Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 12/06/2011, a pag. 11, l'articolo dal titolo " Assad non si ferma mille morti nei cortei. Gli Usa: 'Ora basta' ". Dalla STAMPA, a pag. 13, l'articolo di Francesca Paci dal titolo " Il grande inganno di Amina la blogger: Non era in Siria ".
Ecco i due articoli:
Il GIORNALE - "Assad non si ferma mille morti nei cortei. Gli Usa: 'Ora basta'"

Sono oltre 4mila le persone che scappano dal regime di Assad nel tredicesimo giorno di protesta nel Paese, costato fino ad ora 1.300 morti, di cui una trentina solo ieri, e 10 mila arresti. Ieri le forze siriane sostenute da elicotteri hanno attaccato le oceaniche manifestazioni nel paese, in particolare nel nordovest, e la Casa Bianca e l’Onu sono tornate a condannare duramente la repressione.
Un ospedale da campo è stato allestito a Hatay, città di confine, e la Turchia è pronta a creare una zona cuscinetto se gli immigrati supereranno quota 10mila. E secondo il sito israeliano di intelligence Debkafile, il premier di Ankara, Recep Tayyp Erdogan, si preparerebbe a un’offensiva contro Damasco e avrebbe dato già dalla scorsa notte il via libera a un intervento militare.
Secondo Debka, le forze turche avranno una triplice missione: innanzitutto, arginare il flusso di migliaia di profughi che, dal villaggio sotto assedio di Jisr al-Shughur e dalle zone limitrofe, si stanno riversando verso il confine turco. Quindi, delimitare una zona militare, nella parte siriana della frontiera, dove la Croce Rossa possa allestire alcuni campi per i rifugiati. Infine, istituire una zona cuscinetto nelle zone curde del nord della Siria, in corrispondenza con la principale città, Qamishli. Erdogan e l’Alto Comando militare turco, prosegue Debka, stanno ancora lavorando per definire i contorni della missione militare, che potrebbe anche evocare i contenuti della risoluzione Onu 1973 che ha consentito l’intervento militare in Libia a protezione della popolazione civile. Venerdì il premier di Ankara aveva accusato il regime di Bashar al-Assad di «atrocità». Ancora più duro il presidente turco, Abdullah Gul, il quale aveva avvertito che il suo Paese è pronto ai «peggiori scenari, compreso quello militare» per mettere fine ai massacri in Siria.
La Casa Bianca dal canto suo ha chiesto la «fine immediata» delle violenze in Siria condannando la repressione «raccapricciante» guidata dalle forze siriane, che hanno ucciso almeno 30 civili durante le manifestazioni. «Gli Stati Uniti condannano con fermezza l’uso terribile della violenza da parte del governo siriano», ha detto il portavoce della presidenza americana. Parole di condanna giungono anche dal segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, che ha definito «inaccettabile» l’uso della forza militare contro i civili e che ha fatto rivelato: «Sono giorni che il presidente Assad non accetta di risponde al telefono».
La STAMPA - Francesca Paci : " Il grande inganno di Amina la blogger: Non era in Siria "

Le ultime tracce di A Gay Girl in Damascus risalgono al 6 giugno scorso quando la cugina Rania annota sull’omonimo blog d’aver parlato con gli zii preoccupatissimi per il suo arresto avvenuto il giorno precedente nella capitale siriana. Quelle di Amina Abdallah Arraf al Omari, alias A Gay Girl in Damascus, si perdono invece nelle viscere di Edimburgo, a migliaia di chilometri dalla guerra civile che minaccia il Paese governato dagli Assad. Sì, perché dopo ricerche, appelli internazionali, tamtam internettiani per la soluzione del giallo, una cosa è certa: se esiste una blogger omosessuale siriana prigioniera del Mukhabarat baathista non si tratta di Amina Abdallah Arraf al Omari, la ragazza che per mesi ha descritto telematicamente al mondo la rivolta dal punto di vista di una lesbica cresciuta in America e tornata in patria tra il 2009 e il 2010 per sposare la causa riformista.
Chi scrive è stata in contatto e-mail con Amina fino a lunedì, quando ha risposto entusiasta all’aggancio procuratole con una casa editrice italiana interessata alla sua storia. Prima di allora c’erano stati aggiornamenti dettagliati sulle manifestazioni, commenti al discorso al mondo arabo del presidente Obama, una lunga intervista del genere al Guardian e a grandi quotidiani americani: scambi regolari e sempre più intimi al limite dell’amicizia. Virtuale.
«Ci scusiamo con i nostri lettori a proposito di Amina Abdallah» annuncia il sito http://networkedblogs.com/ iZhIM, il provider americano che la aiutò ad aprire e pubblicizzare l’ormai celebre blog. Secondo le informazioni raccolte la ragazza sarebbe sì una trentacinquenne probabilmente omosessuale con origini mediorientali, ma residente in Scozia.
Ci scusiamo anche noi, che pur conoscendo a fondo la Siria per aver raccontato sul campo la nascita della rivolta, dipendiamo ora da informazioni digitali per l’impossibilità di tornare nel Paese. In questi giorni, sebbene nessuno abbia più risposto alla e-mail né ai commenti sul blog, si sono fatti vivi (via posta elettronica) vari conoscenti di A Gay Girl in Damascus.
Dalle loro testimonianze incrociate risulta che nel 2006 una trentenne arabo-americana di nome Amina Arraf ha collaborato a distanza, riscuotendo regolarmente gli assegni dello stipendio, con una società di giochi elettronici di Atlanta, Georgia. E’ descritta come «colta», «ossessiva sul Medioriente», «una geek fissata con la scrittura» e «intellettualmente provocatoria», caratteristica quest’ultima che, dopo due ammonizioni, le sarebbe costata l’allontanamento dal lavoro «per le idee politiche e religiose non apprezzate nell’ambiente prevalentemente ebraico». Questa Amina, che pare parlasse inglese, arabo ma anche tedesco e un po’ di ebraico, s’era specializzata in storia del tardo Impero romano e nel 2010 avrebbe dovuto trasferirsi per studio a Edimburgo, città d’origine della madre irlandeseamericana. A quel punto, secondo alcuni, avrebbe pendolato tra la Scozia e Damasco, dove aveva vissuto tra i 5 e i 10 anni. Un suo profilo localizzato a Edimburgo era presente fino a venerdì nel motore «cerca partner» di Facebook.
«Dall’autunno il suo account risultava a Edimburgo, ma lo motivò con una spiegazione tecnologica» ricorda l’ex datore di lavoro. Chi avrebbe finora sospettato il contrario?
«La bufala di Amina non aiuta certo i riformisti siriani» chiosa il giornalista americano Andy Carvin, tra i primi ad avanzare sospetti su Twitter. Chiunque e dovunque sia, l’Amina conosciuta online aveva letto molto ma non il fotografo di guerra Robert Capa quando scriveva che «la miglior propaganda è la verità».
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