Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
La Siria continua indisturbata la repressione mentre l'Occidente attacca Israele Analisi di Angelo Pezzana, Redazione del Foglio, Vittorio Emanuele Parsi. Cronaca di Francesco Battistini
Testata:Libero - Il Foglio - Corriere della Sera - Avvenire Autore: Angelo Pezzana - Redazione del Foglio - Francesco Battistini - Vittorio Emanuele Parsi Titolo: «È la Siria a massacrare i palestinesi - Mille dollari per passare il confine. La strategia siriana - La tv siriana: Massacrati 120 poliziotti -Il nodo palestinese è serio, non si può lasciarlo ad Assad»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 07/06/2011, a pag. 15, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo " È la Siria a massacrare i palestinesi ". Dal FOGLIO, in prima pagina, l'articolo dal titolo " Mille dollari per passare il confine. La strategia siriana ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 21, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " La tv siriana: Massacrati 120 poliziotti ". Da AVVENIRE, a pag. 2, l'articolo di Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " Il nodo palestinese è serio, non si può lasciarlo ad Assad ", preceduto dal nostro commento. Ecco i pezzi:
LIBERO - Angelo Pezzana : " È la Siria a massacrare i palestinesi "
Angelo Pezzana
In una società dove le regole religiose dettate dalla Sharia esaltano il martirio nel nome di Allah, perché ci si dovrebbe stupire se alcune centinaia di manifestanti affrontano una morte possibile pur di assalire i militari israeliani posti alla difesa del confini del proprio paese ? Come avrebbero dovuto comportarsi i soldati di Israele di fronte ad una folla, armata di bombe molotov - altro che pacifisti – per impedire quella che era comunque una invasione proveniente da un paese nemico ?
Se erano i martiri che cercavano, purtroppo li hanno avuti.
Disatteso ogni tipo di avvertimento, la parola è passata alle armi. Come era previsto e voluto da chi quella marcia ha organizzato. Non ci si venga a dire che era spontanea, la Siria non solo ha chiuso un occhio, come hanno scritto i cronisti più benevoli, ma ne è stata l’origine, interessato com’era Bashar Assad a distogliere l’attenzione dei media internazionali dalle stragi che il suo regime commette quotidianamente contro gli stessi siriani in rivolta. Qualche cadavere al confine con Israele, in più per mano dello stesso Israele, era quello che ci voleva per soddisfare l’appetito di una informazione che negli ultimi mesi soffriva per essersi troppo occupata delle rivoluzioni nei paesi arabi, dimenticando quello stato che da sempre viene indicato come il responsabile di ogni disastro che succede nel mondo. Infatti i morti al confine siriano hanno dato la stura a sfoghi da troppo tempo repressi. Sul Corriere leggiamo “ i soldati sembrava che facessero il tiro al tacchino”, preceduto da un falso “nessun dimostrante armato”, come se le bombe molotov fossero mazzi di fiori. Naturalmente i palestinesi vengono definiti “esiliati”, evitando di ricordare che nel 1948 se ne andarono dal nuovo Stato di Israele spinti proprio dai governi arabi, che la guerra del ’67 fu per Israele una questione di vita o di morte, che la guerra del Kippur del 1973 era nuovamente stata voluta dai paesi arabi per cancellare Israele dalla carta geografica. Mai una parola sul ruolo terrorista della Siria, che fino alla perdita del Golan, da quelle alture non faceva altro che sparare e uccidere i cittadini israeliani che vivevano nelle valli sottostanti.
Ma queste dimenticanze, che tali non sono, piuttosto andrebbero chiamate menzogne omissive, fanno parte della ormai riconosciuta narrativa che mira a delegittimare le ragioni dello Stato ebraico, nascondendo, in mancanza di buoni argomenti, la verità. Senza contare le accuse, prima fra tutte, quella che identifica in Israele uno stato di Apartheid, quando Israele è l’unico stato nella regione ad essere non solo democratico, ma rispettoso dei diritti di tutti i suoi cittadini, arabi compresi. Sono queste verità ad essere sottaciute, se i lettori conoscessero Israele per quello che veramente è, certe corrispondenze potrebbero essere contestate dai lettori. Meglio quindi raccontare solo ciò che favorisce la versione di una sola delle parti in causa. Tralasciamo le titolazioni della maggior parte dei giornali di ieri, tutti incentrati su “Israele che spara”, “ strage di dimostranti”, come se il tentativo di forzare un confine fosse una “dimostrazione”.
L’azione si è rivelata un vantaggio per l’immagine della Siria, e un danno per Israele. C’è da scommettere che verrà ripetuta.
