Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/07/2011, a pag. 1-11, l'articolo di Franco Venturini dal titolo " La morte del militare e la necessità di restare ". Dalla STAMPA, a pag. 5, l'articolo di Lao Petrilli dal titolo " I signori della droga infastiditi dagli italiani ".
Ecco i due articoli:
CORRIERE della SERA - Franco Venturini : " La morte del militare e la necessità di restare "

Franco Venturini
Il contingente italiano viene colpito da un nuo vo lutto mentre nella guerra afghana è giunto il tempo delle scelte risolutive. La più importante dieci giorni fa di Obama, che piegando il braccio ai suoi militari e affermando il primato delle difficoltà economiche inter ne ha annunciato il ritiro di 33.000 soldati Usa entro il settembre del 2012. L'indi cazione strategica dell'Ame rica, come era inevitabile che accadesse, ha subito trovato corrispondenza da questa parte dell’Atlantico. Sarkozy è stato il più lesto nello stabilire che le truppe francesi saranno ridotte nella stessa proporzione dei tagli statunitensi, e intenzioni non molto diverse — seppure con maggiore elasticità e in stretta consultazione con Washington — prevalgono a Londra, a Berlino e a Roma. Si è così delineata, nei fatti, una accelerazione di quel «piano di Lisbona» che prevede il trasferimento alle forze afghane di tutte le attività di sicurezza entro la fine del 2014. Dopotutto, se un Obama che pensa alla rielezione può cantare vittoria dopo essersi sbarazzato di Osama Bin Laden e dichiarare ormai insostenibili i dieci miliardi di dollari che ogni mese vengono gettati nel pozzo senza fondo di Kabul, l’Afghanistan costa troppo anche agli alleati europei malati di Grecia e dissanguati dalla Libia. Senza contare che sull’Alleanza, sull’intera Alleanza, pesa ogni giorno di più la consapevolezza che gli obbiettivi iniziali dell’impresa non potranno essere raggiunti, che i talebani non saranno annientati militarmente, che l’Afghanistan non diventerà una vera democrazia, che la minaccia terroristica sarà certo contenuta ma non scomparirà. Si spiega così, con questo desiderio di disimpegno ormai salito alla ribalta, la formalizzazione della disponibilità americana a «parlare con il nemico» , nella speranza che premi sostanziosi inducano un numero sufficiente di talebani a deporre le armi e a schierarsi con il presidente Hamid Karzai. E si spiega così anche che i talebani più intransigenti da questo orecchio non ci sentano, e pregustando il successo ormai vicino abbiano voluto dimostrare la loro forza attaccando il simbolico fortino dell’Intercontinental di Kabul. Siamo dunque al «tutti a casa» , è la tromba della ritirata generale quella che si ode in sottofondo? La risposta è no, e le immancabili polemiche tra le nostre forze politiche dovrebbero ricordare che, in Afghanistan come altrove, non è venuto meno il primario interesse nazionale italiano a non prendere iniziative di ritiro unilaterali. Del resto non ve ne sarà bisogno: le nostre truppe combattenti lasceranno gradualmente il posto agli istruttori per preparare le forze afghane al 2014, e anche noi, come gli altri, opereremo le nostre riduzioni concordate con gli alleati. Ma vanno respinte, perché sbagliate, suggestioni intempestive. In Afghanistan la Nato conserva e conserverà forze sufficienti per attuare lo schema di Lisbona. Quel che cambierà sarà piuttosto il modo di attuarlo. Con una presenza militare diretta progressivamente minore. Parlando in contemporanea con i talebani «buoni» . Moltiplicando gli aiuti civili. Lasciando che Karzai polemizzi a piacimento con la Nato e tenti così di rilegittimarsi. E tenendo sempre ben presente il doppio obbiettivo di allontanare lo spettro della sindrome vietnamita e di creare un sistema di sicurezza regionale cui alcune basi americane dovrebbero, anche dopo il 2014, coprire le spalle. Può riuscire, questa strategia? Le perplessità, inutile nasconderlo, prevalgono di molto sugli ottimismi. I talebani che hanno accettato di dialogare sono pochi e poco significativi. Le forze militari afghane sono in via di miglioramento, ma non offrono garanzie sufficienti e restano esposte, già prima del 2014, alle divisioni intestine tra clan, tribù, etnie e fedeltà ai signori della guerra regionali. Il narcotraffico è diminuito, ma non è stato estirpato e favorisce destabilizzanti alleanze di interessi. La credibilità del presidente Karzai pare definitivamente compromessa. Il messaggio portato dagli aiuti civili viene spazzato via con gli interessi quando innocenti civili vengono uccisi nelle operazioni militari. E soprattutto l’eliminazione di Osama Bin Laden, se da un lato ha approfondito le difficoltà di Al Qaeda e ha dato una mano alla popolarità di Obama, dall’altro ha rafforzato tra America e Pakistan una crisi di sfiducia che potrebbe rivelarsi, per la stabilità regionale, più grave delle residue capacità del terrorista ucciso. Senza il Pakistan e senza la collaborazione dei suoi ambigui servizi segreti il piano Nato non riuscirà. Ma il Pakistan, intanto, si avvicina all’Iran e parla con la Cina.
