e il francese Eric Chevallier, è stata di aver abbandonato la felpata consuetudine dei telespressi e delle proteste ufficiali, per andare di persona ad Hama, la città-teatro di alcune tra le più sanguinose manifestazioni di protesta contro il regime. Manifestazioni represse brutalmente con un prezzo altissimo di vite umane. Secondo le associazioni per i diritti umani, dall’inizio delle proteste i morti sono oltre 1.400. Ford e Chavallier, accolti dalla gente con lanci di fiori, hanno sfidato — ovviamente su istruzione dei loro governi — il potere, inviando un forte messaggio di sostegno a tutti coloro che lottano per la libertà e per un minimo di democrazia. Era scontato che il gesto dei due diplomatici provocasse la dura reazione del regime, che parla di interferenza negli affari interni del Paese, ed ha protestato in tutte le sedi. Tuttavia, pur sapendo quanto la Siria sia importante per l’Occidente e in particolare per gli Stati Uniti, desiderosi di allontanare Damasco dall’abbraccio con Teheran, l’oltraggio di ieri è davvero vergognoso. Sostenere che i fedelissimi di Assad, che hanno devastato il giardino del compound dell’ambasciata Usa, contigua a quella italiana, hanno agito senza un ordine preciso o senza complicità dall’alto è assolutamente ridicolo.
CORRIERE della SERA - Ennio Caretto : " Dietro il regime di Damasco le manovre degli ayatollah "
Anthony Zinni
«In Paesi come la Siria, assalti come quelli alle ambasciate americana e francese avvengono solo con l’assenso del regime se non addirittura su sua iniziativa. Il messaggio di Assad a Obama e Sarkozy è chiaro: non interferite! Non escludo che il regime sia disposto alla rottura dei rapporti con noi. Ma ciò che mi preoccupa di più è che cosa farà l’Iran se la crisi si aggraverà. L’Iran non intende permettere che il regime siriano, suo alleato, cada e che perda la sua influenza sul Libano. Pur di impedirlo, destabilizzerebbe l’intera regione. Potrebbero andarci di mezzo l’Iraq e Israele» . Al telefono dalla sua abitazione in Virginia, Anthony Zinni si dice più allarmato dagli eventi in Siria che dalla guerra in Libia. L’ex capo del Centcom, il Comando del Pentagono per il Medio Oriente e l’Asia centrale, ed ex mediatore tra Israele e la Palestina, considera la crisi libica «più facile da circoscrivere» che quella siriana. Secondo Zinni, che operò nel mondo dell’Islam per vent’anni, la guerra civile in Libia non si estenderà ai Paesi circostanti. «Ma se la guerra civile scoppiasse anche in Siria— ammonisce — nessuno sa che cosa accadrebbe oltre i suoi confini. Quell’area è una polveriera» . Quale è lo sbocco più probabile della rivolta siriana? «Purtroppo, che sia soffocata dalla feroce repressione di cui siamo testimoni. Penso che se sarà necessario l’Iran aiuterà il regime a farlo. In ogni caso, creerà altri focolai di tensione per impegnare la comunità internazionale su altri fronti e alleggerirne la pressione sul fronte siriano. Ha già cominciato in Iraq, come ha denunciato il nostro ministro della difesa Leon Panetta, anche perché non può lasciare in mano occidentale un Paese alle proprie frontiere» . Lei sta dicendo che c’è un asse Damasco-Teheran. «C’è sempre stato perché i due regimi sono isolati uno in Medio Oriente l’altro nel Golfo Persico, e si sorreggono a vicenda. L’Iran è una potenza superiore alla Siria e ha maggiori ambizioni. Tra l’altro la Siria gli fa da tramite con l’Hezbollah in Libano, i Fratelli Musulmani in Egitto ed è la porta d’ingresso in Israele. Infine, sospetto che l’Iran tema che la rivolta giovanile e popolare in Medio Oriente si trasmetta al suo territorio» . Negoziare o mediare con Assad è quindi impossibile? «Al momento sì. A meno che l’Iran lo abbandoni, o che sia vittima di un golpe o di un voltafaccia dell’esercito, Assad non rinuncerà al potere. Ma questo non significa che l’America e la Francia debbano intervenire militarmente in Siria come sono intervenuti in Libia. Noi americani stiamo combattendo troppe guerre simultaneamente da anni, non riusciremmo a farne un’altra. Idem per i paesi membri della Nato. L’unico strumento a nostra disposizione è la pressione della comunità internazionale, il mondo arabo in testa» . Come mobilitarla? «In Medio Oriente l’Europa ha più credibilità dell’America. Assuma iniziative nel suo ambito, in quello dell’Onu e in quello del mondo dell’Islam. L’isolamento della Siria e dell’Iran va aumentato. Occorrono dure sanzioni, e appoggi concreti ai Paesi confinanti, Israele, Libano, Iraq ecc. Di più: sul Medio Oriente e sul Golfo persico soffia da mesi il vento dei grandi cambiamenti. L’Occidente deve alimentarlo. La gioventù islamica, quella araba in particolare, ha bisogno di speranze» . Crede che la rivolta giovanile araba avrà successo o fallirà? «Credo che avrà esiti diversi a seconda dei diversi Paesi. In Tunisia ad esempio potrebbe avere successo, forse anche in Egitto, sebbene là per ora il potere appartenga ai militari. Mi auguro che in queste e in altre nazioni emergano i moderati. Non illudiamoci, sarà un processo lungo e difficile. Ma se l’Occidente si addosserà le sue responsabilità e lo favorirà, a poco a poco i regimi dittatoriali diminuiranno di numero. E alcuni di quelli autoritari, meno rispettosi dei diritti umani, si ammorbidiranno» .
Per inviare la propria opinione a Libero e Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti