Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 08/06/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " In Siria ora è insurrezione armata. Il racconto di chi c’è ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 18, gli articoli di Davide Frattini e Viviana Mazza titolati " Siria, Assad scatena la repressione. Carri armati verso la città ribelle " e " Amina, blogger, arrestata ".
Ecco i pezzi:
Il FOGLIO - " In Siria ora è insurrezione armata. Il racconto di chi c’è "

Battaglia con le armi. Lunedì la televisione siriana ha denunciato la morte di 120 agenti delle forze di sicurezza a Jisr al Shughour, dove venerdì gli elicotteri dell’esercito avevano fatto fuoco contro i manifestanti civili. Non è possibile confermare la notizia indipendentemente, ma se i manifestanti avessero imbracciato le armi o alcuni reparti dell’esercito avessero cominciato a combattere contro il regime, sarebbe la prima risposta armata al pugno di ferro del presidente Bashar el Assad. I reparti militari al nord erano tenuti lontani dal sud turbolento proprio per i dubbi sulla loro lealtà. Da un momento all’altro si attende un’offensiva violenta di Damasco per riprendere il controllo della situazione. Ieri, l’ambasciatrice siriana in Francia si è dimessa per protestare contro le violenze.
Palestinesi mandati al macello. La verità sulla natura degli incidenti sul Golan di domenica è stata rivelata dalla battaglia scoppiata ieri nel campo palestinese di Yarmuk, nella periferia di Damasco. La sparatoria è iniziata durante i funerali di otto giovani morti sul Golan, quando i loro parenti hanno cacciato via in malo modo i dirigenti del Fplp-Cg ( Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando generale) che pretendevano di presenziare e hanno dato alle fiamme la loro sede nel campo, innescando la sparatoria. E’ intervenuto in forze l’esercito siriano, ma intanto altri 14 morti palestinesi sono rimasti sul selciato. Le spiegazioni dei parenti delle vittime del Golan sulle ragioni dell’odio per il Fplp-Cg non danno adito a dubbi: i giovani palestinesi non sono affatto andati a manifestare spontaneamente sulle alture del Golan e non hanno affatto violato la frontiera con Israele per desiderio di “martirio”, ma perché erano stati ingannati dal Fplp-Cg, che li ha trasportati in autobus sulla frontiera, garantendo una copertura militare, poi risultata inesistente. Una trappola. Chiarissima la testimonianza all’Aki dell’attivista palestinese Ahmad S., che era stato domenica sul Golan e che ha guidato la rivolta di Yarmuk: “Siamo stanchi di essere manipolati; per anni il regime siriano e i partiti all’interno del campo ci hanno impedito di recarci nel Golan e anche per le visite personali avevamo bisogno di un permesso speciale; la gente di Yarmuk accusa il regime siriano e soprattutto il Fplp-Cg, capeggiato da Ahmad Jibril, vicino ai servizi segreti siriani, di non aver protetto abbastanza i palestinesi che ingenuamente avevano accettato di recarsi nel Golan con bus messi a disposizione dal Fplp-Cg stesso”. E’ così confermata – e con un nuovo strascico di sangue – la valutazione data da Israele sulla reale meccanica degli incidenti: il regime siriano, tramite Jibril, ha volutamente mandato al macello i palestinesi per creare un diversivo alla crisi interna che negli ultimi tre giorni ha fatto altre decine di vittime tra i manifestanti a Hama, Homs e altrove.
Il blog del porcospino. Robin Yassin Kassab è l’editore responsabile del blog Qunfuz (che in arabo significa porcospino) dove da mesi segue l’evoluzione delle rivolte in Siria grazie alla sua rete di contatti sul posto ed è diventato una delle fonti più credibili per capire che cosa sta succedendo in un paese da dove tutti i corrispondenti stranieri sono stati cacciati a forza. A Londra, dove è nato e vive, collabora con la rivista Pulse votata tra le migliori del mondo dal Monde Diplomatique. Sul blog Yassin Kassab scrive che i canti rivoluzionari siriani sono “distinti, creativi, potenti e a volte comici quanto i corrispettivi slogan egiziani”. Questo che segue è la parodia del monito di Gheddafi, che ha minacciato di dare la caccia “vicolo per vicolo, casa per casa” ai membri dell’opposizione libica: “Zanga zanga dar dar”, vicolo per vicolo, casa per casa, “bidna rasak ya bashaar”, vogliamo la tua testa, o Bashar. Sul blog del siriano espatriato Robin Yassib Kassab è possibile vedere il filmato di un Talbeeseh, una festa tradizionale siriana per celebrare la futura sposa, prima del matrimonio. Nelle ultime settimane le manifestazioni contro il regime del presidente siriano, Bashar el Assad, sono diventate più piccole, meno evidenti, ma prendono le forme più disparate. Nel video, il matrimonio diventa una scusa per intonare canti e slogan anti regime. Nelle parole di Robin Yassin Kassab “un leader declama un verso e la folla lo ripete”, tutto con crescente pathos.
Sembra una festa, è una rivolta. Si comincia con i cori di benvenuto rivolti a coloro che arrivano alla festa: “Ahla wa sahla billi jaie”, un benvenuto a chi è arrivato, “ya merhaba”, la tua compagnia ci intrattiene. Ma subito il contesto politico diventa evidente: “Wal talbeeseh li Um Shurshouh”, questa festa è per Um Shurshouh (paese nella provincia di Hama, luogo della manifestazione). “Walla aal susrrah nrooh”, per Dio, andremo al palazzo (presidenziale), e continua: “bidna nehki aal makshoof”, vogliamo parlare apertamente, “ba’athiyeh ma bidna nshoof”, non vogliamo vedere un solo Baathista, “bi talbeeseh al abiyeh”, partecipare a questa festa dignitosa, “ma bidna nshoof hizbiyeh”, non vogliamo vedere un solo membro del partito (Baath ndr). A smentire le voci messe in circolo dal regime, tutte le confessioni sono invitate alla “festa”: “islam wa masihiyeh”, cristiani e musulmani, “druze wa alawiyeh”, drusi e alawiti, “thawritna thawra sooriyeh”, la nostra rivoluzione è una rivoluzione siriana. Per contrastare la versione messa in giro dal regime, ovvero che la rivoluzione è legata all’estremismo salafita vicino ad al Qaida, cantano: “la salafiyeh wa la irhab” non c’è un salafita e non c’è un terrorista, “min hasekeh lil hawran”, dall’Hasekeh (provincia dell’estremo nord est) all’Hawran (provincia del sud), “ash-shaab as-soori mab yinhan”, il popolo siriano non sarà insultato. E infine, l’appello generale alla rivolta: “shoofoo shoo sar fi-Dara’a”, guarda che cosa è successo a Dara’a, “kanat Dara’a sarat ’andna”, è cominciata a Dara’a adesso è arrivata qui, “ya soori shoo amtastana?”, o siriano, cosa stai aspettando?, “kanat Dara’a sarat ’andna”, è cominciata a Dara’a adesso è arrivata qui”.
La confessione dell’ufficiale. “Sono il primo luogotenente Abdul Razaq Tlass, della Quinta divisione, quindicesima brigata, reggimento 852. Vengo da Rastan, vicino a Homs. Sono entrato nell’esercito per proteggere la mia gente, ma dopo i crimini a cui ho assistito contro la popolazione di Dara’a non posso più restare al mio posto”. Con questo video, caricato su YouTube e ripreso ieri da al Jazeera, Abdul Razaq Tlass è diventato il primo disertore della storia siriana a dare il proprio addio in televisione. Il luogotenente dai baffetti accennati non è un militare qualunque: è della famiglia di Mustafa Tlass, ex ministro sunnita della Difesa, fedelissimo del regime di Damasco. Mostra il suo documento di riconoscimento, parla con una cadenza ferma, sicura, e dice di venire da una delle città più colpite dalla repressione del regime siriano: “Ricordate quali sono i vostri doveri”, dice ai suoi commilitoni. Racconta una storia che Damasco non vuole raccontare: ho visto i miei compagni sparare ai manifestanti, ho assistito al “massacro dei disertori della Nona divisione”. Il luogotenente Tlass conferma che “Il regime non sta combattendo contro alcun gruppo armato”. Poi chiede ai compagni d’armi: “Venite con me, dalla parte dei manifestanti, a proteggerli”.