La STAMPA - Lao Petrilli : " I signori della droga infastiditi dagli italiani "

Niente succede per caso in Afghanistan», ragiona una fonte militare. Nel sabato triste della morte del caporalmaggiore capo Gaetano Tuccillo, leggendo dati e notizie che arrivano da quell’angolo remoto di mondo, l’ufficiale si spinge oltre: «Anche dietro questi ultimi fatti c’è una mente, una strategia». L’analisi è fatta a caldo. Segue però la logica. E qualche report non reso pubblico fino ad ora.
Pochi giorni fa, nel distretto di Bakwa - area di Poshta - forze speciali afghane e della coalizione martellano e mettono all’angolo un gruppo di talebani, uccidendone 7. Non distante, nel distretto di Farah, durante un pattugliamento, vengono trovate 9 mine e razzi: 2 da 122 millimetri e uno da 107. Ancora: da un edificio abbandonato di Chicha spuntano fuori 550 chilogrammi di nitrato di ammonio. Due civili vengono presi in custodia dalle autorità locali. Adesso, dopo i fatti di ieri, saranno interrogati di nuovo perché si sospetta che possano sapere qualcosa utile alle indagini.
«Uno più uno fa sempre due, anche quaggiù», affermano dall’Afghanistan. Perché «noi facciamo il nostro dovere, ma capita che il nemico si senta stuzzicato e qualcosa, allora, accade». Di un contrattacco si parla, dunque. Una reazione dei talebani messi sotto pressione, non un banale ied messo lungo la strada in attesa che qualcuno, chiunque, ci passi sopra. Questo, d’altronde, emerge ad un primo esame dei fatti - tutti i fatti - di ieri mattina nei pressi del villaggio di Caghaz, lungo la famigerata strada 515, spesso teatro di attacchi.
Più di una fonte fa riferimento a una specie di trappola. Una notizia, riservata, conferma la tesi. Poco dopo l’esplosione veniva investito da un altro scoppio un mezzo del Genio chiamato per bonificare la strada prima di proseguire, un Cougar. Ad appena due chilometri di distanza da Bakwa. Nessun altro si è fatto male, ma la cosa ha impressionato i militari. In primis per i danni riportati dal mezzo, un bestione blindato come pochi altri. Poi per il luogo. E per la tempistica. «Come se ci fosse qualcuno a coordinare le operazioni» contro gli italiani. Come se - è l’ipotesi di un analista - si volesse dare un messaggio: «State esagerando, queste strade ci servono».
Servono ai talebani le strade di Farah e quelle di Bakwa. Ma servono forse ancora di più ai Signori della droga, loro ricchi alleati di ferro. Il terreno di guerra è uno degli ombelichi del traffico mondiale. La via dell’oppio è battutissima; si inerpica verso Ovest e verso Nord. E spesso è percorsa anche dagli uomini dell’Isaf e dai militari delle forze afghane che non se ne stanno con le mani in mano: qualche giorno fa hanno sequestrato 200 chilogrammi di stupefacente grezzo, nascosto dietro le pareti posticce di una casa del villaggio di Pasau. Merce che, sui fiorenti mercati clandestini internazionali, si vende a mezzo milione di dollari.
Nell’altra direttrice del traffico di droga, che conduce alla provincia di Badghis, sempre nell’area di responsabilità italiana, ci sono stati - è vero -75 guerriglieri che hanno aderito al programma di riconciliazione. Ma si valuta ancora il loro reale peso, mentre tre poliziotti di spicco sono passati armi e bagagli con i talebani. A Herat, invece, ad un mese dall’attacco al Prt, l’Intelligence locale tiene alta l’allerta e sconsiglia di farsi vedere troppo in città. Molti diplomatici e membri della Cooperazione sonoancora ospitati a Camp Arena, la base militare fortificata lontana dal centro che ospita il Quartier generale del Regional Command West dell’Isaf.
Ieri, inoltre, si è saputo di un omicidio eccellente: il procuratore di Ghoryan - 80 chilometri a est di Herat, una zona dove sono affluiti parecchi fondi internazionali - è stato ucciso in strada da alcuni uomini armati. Una vera e propria esecuzione in stile Chicago Anni Trenta.
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