Il FOGLIO - " Mille dollari per passare il confine. La strategia siriana"
Bashar al Assad
Dopo le riuscite incursioni di massa dal Libano e dalla Siria contro la frontiera israeliana di tre settimane fa, due giorni fa la Siria ci ha riprovato. Lo stesso governo che da tredici settimane scioglie con estrema violenza le manifestazioni dei cittadini – che chiedono al presidente Bashar el Assad di abbandonare il potere – e non esita a usare i carri armati e i cecchini contro i cortei inscena “manifestazioni spontanee” ai valichi sulle alture del Golan. Damasco vuole creare l’illusione di una primavera araba che si mescola con l’eterno risentimento palestinese per bussare con energia tutta nuova ai confini di Israele. Ma domenica, a dispetto della buona paga promessa, 1.000 dollari per chi fosse riuscito ad attraversare il confine e 10 mila dollari alla famiglia di chi nel tentativo fosse rimasto ucciso, il numero dei volontari ha deluso le segrete aspettative del regime: non migliaia, ma soltanto alcune centinaia, prontamente imbarcati su torpedoni e fatti passare oltre arcigni checkpoint militari che di norma bloccano chiunque altro. Ci ha pensato la tv di stato di Damasco a gonfiare l’effetto finale, parlando di almeno 20 morti e di 200 feriti. Ma che l’attacco si sarebbe verificato era noto da tempo, e i militari israeliani sul confine, rafforzati da numerose unità di riserva, erano stati istruiti su come limitare al massimo il numero delle vittime. “I numeri dei morti dati dai siriani non sono per nulla verificabili, perché sono caduti tutti dalla loro parte”, dice l’esercito di Israele. “I nostri soldati hanno sparato soltanto alle gambe. Alcuni manifestanti sono morti quando le bombe molotov che stavano lanciando hanno fatto scoppiare una delle mine anticarro interrate lungo il confine”. Secondo alcune fonti, otto morti sarebbero saltati sulle mine piazzate dai siriani sul confine. Un’imboscata contro le forze del regime. Il governo siriano cerca di rinfocolare, anzi, di creare dal nulla proteste palestinesi sul Golan per spegnere le proteste, quelle sì reali, che infuriano in tutto il paese grazie al coraggio di migliaia di manifestanti che sfidano la repressione armata dei militari, cartelli contro cecchini, slogan contro blindati. La violenza sta risalendo dalle regioni del sud fino al nord, considerato più tranquillo. Ieri la tv di stato ha detto che 120 “martiri” delle forze di sicurezza sono rimasti uccisi a Jisr al Shughour, nel nord-ovest della Siria, in un’imboscata. Qui, secondo alcune fonti di intelligence, i manifestanti avrebbero preso il controllo di molte parti della città: se fosse confermato, sarebbe il primo successo delle forze antiregime dall’inizio delle proteste. Se si creasse una situazione di tensione insostenibile con il nemico israeliano, è il calcolo del regime, il paese potrebbe trovare nuova compattezza. La prospettiva di una guerra può svuotare di energie la rivolta interna. Ieri in Iraq sono morti cinque soldati americani durante un attacco con razzi contro la loro base alla periferia di Baghdad. In realtà da qualche tempo il bollettino delle perdite della “guerra finita” è cominciato di nuovo a salire. Ad aprile i caduti sono stati undici. I colpi di mortaio, le bombe e i razzi contro le postazioni americane non si sono mai interrotti, ma adesso la situazione si sta deteriorando, per colpa del ritorno in azione delle milizie sciite. I loro antagonisti, i terroristi sunniti, colpiscono ancora, ma hanno perlopiù come obiettivi la polizia e l’esercito iracheno, nel nord e nell’ovest del paese. Per le milizie sciite, invece, colpire gli americani è una dichiarazione politica. Non vi vogliamo più, non sognatevi di restare oltre il limite del Sofa, l’accordo tra Baghdad e Washington che autorizza la presenza temporanea fino all’anno prossimo di truppe straniere in Iraq. Moqtada al Sadr, capo dello schieramento che vuole espellere fin da subito i soldati, ha trasformato questa cacciata nella propria missione politica e personale. Le milizie, sul campo, tentano di dare buoni argomenti al ritiro. L’Amministrazione Obama è tentata di restare. Il segretario alla Difesa uscente, Bob Gates, l’ha detto con chiarezza: “Dovremmo rimanere, se non altro per contenere l’Iran”, e altri hanno ventilato l’ipotesi di un allungamento dei termini dell’accordo. Ma, naturalmente, Obama non può permettersi il peso di nuovi caduti americani in Iraq.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " La tv siriana: Massacrati 120 poliziotti "