Chi sono gli scagnozzi di Assad. Consiglio a chiunque stia cercando di comprendere come è governata la Siria – scrive ancora Robin Yassin Kassab – di guardare “Il Padrino”. E spiega che la divisione tra alawiti e sunniti in realtà non è così importante, conta più la divisione tra chi difende lo status quo perché ha una posizione di rendita e ci guadagna e il resto del paese. La Siria non è un paese diviso su linee confessionali religiose. Ma è stato ricreato come settario in modo che alcune persone possano mantenere le proprie poltrone. Gli al Shabiya – ovvero la milizia malavitosa in abiti civili impiegata dal regime per gli atti di repressione più sporchi – sono un gruppo di contrabbandieri di soldi e droghe che originariamente lavorava per la famiglia degli Assad a Latakia (una ricca città sulla costa siriana). Muhammed al Assad (Sheik al Jabal) è uno dei loro leader, Fawaz al Assad è un altro. Per essere un membro degli al Shabiya non è necessario essere un alawita, bisogna soltanto essere fedeli alla causa (il contrabbando) e al capo. Iyad e Ihab Makhlouf (cugini di Assad e i più grossi imprenditori del paese, ndr) hanno utilizzato negli anni Novanta moltissimi sunniti, alawiti, cristiani e membri di al Shabiya per contrabbandare in Libano i soldi di uomini di affari di Damasco e allo stesso tempo rubare auto libanesi. Il loro giro d’affari è stato scoperto soltanto dopo che hanno rubato la macchina del figlio di al Hrawai (un ex presidente libanese). Oggigiorno alcuni di questi teppisti membri di al Shabiya arrivano fino a Latakia sia da al Skentouri sia da al Slaybeh (aree a maggioranza sunnita). “Credo che al Shabiya siano lo sviluppo naturale di quaranta anni di governo dello stesso regime, e lo stesso ragionamento vale per i salafiti. Entrambi i gruppi sono le due facce della stessa medaglia. Si sono sviluppati per colpa del regime!”, scrive Yassin Kassab. Il loro giro d’affari è stato scoperto soltanto dopo che hanno rubato la macchina del figlio di al Hrawai (un ex presidente libanese). Oggigiorno alcuni di questi teppisti membri di al Shabiya arrivano fino a Latakia sia da al Skentouri sia da al Slaybeh (aree a maggioranza sunnita). “Credo che al Shabiya siano lo sviluppo naturale di quaranta anni di governo dello stesso regime, e lo stesso ragionamento vale per i salafiti. Entrambi i gruppi sono le due facce della stessa medaglia. Si sono sviluppati per colpa del regime”, scrive Yassin Kassab.
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Siria, Assad scatena la repressione. Carri armati verso la città ribelle "

Bashar al Assad
Tassista: «Lo vedi quel signore con i baffi? Lo conosci? Lo ami?» . Bambina: «...» Tassista: «E’ il dottor Bashar, un medico degli occhi. Hai male agli occhi?» . Bambina: «...» Madre: «Certo, che lo conosci. Che cosa ti insegnano a cantare le maestre?» . Bambina: «All a h , S i r i a , Bashar» . Tassista: «Dio onnipotente, anche chi sta imparando a parlare già pronuncia il suo nome in adorazione» . Durante quella corsa in auto per le strade di Damasco— racconta la madre, anonima, al settimanale New Yorker— ho tremato. In queste settimane mia figlia va in giro per casa strillando gli slogan «Abbattiamo il regime» , «Allah, Siria, libertà» . Ho pensato: i tassisti sono quasi sempre spie. Ho pensato: niente paura, non possono toccare una bimba. Ho ricordato: e quelle foto dei ragazzini massacrati a Deraa? Quando ho visto che la piccola stava per riaprire bocca, le ho tirato una sberla. Stava seduta male, ho detto al tassista. Lei ha pianto per il resto del viaggio. Scesa dalla macchina, ho capito di averle insegnato quello che i siriani conoscono troppo bene: la paura. Ho deciso: non voglio che cresca come me. Abbattiamo il regime. ***I «fantasmi» indossano le tute di nylon, sembrano i Sopranos in un giorno di pausa