In altra pagina di IC abbiamo sdetto la nostra su Francesco Battistini, che alterna i suoi pezzi, una specie di Dr.Jeckil e Mr.Hide. in questo editoriale sul CORRIERE della SERA di oggi, 28/06/2011, a pag.42, c'è il Battistini buono, se fra i nostri lettori c'è uno psicanalista saremmo curiosi di conoscere il suo pensiero al riguardo.
Segue dal FOGLIO, a pag.3, una analisi della situazione immobiliare a Gaza, molto istruttiva.
Dal GIORNALE,a pag.13, una cronaca della 'primavera araba' come la vivono in Tunisia, di gaia Cesare.
Ecco i pezzi:
Corriere della Sera-Francesco Battistini: " Shakira, Rockstar boicottata dopo un viaggio a Gerusalemme"

Oddio, ci risiamo: boicottano. Hanno cominciato prim’ancora che partisse, con una pagina Facebook intitolata «Shakira, dì no all’apartheid» (dove l’apartheid, secondo i 1.500 internauti contattati, sarebbe quello che Israele pratica verso i palestinesi). Hanno ricominciato ora che è ripartita. Invano: lei che per esteso si chiama Shakira Isabel Mebarak Ripoll e discende da cristiani libanesi emigrati in Colombia, lei che in passato aveva dato retta all’amico García Márquez e s’era sempre schierata su posizioni al confine dell’antisemitismo— «preferisco che una mia canzone sia ascoltata da un maiale, piuttosto che da un israeliano» , avrebbe detto una volta —, ha gettato i vecchi pregiudizi e dice d’aver cambiato idea. Era madrilista accanita ed è diventata tifosa del Barcellona in cui gioca il fidanzato Piqué? Era antisraeliana convinta e ora s’è scoperta innamorata della cultura ebraica. «Israele è la madre di tutte le culture» , è venuta a declamare a Gerusalemme, ricucendo antiche offese, accettando un invito del governo, visitando una scuola per arabi ed ebrei, abbracciando Shimon Peres. Che scandalo, nel mondo degli odiatori professionali d’Israele: i giovani arabi di Facebook, da quel momento, hanno trovato un nuovo target. La rabbia corre sul web e il nuovo social group ha un titolo che è un invito al boicottaggio: «Dì no allo spettacolo di Shakira in Egitto» . Tutti mobilitati, per impedire il concerto che la cantante dovrebbe tenere al Cairo in novembre: con appelli minacciosi all’impresario, Whalid Mansur, con campagne di boicottaggio dello sponsor, la Mobinil, che ha già versato 2 milioni e mezzo per i diritti tv. Tutto e solo per quel viaggio gerosolimitano. Non si sa ancora come l’abbia presa, Shakira. Di sicuro, sa d’essere in buona compagnia: da Bob Dylan a Elton John, da Bob Geldof a Madonna, da Andrea Bocelli a Lady Gaga, tutte popstar insultate solo per avere cantato «davanti ai sionisti» . Se il «Waka Waka» era un canto per la pace di tutti, c’è chi tutte le volte riesce a cantare sempre lo stesso, stonato ritornello.
Il Foglio- " A Gaza va forte il real estate, ma occhio ai concessionari d'auto "

Gaza City, qualcuno pensava a un campo profughi ?
Roma. Se qualche attivista imbarcato sulle navi della Freedom Flotilla 2 riuscisse a raggiungere le spiagge della Striscia di Gaza si troverebbe con più interrogativi di quando era salpato. Dovrebbe spiegare perché, in quel territorio che ritiene “una prigione a cielo aperto”, si stiano per inaugurare due alberghi di lusso, che saranno pronti entro fine mese. Secondo il New York Times a Gaza, in luglio, aprirà anche un centro commerciale, con tanto di scale mobili importate da Israele. Nei prossimi giorni si inizieranno a vedere anche i primi effetti del piano abitativo per Gaza approvato la settimana scorsa dal governo di Gerusalemme: cento milioni di dollari in materiale edile, per la costruzione di 1.200 nuove unità abitative e diciotto scuole – che si vanno ad aggiungere alle duecento circa già amministrate dall’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione (Unrwa) nella Striscia. Un portavoce dell’esercito israeliano Guy Inbar, ha detto che lo sblocco dei finanziamenti è da considerarsi immediato: l’Unrwa, a cui è stato affidato il progetto, “potrà iniziare le consegne non appena sarà pronta, anche da subito”. Dal 2007 ai mesi scorsi, i materiali da costruzione hanno passato raramente i valichi d’ingresso nella Striscia, visto che l’esercito israeliano temeva potessero essere dirottati dai miliziani di Hamas – finendo per alimentare la costruzione di bunker, tunnel o altre installazioni militari, piuttosto che abitazioni civili. Nonostante alcuni tentativi di alleggerimento del blocco – come le centinaia di tonnellate di ghiaia che hanno attraversato il valico di Sufa a inizio marzo –, Israele ha in genere limitato il suo assenso ai carichi legati a progetti certificati da organizzazioni internazionali. Ora, stando ad Ala al Rafati, ministro dell’Economia di Hamas, la richiesta di materiale edile è più alta che mai: “Soltanto venerdì, le autorità cittadine di Gaza hanno approvato dodici progetti per asfaltare strade, trivellare pozzi d’acqua e creare aree verdi”, ha detto il ministro. Al Rafati racconta un quadro diverso rispetto a quello dei dati emessi dall’Unrwa nei giorni scorsi, che attestano una disoccupazione del 45,2 per cento lungo la Striscia negli ultimi mesi del 2010 – una situazione pressoché stagnante, dato il 45,7 dello stesso periodo nell’anno precedente. “Nella Striscia di Gaza operano quasi un migliaio di aziende e la disoccupazione non supera il 25 per cento”, ha detto invece il ministro al Rafati. Effettivamente, conferma il Palestinian Central Bureau of Statistics (Pcbs), la disoccupazione a Gaza sta calando: il Pcbs la ferma al 30,8 per cento nel primo quarto del 2011, un dato incoraggiante rispetto al 37,4 di fine 2010. Una tendenza opposta a quella della Cisgiordania, dove il numero dei disoccupati è salito, nello stesso periodo, di mezzo punto percentuale. A trainare l’occupazione, secondo il Pcbs, sono soprattutto l’informatica e il settore agricolo, che negli ultimi mesi ha più che raddoppiato il numero degli addetti. Perché a Gaza non c’è soltanto l’immobiliare, che è tornato a fiorire grazie all’assenza di controlli nei tunnel del contrabbando tra la Striscia e l’Egitto. A Gaza, ad esempio, si ricominciano a vedere con buona frequenza delle auto nuove, nonostante le misure altamente penalizzanti. I concessionari sono in rotta con il governo di Hamas, che da inizio maggio ha imposto un aumento del venticinque per cento delle tasse sull’importazione di automobili. E’ un dazio intollerabile per i rivenditori, che giovedì scorso hanno rifiutato in blocco un carico di veicoli – entrano in spedizioni di venti auto alla volta, da metà 2009. Ismail An-Nakhala, capo dell’associazione di concessionari, ha avvisato Hamas: non è il primo carico che fermiamo e non sarà l’ultimo, se non cambiate idea.
Il Giornale-Gaia Cesare: " Integralisti in Tunisia, assalto in sala per il film blasfemo "

