Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Siria: perchè l'Occidente tace di fronte ai massacri in Siria Commento di Gian Micalessin, cronaca di Giovanni Longoni
Testata:Il Giornale - Libero Autore: Gian Micalessin - Giovanni Longoni Titolo: «Dalla Siria un’amara conferma: la primavera araba è un caos - Blogger lesbica arrestata da Assad. Era solo l’invenzione di un fallito»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 14/06/2011, a pag. 17, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "Dalla Siria un’amara conferma: la primavera araba è un caos". Da LIBERO, a pag. 21, l'articolodi Giovanni Longoni dal titolo " Blogger lesbica arrestata da Assad. Era solo l’invenzione di un fallito ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Gian Micalessin : "Dalla Siria un’amara conferma: la primavera araba è un caos"
Gian Micalessin
Le sbornie sono così. All’inizio tutto sembra bello. Poi esageri e non ci capisci più nulla. Ci piaceva la primavera araba. Ci metteva di buon umore mentre riscaldava il gennaio di Tunisi. C’inebriava mentre stendeva Mubarak. Ha incominciato a stordirci con Gheddafi. Rischia di mandarci in coma etilico con la Siria. Quel che sta succedendo attorno a Jisr al Shughour, la cittadina ribelle assediata dall’esercito di Damasco, rischia di minare ulteriormente la credibilità del nostro povero Occidente, la nostra asserita capacita di comprendere e risolvere i mali del mondo. Mentre ci apprestiamo a processare il generale Ratko Mladic per le nefandezze di 16 anni fa a Srebrenica un altro orrore sta per precipitarci addosso. Ma noi lo osserviamo, attendiamo con la pazienza di un collezionista di farfalle. La nostra mente minata dalla sbronza della primavera tace, non ci aiuta a decidere se i buoni stiano dalla parte del sovrano o dei ribelli. Sognavamo una rivolta tutta democrazia, facebook e buoni intenti liberali. La scopriamo fatta di fondamentalismo, rivolte armate, massacri reciproci. E ci ritroviamo a non saper decidere. A non saper parteggiare. Di certo Bashar Assad, sovrano designato dal padre ed espressione di una minoranza alawita non superiore al 10 per cento, non regna per investitura popolare. Sicuramente non è il più amato in un Paese dove la maggioranza è sunnita e dove il fondamentalismo ha lentamente conquistato il controllo di intere regioni. Sicuramente Bashar è anche un burattino nelle mani di Teheran che attraverso la Siria rifornisce Hezbollah, controlla il Libano e s’affaccia sulla frontiera del grande nemico israeliano. A tutte queste pecche s’aggiunge il terribile sospetto che il dittatore stia per regalarci lo spettro di una nuova Srebrenica. Maher, il suo fratellino più giovane e cattivo, sta in queste ore terminando i rastrellamenti sulle colline intorno a Jisr al Shughour. La cittadina ribelle è già stata riconquistata, ma nessuno è in grado di dire con esattezza cosa sia successo. Le voci dei 7000 suoi abitanti rifugiatisi in Turchia descrivono la cattura e la deportazione di tutti gli uomini tra i 18 e i 40 anni, l’abbattimento di minareti e moschee a cannonate, prefigurano esecuzioni sommarie e fosse comuni. Ma il ricordo di Srebrenica e il processo al suo macellaio non riescono a scuoterci. A renderci più coriacei e più indifferenti contribuiscono gli errori commessi in Libia e il sospetto che il “nuovo” nasconda un male anche peggiore. Prima della comparsa di Maher e dei suoi carri armati all’orizzonte di Jisr al Shughour abbiamo visto le immagini di 120 poliziotti massacrati da forze ribelli, forse da reparti dell’esercito in rivolta. Se la versione offerta da Damasco si rivelasse corretta, con chi stare? Per chi parteggiare? Per il diavolo malvagio ma conosciuto di Bashar, spietato come il padre Hafez che nel 1982 spianò a cannonate la città di Hama uccidendo 10mila persone pur di sedare la rivolta dei Fratelli musulmani? Oppure per quei Fratelli Musulmani pronti a rialzare la testa e a trasformare la Siria in un nuovo Stato islamico? Non lo sappiamo noi, non lo sa l’America, ma non lo sa nemmeno Israele. Il Paese che basa la propria sopravvivenza sulla capacità di valutare e prevedere gli eventi mediorientali non sa in questo momento se parteggiare per un dittatore sempre pronto a regalare a Hezbollah i missili puntati sul suo territorio o se agevolarne la caduta. La scelta non è roba da poco. Bashar, nonostante gli stretti rapporti con Teheran, ha sempre impedito la riesplosione di un conflitto per il Golan. Un governo fondamentalista dei Fratelli Musulmani potrebbe invece esser tentato di riaprire il capitolo dello scontro con Israele. Ecco perchè in fondo preferiamo non vedere i 1300 morti della rivolta siriana. Ecco perché se Jisr al Shughour fosse un’altra Srebrenica potremmo decidere, anche stavolta, di non vederla.
