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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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La Repubblica - L'Unità Rassegna Stampa
06.06.2011 Israele ceda ai ricatti e si lasci dstruggere senza opporre resistenza
I negoziati visti da Michael Walzer e Lapo Pistelli

Testata:La Repubblica - L'Unità
Autore: Michael Walzer - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Quelle domande sulla pace che vorrei fare a Netanyhau - Il Medio Oriente cambia, Tel Aviv farebbe bene a non remare controvento»

Riportiamo da REPUBBLICA di oggi, 06/06/2011, a pag. 1-10, l'articolo di Michael Walzer dal titolo " Quelle domande sulla pace che vorrei fare a Netanyhau ". Dall'UNITA', a pag. 21, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Lapo Pistelli dal titolo "  Il Medio Oriente cambia, Tel Aviv farebbe bene a non remare controvento".

Michael Walzer e Lapo Pistelli sono entrambi convinti che Israele avrebbe tutto da guadagnare dal ritirarsi dai Territori contesi e che l'unificazione di Hamas e Fatah sia positiva. Israele dovrebbe cedere ai ricatti dell'Anp, tornare ai confini del'67 senza protestare e senza pretendere nulla in cambio. Sono confini indifendibili? Pazienza. La controparte palestinese (Hamas inclusa, quindi) non offre niente in cambio? Israele non ha diritto di pretendere nulla. Hamas rifiuta di riconoscere Israele? Questo potrebbe essere un intoppo, ma tanto ai negoziati ci va la faccia moderata, quella di Abu Mazen, perciò Israele non può lamentarsi.
I negoziati falliscono? Tutta colpa di Netanyahu che ha più a cuore la propria carriera politica che il futuro di Israele.
Walzer sostiene che l'isolamento internazionale di Israele è dovuto all'atteggiamento di Netanyahu. L'odio antisemita dei Paesi confinanti con Israele non viene menzionato, evidentemente è ritenuto poco importante
Queste le tesi improponibili di Walzer e Pistelli.

Invitiamo i lettori a leggere la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli e il commento di Zvi Mazel, pubblicati in altre pagine della rassegna.
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=40023 
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=40025

Ecco i due articoli:

La REPUBBLICA - Michael Walzer : " Quelle domande sulla pace che vorrei fare a Netanyhau "


Michael Walzer

Da circa trent´anni vado regolarmente in Israele, e ogni volta mi ritrovo a parlare quasi sempre di politica. Eppure ho difficoltà a capire la proposta lanciata da Barack Obama. La novità introdotta dal presidente degli Stati Uniti non è il riferimento ai confini del 1967 bensì affrontare subito la questione dei confini e della sicurezza e rimandare quella dei rifugiati palestinesi e dello status di Gerusalemme.
Per gli israeliani di sinistra (i miei amici), convinti che Israele abbia tutto da guadagnare da un ritiro dai Territori e che tale strategia risponda a una necessità impellente più per gli ebrei che per gli arabi, è un discorso sensato. Non lo è affatto, invece, per Netanyahu e i suoi alleati, che vedono il ritiro come una concessione troppo importante, per la quale probabilmente non sono ancora pronti (né lo saranno mai, a meno che non serva a chiudere definitivamente il conflitto con i palestinesi). Questi ultimi, in altre parole, dovrebbero rinunciare al diritto al ritorno in cambio del ritiro israeliano dalla Cisgiordania. Ma questa eventualità è altamente improbabile e, purtroppo, Obama ha come interlocutore la destra israeliana, non la sinistra. La reazione alle sue proposte, dunque, era prevedibile.
Eppure, Netanyahu avrebbe potuto rispondere diversamente alle dichiarazioni del presidente Usa. Avrebbe potuto accogliere con favore il rifiuto di una proclamazione unilaterale dello Stato palestinese, la promessa che Israele non resterà isolato nell´ambito delle Nazioni Unite, l´invito ad Hamas affinché accetti Israele e rinunci al terrorismo, l´obiettivo di una Palestina demilitarizzata e la richiesta del riconoscimento di Israele come Stato ebraico. Infine, avrebbe potuto semplicemente riconoscere che vi sono ancora dei punti di disaccordo da chiarire circa i confini, gli insediamenti e l´ordine nel quale affrontare le questioni più spinose.
Perché Netanyahu si è impuntato sul passaggio relativo ai confini del ´67 e ha acceso uno scontro? La risposta è molto semplice: il processo di pace non gli interessa (non crede neppure che esista) e pensa solo alla sua posizione politica in patria. Ma non c´è solo questo. Non ho grande stima di Netanyahu, ma un primo ministro israeliano dovrebbe avere un progetto per il futuro del suo paese (e non solo per la propria carriera). Che cosa ne pensa della deriva di Israele verso la condizione di parìa della comunità internazionale, della crescita in molti paesi dei movimenti di boicottaggio, dell´eventualità che l´Assemblea generale delle Nazioni Unite riconosca uno Stato palestinese (come ha fatto molti anni fa con quello israeliano), e della possibilità che i palestinesi organizzino proteste pacifiche su larga scala (qualcosa che Israele non ha mai dovuto affrontare in passato)? La mia impressione è che Netanyahu stia camminando a occhi chiusi verso la rovina. Dovrebbe sapere che le standing ovation a Washington non servono a proteggere il popolo che egli dice di rappresentare. Non capisco che cosa abbia in mente.
I leader palestinesi accoglierebbero con favore il ritiro di Israele dalla Cisgiordania, ma non sono assolutamente pronti a chiudere il conflitto. Nessuno di loro ha mai manifestato la disponibilità a rinunciare al diritto al ritorno dei profughi. Non sono abbastanza forti da poter compiere una scelta del genere, ma ho il sospetto che non ne abbiano neppure la volontà. Il loro obiettivo strategico è – temo – sempre lo stesso: la creazione di uno Stato palestinese accanto a uno Stato ebraico che non riconoscono e verso il quale nutrono ostilità. Sul piano tattico, tuttavia, sono state introdotte alcune novità. Seguendo un percorso a ritroso, hanno fatto ricorso prima alla violenza e al terrore, poi a proteste pacifiche. Se avessero proceduto nell´ordine inverso, oggi avrebbero già un loro Stato.
Il prossimo settembre, tuttavia, quando le Nazioni Unite avranno riconosciuto il loro Stato, marceranno in migliaia oltre i confini del 1967 – da Nablus, per esempio, fino ai vicini insediamenti e basi militari – per affermare la propria sovranità e integrità territoriale. E a quel punto che farà Israele? Gran parte della destra israeliana preferirebbe quasi sicuramente una nuova campagna terroristica, che farebbe passare i palestinesi ancora una volta dalla parte del torto. È un esito certamente possibile, ma – ecco la novità inattesa – meno probabile di una protesta pacifica.
Obama ha cercato di aiutare Netanyahu a evitare o posticipare il voto alle Nazioni Unite, per dare a Israele la possibilità di convertire la proclamazione dello Stato di Palestina in un progetto congiunto dei due popoli. Quali che siano le possibilità di successo, l´avvio di seri negoziati sui confini israeliani è un´esigenza fondamentale, e l´ostinato rifiuto di Netanyahu mi sembra una scelta folle. Non inaspettata, ma pur sempre folle. La speranza è che qualcuno alla Casa Bianca abbia un´idea sui prossimi passi da compiere.