Siria
I morti invisibili. La tv di regime ne parla, ma non li mostra. Nelle ultime 48 ore, in Siria ci sarebbero state centinaia di cadaveri. Non le vittime della repressione: morti fatti dai nemici. «I sionisti che domenica hanno sparato indiscriminatamente su una folla disarmata di palestinesi» , al confine di Quneitra. E i nemici interni, «bande armate e mascherate» che ieri avrebbero compiuto uno dei peggiori massacri di questi mesi di guerra civile, 120 poliziotti uccisi in una doppia imboscata a un check point del nordovest, frontiera turca, cittadina di Jisrash Shugur. Nessuno li ha visti, questi corpi, e probabilmente nessuno li vedrà mai: né tutti i ventitrè che Damasco sostiene d’avere già sepolto dopo gli scontri con gl’israeliani, mentre da Gerusalemme insistono a dire che il bilancio è «esagerato» ; né questi agenti che, sostiene ora la voce della dittatura, sarebbero stati mutilati, bruciati, gettati nelle acque dell'Oronte da non meglio identificati «terroristi stranieri» . Unica certezza, è che s’è sparato. Chi su chi, e quanto, è da capire. La storia, dai tempi del mattatoio di Hama, ha abituato a leggere in controluce i bollettini della famiglia Assad. Anche a Jishrash Shugur, roccaforte dei Fratelli musulmani, si ricorda l’antica punizione collettiva d’una settantina di civili. Sabato scorso, proprio da là erano arrivate le notizie di 42 oppositori ammazzati, rastrellamenti di massa. Secondo la tv di Stato, la risposta dei «criminali pagati» sarebbe giunta ora, coi palazzi governativi incendiati e l’agguato ai gendarmi. «Lo Stato non resterà con le braccia incrociate» , promette il ministro dell’Interno. «È solo propaganda — risponde dall’esilio cipriota Mohammed Osso, attivista per i diritti umani —: i poliziotti erano disertori, fucilati perché si rifiutavano di sparare sulla folla. Una messinscena per giustificare, adesso, il pugno di ferro sulla popolazione» . Jishrash Shugur è isolata, difficile anche telefonare: «Li vediamo dalle finestre — urla un testimone, raggiunto dalla tv Al Arabiya —, l’esercito sta invadendo la città in forze massicce!» . Le stragi, vere o finte che siano, appaiono la vera arma di distrazione di massa utilizzata da Bashar Assad. È il sospetto, se non qualcosa di più, che circonda la sanguinosa marcia dei palestinesi di domenica: portati coi pullman dai campi profughi, si sono fatti ammazzare mentre tentavano di tagliare la rete di frontiera ed entrare nel Golan israeliano. Secondo l’opposizione siriana, il regime ha dato mille dollari a ogni manifestante. Diecimila dollari andrebbero invece alle famiglie dei «martiri» del Naksa Day. Ieri, un centinaio di profughi ancora bivaccava sulle colline del confine: aspettano di vedere se succederà qualcosa anche a Gerusalemme, oggi 7 giugno, anniversario dell’occupazione israeliana. Condannato da Washington e dalla comunità internazionale, il regime siriano solo ora mostra di voler fermare i cortei verso la frontiera. Tre settimane fa al Corriere, dopo la strage del Nakba Day, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak l’aveva pronosticato: Assad è alla fine. Ora, dopo la Naksa, lo ripete. E al collega inglese William Hague, ma anche all’Onu, agl’italiani e ai francesi che gli raccomandano comunque «un uso proporzionato della forza» , risponde pure lui chiedendosi quanti siano davvero i morti di domenica. Ventitrè o dieci, come dicono gl’israeliani? «Sono comunque saltati sulle mine siriane dopo avere lanciato molotov» , è sicuro un colonnello di Barak: «I nostri tiratori scelti hanno usato meno proiettili» .
