Bibi all'assemblea Aipac, Bibi al Congresso Usa, due interventi importanti nei quali si sono delineate le linee future della politica di Israele e del governo americano. Pubblichiamo alcuni commenti, fra i molti usciti oggi, 25/05/2011.
Notiamo come il MANIFESTO abbia ignorato completamente la notizia, l' UNITA' due colonnine piene di disappunto, Bibi non avrebbe detto quali sono le 'rinunce' che Israele è disposto a fare, mentre la REPUBBLICA considera 'interruzioni' le 30 standing ovations durante il suo intervento, e illustra le ragioni dei palestinesi che, sembra, non guardano più al presidente Usa come ad un oppositore dello Stato ebraico. Sul SOLE24ORE un Ugo Tramballi molto seccato per il successo di Bibi, definisce 'compiacente' il Congresso americano' che ha calorosamente applaudito.
Ecco i commenti di Fiamma Nirenstein, Angelo Pezzana, Guido Olimpio, rispettivamente da GIORNALE, LIBERO, CORRIERE della SERA:
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Netanyahu al Congresso, sui confini decido io"

Le critiche pioveranno,di nuovo i confini del ’67 non sono in vendita, di nuovo Gerusalemme è indivisibile e i profughi del ’48 compresi i pronipoti dovranno trovare rifugio a casa loro, e non in Israele... ma Benjamin Netanyahu ha scelto così, un discorso agrodolce con aperture sottili e molti sguardi diretti: se ci volete vivi è così. Se ci volete morti, ci difenderemo. Ci sarà tempesta, molti amano odiare Netanyahu, ma nessuno può togliere a Bibi la formidabile accoglienza che il Congresso americano a Camere riunite, destra e sinistra, ha dedicato ieri al Primo Ministro israeliano. È andato in scena il coraggio della fede nella democrazia, dei valori comuni. Ventisette volte Netanyahu ha ricevuto ovazioni entusiastiche, piacesse o meno a Obama. Due Paesi si sono mostrati per mano sicuri che il rifiuto del cinismo non sarebbe stato scambiato per retorica.
Israele, ha riconosciuto Bibi, non ha un amico migliore degli Usa, né gli Usa di Israele. Il gigante e il bambino (grande poco più di Rhode Island, ha scherzato Netanyahu) hanno bisogno l'uno dell'altro: «Noi siamo insieme nel difendere la democrazia, nel combattere il terrorismo, nel promuovere la libertà… noi siamo il pilastro della stabilità nel Medio Oriente perché da noi non c'è da avviare un 'nation building', noi l'abbiamo già costruita; né da esportare la democrazia, noi l'abbiamo già; né da spedire le truppe americane, noi ci difendiamo da soli! ». Bibi ha lodato Obama per l'eliminazione di Bin Laden, ha ricordato che Hamas ha condannato la sua uccisione e ha invitato Abu Mazen ad abbandonare la compagnia dei terroristi e a sedersi con lui per parlare di pace: «Allora - gli ha promesso- saremo i primi ad aprirvi il riconoscimento all'Onu». Netanyahu si è rivolto parecchie volte ad Abu Mazen come a un amico che deve finalmente abbandonare l'illusione che ha distrutto tutti i tentativi di pace, quella che Israele sarà cancellato. «Sono andato davanti al mio popolo è ho detto che sono d'accordo per uno Stato Palestinese; Abu Mazen fronteggi il suo popolo e dire che accetta uno Stato degli Ebrei. Abu Mazen fai la pace con lo Stato degli Ebrei! » .
Bibi ha detto che Israele sarà generosa quanto a dimensioni della Palestina, ha annunciato che alcuni insediamenti resteranno fuori dai confini israeliani. Ma se lo spazio sarà vasto, ha detto, tuttavia saremo cauti a non mettere in pericolo il nostro minuscolo spazio. La Valle del Giordano dovrà avere un presidio militare, lo Stato palestinese sarà disarmato, Hamas non può essere un partner per i colloqui, Gerusalemme non deve essere divisa (anche se Bibi l'ha detto in modo da lasciare prevedere eccezioni e invenzioni territoriali) perché l'unica libertà di fede in tutta la città che abbia mai conosciuta le è stata donata dallo Stato d'Israele. Infine, la questione dei profughi ha di nuovo incontrato un parere molto chiaro, tornino pure i pronipoti dei profughi del 1948, ma in Palestina, non in Israele per essere l'arma demografica finale. In più Netanyahu ha usato sulla questione Iraniana dei toni definitivi: sei stato bravo nelle sanzioni, gli ha detto, adesso, se non decidi di sistemare una volta per sempre la questione atomica, sappi che ci penseremo noi.
Libero- Angelo Pezzana: "La lezione di Netanyahu all'Obama biforcuto "

