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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Foglio - Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.06.2011 Turchia laica, un debole ricordo, 'grazie' all'islamismo di Recep Erdogan
Commenti di Giulio Meotti, Antonio Ferrari

Testata:Il Foglio - Corriere della Sera
Autore: Giulio Meotti - Antonio Ferrari
Titolo: «Processo al Generale Evren, il kemalista che tolse il velo alla Turchia - L'Economist contro Erdogan per fermare islamici e nazionalisti»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/06/2011, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Processo al Generale Evren, il kemalista che tolse il velo alla Turchia ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 40, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " L'Economist contro Erdogan per fermare islamici e nazionalisti ".
Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Giulio Meotti : " Processo al Generale Evren, il kemalista che tolse il velo alla Turchia "


kenan Evren, Giulio Meotti

Roma. “Mi suicido piuttosto che farmi processare”, aveva detto un anno fa Kenan Evren, il generale del “colpo di stato democratico” del 1980 in Turchia. Lunedì un magistrato si è recato a casa del militare, un tempo icona intoccabile, per la prima udienza che vede Evren sospettato per il golpe assieme ad altri generali. Il caso Evren è emblematico dello scontro fra il primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, e l’esercito autore di tre colpi di stato e custode della Repubblica laica di Kemal Atatürk. Evren, novantacinquenne, è semplicemente “il Generale”, figlio di imam che ha dichiarato guerra al fondamentalismo islamico, il golpista che impedì la guerra civile e riconsegnò il paese al suo solitario modello istituzionale demo-liberale nel mondo islamico e che anche il filosofo Lucio Colletti, negli anni della “rivoluzione in occidente”, invocò in Italia al fine di una funzione stabilizzatrice. Il 12 settembre 1980 Evren assunse il potere, sciolse il Parlamento, sospese le attività politiche e mise al vertice dello stato un Consiglio di sicurezza nazionale. I militari dissero che il regime democratico era arrivato al capolinea, sotto il duplice peso del fondamentalismo islamico e del terrorismo rosso-nero. Il 7 novembre 1982 venne approvata per referendum una Costituzione che dichiarava la Turchia uno stato “democratico, laico e sociale”. Negli anni successivi vennero tolte le residue restrizioni. Il golpe però ebbe conseguenze dure sulla società turca: 650 mila persone arrestate, 230 mila a processo, 517 messe a morte. Fu Evren nel 1987 a bandire il velo islamico dalle università turche, un gesto che Erdogan ha promesso di ribaltare. Con la sua retorica da discepolo di Atatürk, Evren disse: “C’erano una dozzina di veli nel 1980, oggi ce ne sono migliaia, domani decine di migliaia. Devi spezzare il serpente mentre dorme, prima che ti addenti”. Oggi la Turchia è alleata dell’Iran, con il quale ha trattati economici e politici, mentre negli anni del generale al potere a Teheran si gridava spesso per strada “morte a Evren”. Teorico della “nazione virile” fatta di repubblicanesimo e nazionalismo laico, alfiere dell’alleanza con Stati Uniti e Israele, Evren è stato l’artefice del “sublime isolamento” turco. Diceva ai suoi ufficiali: “Ricordate sempre, siete al di sopra di tutti e tutto, superiori in conoscenza e carattere”. I militari, per Evren, erano “i salvatori supremi”, “i guardiani della democrazia”, in turco “derin devlet”, lo stato forte, sacro e laico che deve difendere il paese da islamici, greci, armeni, iraniani, arabi e curdi. Un esercito che, nella versione ideologica di Evren, crede di non aver ancora portato a termine (dopo novant’anni) la propria missione di modernizzazione kemalista del paese. A pochi giorni dalle elezioni parlamentari del 12 giugno, intanto, resta serrata la caccia della magistratura turca agli alti ufficiali sospettati di golpe contro il premier Erdogan assieme a industriali, giornalisti e accademici. E’ stato appena arrestato Bilgin Balanli, generale a quattro stelle capo delle Accademie militari e indicato come prossimo comandante dell’Aviazione. E’ l’ufficiale più alto in grado ancora in servizio a essere stato incriminato nell’ambito delle diverse inchieste su complotti antigovernativi. Dei circa 300 generali turchi in servizio, ben 30 sono in carcere, un decimo del totale. Uno dei più celebri scrittori, Bedri Baykam, ha detto che “la democrazia morirà in Turchia se non è intubata con l’ossigeno che le proviene dalla laicità”. Ecco, per metà del paese, il generale golpista, algido e tetragono, è stato quel tubo.

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " L'Economist contro Erdogan per fermare islamici e nazionalisti "


Recep Erdogan

Il premier turco Recep Tayyip Erdogan, leader politico abbonato alla vittoria, e quindi pronto a trionfare alle elezioni di domenica, è furibondo. Da ex calciatore diventato premier di uno dei Paesi più importanti del mondo, grida scompostamente la sua rabbia per un’entrata a gamba tesa: non da parte di un oppositore interno ma di un giornale straniero, The Economist. Che Erdogan non ami i giornalisti è noto. Oltre 50 reporter sono in prigione in Turchia perché accusati di complotti contro il leader e il suo partito. Ma che il prestigioso settimanale britannico, bandiera mediatica di un Paese da sempre sostenitore della Turchia, si spingesse ad un aperto endorsement preelettorale contro il premier lo ha sconvolto. Non si tratta del capoverso di un articolo che può far sorgere equivoci, ma di un titolo e di un sommario che sono l’inequivocabile sintesi di un’opinione: «Il miglior modo per i turchi di promuovere la democrazia sarebbe di votare contro il partito che è al governo» . Quindi non votare per gli islamici moderati dell'Akp, ma per l’opposizione. È sottinteso che il beneficiario dell’endorsement è il laico Partito repubblicano del popolo, che fu fondato da Kemal Ataturk. La spiegazione del sostegno dell’Economist è chiara. A Erdogan non basta vincere le elezioni, conquistando la maggioranza assoluta. Vorrebbe infatti conquistare i due terzi dei 550 seggi dell’Assemblea per poter riscrivere la Costituzione. Trasformare la Turchia in repubblica presidenziale, e indebolire la democrazia con un’abbondante dose di nazionalismo. Il premier, che non sopporta le critiche e soprattutto gli ostacoli sul proprio cammino, non accetta i limiti posti dall’accettazione dei pesi e contrappesi. Forte dei lusinghieri risultati politici e soprattutto economici ottenuti dal suo governo, pensa davvero d’essere onnipotente. E allora, scrive l’Economist, «One for the opposition» , un voto per l’opposizione.

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