dal crimine. Dietro le lenti degli occhiali da sole, gli sguardi non sono curiosi, neppure inquisitori. Solo rappresi, come le mani che stringono i bastoni. Gli uomini dei servizi segreti devono spaventare, ridirigere la gente verso casa. Terrorizzare: come i cecchini sui tetti che— sostengono gli attivisti — hanno l’ordine di sparare a un massimo di venti persone. E che gli altri scappino senza uscire più. Adesso che le colonne di blindati e carri armati stanno muovendo verso Jisr al-Shughour, il regime potrebbe aver deciso di togliere quel limite di venti. La città al confine con la Turchia sarebbe ormai deserta, i 40 mila abitanti fuggiti verso la frontiera. Ricordano ancora la strage negli anni Ottanta, quando Hafez Assad massacrò seicento persone, per cancellare la rivolta guidata dai Fratelli Musulmani. Il figlio ha ordinato la rappresaglia per vendicare i centoventi tra soldati e poliziotti che sarebbero stati ammazzati da «bande armate» durante le proteste del fine settimana. La versione è quella fornita della televisione di Stato, il presidente e il suo clan hanno bisogno del pretesto per intervenire ancora più duramente nel nord del Paese. Degli oltre mille civili morti dall’inizio della rivolta — secondo le stime delle organizzazioni per i diritti umani— 418 sarebbero stati uccisi nella provincia di Deraa, a sud, la città dove i cortei sono cominciati a metà marzo per contestare l’arresto di un gruppo di ragazzini (avevano dipinto sui muri della scuola scritte anti Assad). La ribellione si sta allargando e sta cambiando tattiche. A Jisr al-Shughour la resistenza alle forze di sicurezza sembra più organizzata, i dimostranti contrattaccano, avrebbero rubato le armi da un deposito. Wissam Tarif, attivista e blogger dell’associazione Insan, racconta che unità locali dell’esercito si sarebbero opposte agli ordini, non avrebbero accettato di sparare sui vicini di casa. La città è a maggioranza sunni- ta, come il resto del Paese, e la famiglia Assad ha piazzato gli ufficiali alauiti (la setta presidenziale, 12 per cento della popolazione) al vertice dello Stato maggiore. Maher, il fratello minore, guida gli uomini della Guardia repubblicana e controlla la Quarta divisione corazzata. Le operazioni per calpestare le manifestazioni sono affidate a lui e alle sue truppe d’élites. Come avrebbe voluto il padre, morto nel giugno del 2000, che ha sempre cercato di dirigerne gli impulsi feroci. Alain Juppé, ministro degli Esteri francese, invita Assad ad andarsene: «Ha perso la legittimità per governare» . L’emittente France 24 annuncia la defezione di Lamia Chakkour, ambasciatrice a Parigi, che avrebbe dato le dimissioni in disaccordo con la repressione. La diplomatica telefona ad Al Arabiya per smentire, la sua voce viene rilanciata dalla televisione siriana per tutta la sera. Il regime non vuole manifestare segni di cedimento. Gli annunciatori ripetono dagli schermi nazionalisti le concessioni del leader: l’amnistia per i detenuti politici, la fine delle leggi di emergenza in vigore dal 1962, la promessa di permettere la nascita di partiti (il sistema è dominato dal Baath). Mostrano i cadaveri dei manifestanti, a fianco un kalashnikov o una pistola, per confermare la teoria del complotto straniero che muove le bande di fondamentalisti (e nella sfida della contro informazione gli oppositori diffondono su Internet i video dei soldati che piazzano le armi vicino ai corpi). Cercano di smantellare gli eroi-martiri, offerti a una rivoluzione senza capi visibili dalla ferocia degli sgherri di regime. Hamza al-Khatib, il ragazzino riconsegnato alla famiglia cadavere mutilato dopo le torture, viene presentato dai notiziari come un pericoloso agitatore di vent’anni. Ne aveva tredici e amava salire sul tetto di casa a lasciar volare i piccioni viaggiatori che allevava.