A Bibi Netanyahu nessuno potrà imputare di girare diplomaticamente intorno ai problemi invece di affrontarli con chiarezza. I suoi interventi di ieri di fronte alla lobby ebraica americana Aipac aWashington e poi al Congresso degli Stati Uniti sono stati un successo, perché se il discorso precedente di Barack Obama alla stessa Aipac era stato fortemente diverso nei contenuti e nelle conclusioni da quanto aveva detto qualche giorno prima nell’incontro alla Casa Bianca, il merito va al premier d’Israele. Seduto davanti a Obama nella sala ovale non c’era Tzipi Livni, né Ehud Barak, più preoccupati della politica interna israeliana; entrambi si erano espressi in modo critico nei confronti della dichiarazioni di Bibi alla partenza per Washington. L’alleato americanova trattato con i guanti bianchi, avevano detto. Non che Bibi non fosse sostanzialmente d’accordo, ma era il modo di gestire l’incontro che voleva impostare a modo suo. Bibi sapeva che Obama, con quel richiamo ai confini del ’67, poteva mettere in gioco la sicurezza di Israele, ed è stato irremovibile e gliel’ha spiegato finchè l’ha capito. Infatti, nell’incontro con Aipac, Obama ha poi dichiarato di essere stato frainteso nella conferenza stampa, ammettendo che i nuovi confini dovevano nascere da un accordo con l’Autorità palestinese, aggiungendo che Hamas doveva riconoscere lo Stato ebraico e che Abu Mazen si scordasse l’autoproclama - zione a settembre dello Stato palestinese. Abu Mazen ha colto al volo il segnale e si è affrettato a scodellareunapia giustificazione, l’accordo con Hamas significa solo che il futuro governo palestinese sarà guidato da lui, mentre Hamas ne entrerà a far parte come opposizione, pietosa bugia per riavere le mani libere. Un doppio successo, quello di Bibi, l’aver costretto Obama a smentire se stesso in poche ore e l’aver portato a casa la nuova frizione fra Abu Mazen e Hamas. «I palestinesi condividono questa piccola terra con noi», ha poi proclamato il premier israeliano davanti al parlamento americano, e si è detto pronto a «dolorosi compromessi» per raggiungere la pace. Nonèdaoggi infatticheNetanyahuparla di cessione di pezzi di territorio israeliano in cambio soprattutto della piena sovranità su Gerusalemme. Sono seguite, nell’incontro di ieri, le riconferme sulla situazione mediorientale, dove è Israele a rappresentare l’eccezione positiva in un mare di problemi. E che Israele non può tornare ai confini di prima del ’67, indifendibili, come quella guerra dimostrò. Vogliamo la pace con i palestinesi, ha poi aggiunto Bibi, anche se non sarà questo a risolvere i problemi del Medioriente, la soluzione ci sarà solo quando quei Paesi diventeranno democratici. L’assemblea l’ha applaudito a lungo, mai applauso fu più meritato.
Corriere della Sera-Guido Olimpio: " Netanyahu non fa concessioni, no al ritiro nei confini del '67"

WASHINGTON — Neppure al Parlamento israeliano lo hanno mai applaudito tanto. Ventisei standing ovation, con i membri del Congresso Usa in piedi a spellarsi le mani. Compreso quando ha affermato che gli israeliani in Giudea e Samaria— territori arabi conquistati nel conflitto del 1967 — non sono degli occupanti come «gli inglesi in India, i belgi nel Congo» . Il premier israeliano Benjamin «Bibi» Netanyahu ieri giocava in casa e dunque non gli è stato difficile ribadire le sue condizioni. Parlando al Congresso, il capo del governo non ha fatto aperture sostanziali e ha risposto in modo franco alla richiesta della Casa Bianca: Israele non è disposto a tornare ai confini del 1967. Un nuovo no alla richiesta del presidente Obama che ha proposto questa soluzione come base di partenza del negoziato. Una posizione quella di Bibi che rende complicata la ripartenza della trattativa. «Siamo disposti a fare concessioni dolorose, saremo generosi sulle dimensioni dello Stato palestinese— ha affermato Netanyahu —. Ma saremo fermi sul dove fissare i confini» . Quindi il premier ha ribadito che Gerusalemme rimarrà la «capitale unita dello Stato ebraico» , anche se sarà possibile trovare soluzioni per venire incontro alle aspettative dei palestinesi che rivendicano la sovranità sulla parte Est. Quanto al nodo dei rifugiati dovrà essere risolto all’interno delle frontiere della futura Palestina. «L’unica pace è quella che si può difendere» , ha continuato e per questo Israele intende mantenere una presenza militare di «lungo termine» lungo il Giordano. E nei territori palestinesi resteranno alcune colonie. Netanyahu si è poi rivolto al presidente dell’Autorità palestinese Mahmoud Abbas chiedendogli di tornare alla trattativa rompendo l’accordo con Hamas, definita «una versione locale di Al Qaeda» . Consapevole del pieno sostegno del Congresso, il premier si è lasciato andare anche a una lieve ironia sugli sforzi Usa per costruire la democrazia in Medio Oriente: «Noi non ne abbiamo bisogno. In Israele lo abbiamo già fatto» . Alla vigilia del discorso i commentatori israeliani avevano ipotizzato «una sorpresa» del premier. Invece Bibi è ridisceso nella sua trincea, rischiando di rendere ancora più tempestose le relazioni con Barack Obama. Con i palestinesi, poi, lo scontro è aperto. Furiose le loro reazioni. Netanyahu «è un ostacolo alla pace» , «le sue parole sono una dichiarazione di guerra» , hanno affermato: non ci resta che andare avanti con il progetto di proclamare uno Stato palestinese all’Assemblea Onu di settembre. Una mossa che lo stesso Obama ha chiesto di evitare. Il Medio Oriente vivrà un’altra estate calda.
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