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Il Medio Oriente cambia, Tel Aviv farebbe bene a non remare controvento"


Lapo Pistelli

Il governo israeliano farebbe bene a prendere atto il prima possibile che il mondo intorno sta cambiando e non bastano i 55 applausi del Congresso americano a Benjamin Netanyahu a fermarele dinamiche che sono inesorabilmente in atto nella regione».Asostenerlo è Lapo Pistelli, neo responsabile Esteri del Pd. Il vento di guerra torna a scuotere i confini d’Israele, in Siria e nello Yemensicontinuaamanifestareeamorire. Come spegnere questi incendi? «Non sono sicuro che siano tutti “incendi”da spegnere. Perché diversa è la loro natura e valenza. In Medio Oriente e nel Golfo abbiamo due tipi diversi di questioni: il ben noto conflitto israelo-palestinese e la nuova stagione di rivolte e rivoluzioni che, partite dal Maghreb, ha poi cominciato ad estendersi, per l’appunto, nel Medio Oriente e nel Golfo. Le violenze episodiche fra Israele e i palestinesi vanno iscritte nell’arco complicato dello stop-and-go del negoziato di pace che dura ormai da anni.Maè giusto sottolineare che la stagione delle violenze peggiori sembra essere alle spalle e che anzi la comunità internazionale preme, dopo il recente discorso di Barack Obama, su entrambe le parti affinché si siedano finalmente al tavolo». AltavoloancheconHamaschehasottoscritto l’accordo di riconciliazione con Fatah? «Quell’accordo prevede che al tavolo si sieda l’Autorità nazionale palestinese, ed è una buona notizia. Quantoad Hamas, se è vero che ripetiamo come un mantra la formula “due popoli, due Stati”, gli Stati devono essere per l’appunto due, e non tre, e dunque l’accordo unitario era una premessa indispensabile. È chiaro poi che ci attendiamo che questa ricomposizione unitaria porti alla rinuncia da parte di Hamasalle posizioni che negano la legittimità d’Israele». E a Israele cosa chiedere? «Il governo israeliano farebbe bene a prendere atto prima possibile che il mondo intorno sta cambiando e che non bastano i 55 applausi del Congresso americano a Netanyahu a fermare le dinamiche che sono inesorabilmente in atto nella regione. D’altro canto, le “spalle” di Turchia ed Egitto sono venute meno e il vacillare di Bashar al Assad in Siria potrebbe togliere di scena un interlocutore con cui Israele ha sì, spesso lottato, ma con cui ha trovato un proprio modo di intendersi». Il regime baathista continua a reprimere nel sangue la rivolta popolare. «Il regime manda segnali contraddittori. Assad revoca lo stato d’emergenza e vara un’amnistia per i prigionieri politici,maal tempo stesso il suo esercito e la sua polizia sparano sui civili, donne e bambini inclusi. Le sanzioni personali della comunità internazionale mettono Assad davanti a un bivio: o le riforme sono sostanziali e verificabili e il regime abbandona la violenza e apre alla democrazia, o sarà inevitabile che anche la stella di Assad tramonti». L’irrisolta questione palestinese non rischia di far riesplodere la polveriera mediorientale? «Hol’impressione che molti Paesi abituati a dedicare la prima parte dei loro incontri alla questione palestinese, oggi siano inevitabilmente attenti alla loro situazione interna. La qual cosa non toglie un sologrammodi responsabilità alle due parti in causa, anzi Israele e Palestina hanno tutto da perdere se il quadro regionale attorno a loro collassa». In questo scenario, quale ruolo dovrebbe giocare l’Italia? «Approfittare del rinnovato impegno americano per buttare sul piatto tutto il peso unitario che l’Europa può esprimere. Se non ora, quando? Dubito, però, che un governo in coma come quello Berlusconi possa applicarsi utilmente al dossier mediorientale».

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