LIBERO - Giovanni Longoni : " Blogger lesbica arrestata da Assad. Era solo l’invenzione di un fallito "
Tom MacMaster
Tom voleva fare lo scrittore. Ma Tom valeva poco come scrittore. La vita gli ha offerto solo un master all’università di Edimburgo e la passione politica comemilitante filopalestinese e critico di Israele. Pazienza, si dirà, c’è di peggio. Non molto forse, ma c’è. E Tom lo ha imparato a sue spese. Tom MacMaster, 40 anni, americano della Georgia - il padre impegnato nell’assistenza dei rifugiati dai Paesi arabi e la madre insegnante di inglese in Turchia - è l’autore involontario della colossale beffa ai media di tutto il mondo e soprattutto all’opposizione contro il sanguinario presidente Bashar Assad, che oggi si trova screditata. Perché dietro ad Amina Abdallah Araf al Omari, la bella blogger lesbica perseguitata dal regime siriano, ci sono solo il faccione barbuto di MacMaster e una storia patetica di come funziona l’informazione on line. Da una settimana circa si sapeva che la fotografia pubblicata su Facebook non era quella di Amina ma di un’altra donna. Jelena Lecic, londinese di origine croata, aveva infatti denunciato al Guardian che quell’immagine apparteneva a lei, e che qualcuno doveva avergliela copiata dalla sua pagina di Facebook e piratata. Era il primo intoppo in un meccanismo fino ad allora perfetto. Qualcuno comincia a dubitare; nessuno ha mai incontrato Amina di persona; tutti la cercano ma le tracce della ragazza portano imprevedibilmente in Scozia. Amina viene accusata di essersi inventata tutto; e mentre spuntano presunte nuove immagini della ragazza, arriva la svolta. Tom MacMaster esce allo scoperto sul blog “A gay girl in Damascus” e confessa. Confessa di essersi inventato tutto, che Amina non è mai esistita. Insomma, un raggiro per internauti, giornalisti e persino governo occidentali. La vicenda della bella blogger di origine siriana ma trapiantata negli Stati Uniti che criticava il regime del raìs aveva coinvolto un po’ tutti. Lesbica e completamente immersa nel modo di vita occidentale, ma anche islamica e legata al Paese di origine: i frequentatori della rete erano attratti dalla vicenda della ragazza, daisuoi commentisulle vicende politiche e su quelle personali. Fino all’annuncio del ritorno a Damasco. Dalla capitale siriana la ragazza scrive corrispondenze sulla situazione politica e militare. Racconta la repressione in un Paese dove i reporter non possono penetrare. Ma il 6 giugno un post firmato da Rania O. Ismail, sedicente cugina di Amina, scatena il panico: la ragazza è stata sequestrata. Forse dai servizi di Assad, gli stessi che si sono macchiati dell’atroce delitto di Ali Hamza al- Khatib, il ragazzino torturato e ucciso perché legato all’opposizio - ne. Il web si mobilita, i quotidiani di tutto il mondo ne parlano. Si muove addirittura il Dipartimento di Stato americano: Hillary ordina un’inchiesta. Fino a ieri. «Da quando ero bambino», confessa ancora Tom, «sognavo di scrivere un romanzo. I miei primi tentativi furono insuccessi colossali. Mi concentrai allora sui miei errori e compresi due cose. Non sapevo scrivere un dialogo naturale e non ero in grado di creare un personaggio con idee e sentimenti diversi dai miei». E qui Internet gli viene incontro. Comincia a creare profili di persone inventate per conversare sul web. E la gente risponde. Ma non gli basta. Si accorge che quando spiega le sue idee sul Medioriente non gli danno retta perché è americano. «Così l’ho inventata. all’inizio era solo un nome, Amina Arraf, con cui commentavo notizie di politica estera». Alla gente Amina piace, ha molto più credito del barbuto e cicciotto MacMaster - anche se i contenuti dipendono dai contatti di Tom con la dissidenza araba e la sua conoscenza personale del Medioriente. L’autore si lascia prendere la mano. Per mesi tiene una relazione su Facebook con una lesbica canadese per rendere «più completo » il suo personaggio gay. Poi crea il diario on line da Damasco, poi la pagina su Facebook. Un successo mondiale. Il sogno dello scrittore fallito MacMaster diventa realtà. Finché il tentativo di mettere fine alla vicenda e far uscire di scena Amina fa crollare tutto il castello di impostura sull’autore. Che confessa la realtà più ridicola: Madame Bovary, c’est Tom.
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