AVVENIRE - Vittorio Emanuele Parsi : " Il nodo palestinese è serio, non si può lasciarlo ad Assad "
Vittorio Emanuele Parsi
Parsi scrive : " è altrettanto vero che aprire il fuoco su civili disarmati rappresenta sempre e comunque una pessima mossa, quand'anche obbligata. ". I 'manifestanti' non erano disarmati, ma muniti di bottiglie molotov e pietre. A qualunque Stato viene riconosciuto il diritto alla difesa dagli aggressori, non è ben chiaro perchè Israele dovrebbe fare eccezione. L'esercito israeliano ha chiesto ai palestinesi di fermarsi e l'ha fatto in lingua araba, ma loro hanno continuato. Qualunque Stato avrebbe sparato. Parsi stesso riconosce che le intenzioni dei palestinesi non erano 'pacifiche'. Che cos'altro avrebbe dovuto fare Israele? Non è ben chiaro, poi, come mai Parsi si ostini a definire Tel Aviv come capitale di Israele, quando è noto a tutti che la capitale è Gerusalemme. Ecco l'articolo:
Dopo la Nakba, la giornata della "catastrofe" che commemora la nascita dello Stato di Israele, anche la Nakba, l'anniversario della sconfitta araba nella Guerra dei sei giorni, è stato solennizzato con scontri al confine settentrionale di Israele. Questa volta, in ossequio al rigore storiografico, i manifestanti hanno scelto come obiettivo le alture del Golan invece del Libano meridionale: ma la sostanza non cambia. La regia di Damasco dietro entrambi gli episodi è ben più che ipotetica. Ancora una volta, il regime di Assad cerca di mescolare le carte, di procurarsi cinicamente un po' di morti arabi per mano israeliana così da sviare l'attenzione dell'opinione pubblica del Levante dall'ecatombe di siriani massacrati per mano dei servizi di sicurezza di Damasco. C'è ben poco di maldestro nelle azioni del "dottore", che dal padre sembra aver ereditato la medesima spietatezza: per quanto a noi possa apparire un tentativo rozzo e fin troppo scoperto, Assad sa bene che un arabo ammazzato dagli israeliani "vale" almeno cento arabi uccisi dai loro fratelli. Almeno questo è sempre stato vero fino ad ora. Ma adesso? Adesso il trucco potrebbe anche non funzionare, se si pensa che il sito di al-Jazeera dava ieri più enfasi ai racconti delle torture bestiali subite dagli oppositori di Assad in Siria che agli scontri di confine, pur ovviamente condannandoli duramente. Il leader siriano ci prova, dunque, ma questa volta il gioco potrebbe non riuscirgli. Troppe le immagini e le notizie di quello che accade in tutto il suo Paese perché possano essere coperte dagli incidenti di domenica. Troppa sproporzione, in questo clima nuovo di rivolte interne e circolazione panaraba delle informazioni. Il solo spiraglio che resta aperto per il regime sta nel soffiare sul fuoco, alimentare i tentativi di forzare le barriere difensive israeliane, così da provocare nuove vittime, possibilmente per giorni e giorni. L'evocazione dei diritti del popolo palestinese è l'ultimo totem cui sacrificare, nella speranza di replicare un copione sempre più frusto: il nemico vero è quello esterno, "l'entità sionista", non i regimi corrotti, violenti e illegittimi che fanno scempio dei propri sudditi. Avere la forza di non abboccare a questa trappola rappresenterebbe una prova di maturità straordinaria per l'opinione pubblica araba, che le permetterebbe di fare i conti con il grande tabù: cioè l'utilizzo strumentale del dramma reale del popolo palestinese, della negazione effettiva dei suoi diritti, da parte delle inqualificabili élite politiche di tanti impresentabili regimi. È una partita decisiva per lasciare un po' più nudi i tanti re-tiranni, veri artefici dell'infelicità araba. Questo ovviamente non deve farci dimenticare che l'eterno conflitto israelopalestinese non può essere a sua volta essere "dimenticato" in ossequio alla grandiosa novità rappresentata dalle piazze in rivolta. Guai se qualcuno si illudesse che il boato della primavera araba possa mettere la sordina al lamento di un popolo oppresso da oltre sessant'anni, che ha diritto alla sua dignità, alla sua libertà, al suo futuro tanto quanto lo hanno gli israeliani. Ancorché quasi certamente organizzata, diretta e finanziata da Damasco, la forma di protesta che in queste settimane è stata sperimentata ai confini israeliani è la più pericolosa per lo Stato ebraico. È vero che coloro che cercavano di varcare i confini erano "nemici stranieri" (essendo Libano e Siria in stato di guerra con Israele dal 1948). Ma è altrettanto vero che aprire il fuoco su civili disarmati rappresenta sempre e comunque una pessima mossa, quand'anche obbligata. L'invasione disarmata (ma non pacifica, perché chi la mette in atto non riconosce il diritto all'esistenza dell'altro) è oltretutto quella che meglio evoca lo spettro della "bomba demografica araba", che a Tel Aviv temono più di ogni altra cosa, pensando al futuro dello Stato ebraico. Una ragione in più perché il governo di Netanyahu cerchi di uscire da quella posizione autistica in cui si è rintanato da troppo tempo a questa parte.
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