Urlavano «la Tunisia è uno stato islamico». Una falsità. Ma anche un obiettivo ambizioso. Un incubo che finora non aveva sfiorato i sogni dei tunisini ma che da ieri comincia a turbarli sul serio. Perché non erano un sogno ma una violenta realtà quei cento uomini incappucciati che domenica sera hanno circondato un cinema di Tunisi. Una ventina di loro, qualcuno a volto scoperto, al grido di «Allah è grande» ha sfondato le porte di ingresso, spaccato vetrate e strappato manifesti, fino all’irruzione in sala, alle minacce agli spettatori, rei di aver scelto un titolo «miscredente», al tentativo di fuga della gente terrorizzata infranto davanti alle porte sbarrate dagli assalitori. Un’azione studiata nei minimi particolari. Perché domenica sera in quel cinema di Tunisi non c’era una pellicola qualunque, ma si proiettava un film dal titolo «blasfemo» per quei signori dell’islam impegnati a imporre il loro credo con la violenza: «Né Dio, né padrone», della regista Nadia El Feni. Momenti di terrore interrotti solo dopo un’ora e il tardivo intervento della polizia.
È così che Tunisi scopre la paura. Da una parte gli spettatori inermi, il Paese laico che tenta la svolta dopo la caduta del presidente Zine El Abidine Ben Ali, col tradizionale appoggio della classe politica non confessionale e delle Forze Armate. Dall’altra gli integralisti islamici, che vogliono approfittare del momento di instabilità vissuto dal Paese per prendersi quello che gli è negato dagli anni Cinquanta, dai giorni dell’indipendenza del leader Habib Bourguiba, fondatore dello Stato laico, a quelli della lotta contro l’islamismo radicale di Ben Ali. A distanza di quattro mesi dalle elezioni del 23 ottobre per la nascita dell’Assemblea costituente che dovrebbe traghettare il Paese verso la nuova era democratica, la posta in gioco in Tunisia si fa altissima. E si chiama laicità dello Stato. Con gli integralisti che escono allo scoperto rendendosi protagonisti di un’azione tanto spettacolare quanto esemplare. Ieri poi una nuova mossa. Il principale partito islamico di Tunisia, Ennahdha, ha abbandonato la commissione incaricata di elaborare le riforme. I motivi li spiega il leader del movimento, Rached Ghannouchi, che accusa l’organismo di aver «preso una deviazione» e di non accettare le critiche fatte da Ennahdha (Rinascita), contrario a una normalizzazione dei rapporti con Israele.
Ma i segnali di un’escalation degli integralisti, di un iperattivismo dell’islam radicale, in Tunisia ci sono già da qualche mese. A metà febbraio la manifestazione di 40 fondamentalisti davanti alla sinagoga di avenue de la Liberté a Tunisi, al grido di «Ebrei, l’esercito di Maometto sta tornando». Poco dopo il tentativo di dar fuoco a un bordello, simbolo della tolleranza tunisina verso la prostituzione. In mezzo l’uccisione di un prete salesiano, sgozzato nel garage di una scuola cattolica di Manouba e il tentativo dei salafiti di mettere le mani sul controllo delle moschee. Per questo il ministero per gli Affari religiosi è stato autore di un appello affinché le moschee restino luoghi di preghiera e non di esercizio di potere politico e di diffusione dell’estremismo. Un appello a cui sono rimasti sordi gli uomini che vogliono la sharia in Tunisia. E che da domenica sono pronti a battersi con la violenza per averla.
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