CORRIERE della SERA - Viviana Mazza : " Amina, blogger, arrestata "

Amina Abdallah
La blogger Amina Abdallah Araf, 36 anni, diventata negli ultimi mesi un’eroina della rivolta in Siria, «è stata rapita» da «tre ventenni armati» , secondo un messaggio pubblicato dalla cugina sul blog. Lesbica e mezza americana, la blogger Amina Abdallah Araf, è diventata negli ultimi mesi un’inconsueta eroina della rivolta in Siria. «Oggi o domani potrebbe essere l’ultimo giorno per me — aveva scritto domenica —. Oppure domani potrebbe essere il primo giorno della nuova Siria. Ben Ali se n’è andato, Mubarak pure, e pare sia finita anche per Saleh. Assad non ha ancora molto tempo e prevedo di vederlo andar via» . Il giorno dopo, lunedì, Amina «è stata rapita» da «tre ventenni armati» , secondo un messaggio pubblicato dalla cugina sul blog: le hanno tappato la bocca, l’hanno costretta a salire su una vecchia Dacia Logan rossa. Da allora, non vi sono notizie. Trentasei anni, musulmana osservante, cresciuta tra l’America, dov’è nata la madre, e la Siria, patria del padre, Amina insegnava inglese e a febbraio ha creato il blog «A gay girl in Damascus» (una ragazza gay a Damasco), dove ha pubblicato poesie erotiche, racconti franchi e a volte buffi dei suoi innamoramenti e sul rapporto aperto con il padre: «Deve pensare che sia meglio una figlia lesbica piuttosto che etero e promiscua» . L’omosessualità è illegale nel Paese, ma tollerata. «È dura essere lesbica in Siria ma di certo è più facile essere una dissidente sessuale piuttosto che politica» , ha scritto. Ma sin dall’introduzione del blog la giovane si è detta ispirata dal «vento di cambiamento» in Medio Oriente. «Se riusciamo a uscire allo scoperto in modi diversi, gli altri potranno seguire il nostro esempio» , rifletteva. E ancora: «Devo fare qualcosa di coraggioso e visibile. Io posso, perché ho doppia cittadinanza e parenti con ottimi contatti politici» . Secondo il Guardian, alcuni familiari sono nel governo e altri nella Fratellanza musulmana. Ma non è servito a proteggerla (non è la prima volta: nel 2009 la blogger Tal al Mallohui, 17 anni, fu accusata d’essere una spia degli Usa e condannata a 5 anni di carcere anche se un parente è ex ministro di Assad). A fine aprile due giovani dei servizi di sicurezza si sono presentati a casa di Amina, accusandola d’essere un’estremista islamica. Il padre della ragazza ha riso di loro («Ma avete letto cosa scrive?» ) e li ha convinti ad andarsene. Ma l’hanno cercata a casa ancora. Lei ha rifiutato di raggiungere la madre a Beirut, ma il padre l’ha convinta a nascondersi: «Non c’è niente che io possa fare. Va da qualche parte, non dirmi dove. Stai attenta. Ti voglio bene» . Amina è stata in 4 o 5 città diverse, girava velata, una volta si è nascosta in uno scatolone in un furgone — ha detto al New York Times la sua fidanzata, Sandra Bagaria, che sta a Montreal e ha lanciato l’allarme via Twitter (la pagina Facebook «Free Amina Arraf» ha già oltre 300 sostenitori). Anche in fuga, continuava ad aggiornare il blog. «Siamo andati a nord e abbiamo aiutato a diffondere scintille nelle città... abbiamo ascoltato la gente e trasmesso messaggi» . Ha raccontato che alcuni manifestanti, temendo che la repressione riesca a schiacciare le proteste pacifiche, intendevano prendere le armi. «Io mi sono opposta: vogliamo una nuova Siria... ma se prendiamo il potere uccidendo e torturando, facendo giustizia sommaria, siamo diversi da Loro?» . Pare che l’auto nella quale è stata portata via avesse sul finestrino un adesivo di Basel Assad, fratello maggiore dell’attuale presidente (che era destinato a succedere al padre ma morì in un misterioso incidente). Saranno stati gli shabiha, i paramilitari fedeli agli Assad a sequestrarla? La cugina scrive: «Purtroppo ci sono almeno 18 forze di polizia e numerose milizie e gang di partito. Non sappiamo chi l’abbia presa» .
Per inviare la propria opinione a Foglio e Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti