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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
20.05.2011 Barack Obama, criticato perchè non abbastanza filopalestinese
Menzogne e omissioni di Francesco Battistini, Alberto Stabile, Umberto De Giovannangeli, Michele Giorgio

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto
Autore: Francesco Battistini - Alberto Stabile - Umberto De Giovannangeli - Michele Giorgio
Titolo: «Israele: I confini del ’ 67? Non ci potremmo difendere - La bocciatura di Netanyahu: Quelle frontiere indifendibili. Hamas: Niente riconoscimento - Ma lungo la strada di Barack l’altolà di Hamas e Israele - Obama, silenzi e promesse»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/05/2011, a pag 3, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo " Israele: I confini del ’ 67? Non ci potremmo difendere ". Da REPUBBLICA, a pag. 19, l'articolo di Alberto Stabile dal titolo " La bocciatura di Netanyahu: Quelle frontiere indifendibili. Hamas: Niente riconoscimento  ". Dall'UNITA', a pag. 31, l'articolo di Umberto De Giovannangeli dal titolo " Ma lungo la strada di Barack l’altolà di Hamas e Israele ". Dal MANIFESTO, a pag. 9, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo " Obama, silenzi e promesse ".
Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti:

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Israele: I confini del ’ 67? Non ci potremmo difendere "

Il pezzo di Francesco Battistini non è scorretto in sè, ma è monco. Mentre vengono evidenziati i rilievi al discorso di Obama fatti da Netanyahu e Anp, manca totalmente la bocciatura di Hamas, che rifiuta di riconoscere Israele. Un aspetto importante, soprattutto dopo che c'è stato l'accordo fra Hamas e Fatah. Ma Battistini ha preferito tacerlo ai suoi lettori. Perchè?

Passeggiando fra le 119 stanze della Blair House di Washington — dov’è ospite in attesa d’essere ricevuto domani alla Casa Bianca, dove ieri ha ascoltato il discorso di Obama — il premier israeliano Bibi Netanyahu aveva una sola preoccupazione: evitare sorprese. «Non ha nessuna ragione d'inquietarsi — l'ha rassicurato fino all’ultimo James Steinberg, segretario di Stato aggiunto — sarà un discorso che non spiazzerà Israele » . Non l'ha spiazzato, ma nemmeno gli è piaciuto: il punto principale fissato dal presidente americano, ovvero il ritiro ai confini del 1967, quindi da tutte le colonie della Cisgiordania e dai quartieri di Gerusalemme Est, erano stati anticipati lunedì dalla stampa israeliana. «Più o meno quello che ci chiedono da sempre» , aveva scritto un opinionista, citando le parole d’un collaboratore d'Obama: «Vi prego, poi a Gerusalemme non fate le vergini che si stupiscono...» . Tutto previsto. E tutto men che una verginella, all’ora del discorso Bibi ha la replica pronta, scritta da due giorni. La manda subito in rete: tornare alla risoluzione 242 dell'Onu, e alla Linea Verde del '49, sarebbe «disastroso» e «indifendibile» . C’è una lettera firmata Bush del 2004, ricorda Netanyahu, con una serie di rassicurazioni che contraddicono l’appello del successore. Cita una delle sue condizioni, che martedì declamerà anche al Congresso: «I palestinesi devono riconoscere Israele come Stato degli ebrei e ogni accordo di pace deve chiudere lo spazio a future richieste» . Bibi torna ad agitare anche una questione che da parte israeliana sembrava chiusa, almeno fino agli scontri di domenica ai confini siriano e libanese: «Senza una soluzione sui profughi del '48, nessuna nostra rinuncia territoriale porrà fine al conflitto» . E tanto per chiarire che si fa sul serio, proprio in contemporanea col discorso di Obama, ecco che da Gerusalemme arriva puntuale l'annuncio: nei quartieri Est di Pisgat Zeev e di Har Homa, occupati dal '67, verrà autorizzata la costruzione di 1.608 nuove abitazioni israeliane. «Obama ha fatto un discorso copiato da Arafat» , attacca la destra di governo Likud. «Netanyahu rilanci il negoziato o resteremo ancora più isolati» , invoca l'opposizione di Tzipi Livni. Voce a sé il ministro della Difesa, Barak, che riconosce «sincerità» ai palestinesi e invita il suo premier a «permettersi concessioni coraggiose» . Di negoziato, in realtà, non si parla. L'hanno capito i francesi, che la settimana scorsa hanno cancellato l'ennesima conferenza di pace. «Diamo alla pace la chance che si merita» , è il commento di Abu Mazen, pure lui gelato dal no di Obama all'autoproclamazione d'uno Stato palestinese in settembre. Nessuna grande prospettiva, riconosce lo storico negoziatore palestinese Saeb Erekat: «Siamo alla Road Map del 2002» . «Senza nemmeno una visione strategica sulle colonie» , è critico l'ex «ambasciatore» in Italia, Nabil Shaath. L'unica, inevitabile novità è la mezza bocciatura Usa dell'accordo Fatah-Hamas: «Obama parli coi fatti e non per slogan — liquida Sami Abu Zuhri, che per Hamas era al Cairo a firmare la riconciliazione palestinese —. I negoziati hanno dimostrato la loro assurdità. E'un discorso troppo schierato coi sionisti» . Quel che più o meno s'aspettava il capo di Gaza, Ismail Hanyieh. Che ha ascoltato Obama in tv, pure lui. Sdraiato su un divano. La gamba fasciata per un fallaccio mentre giocava a calcetto. I siti israeliani lo sfottono: «Ha sempre detto che la sua specialità era buttare la palla dalla parte di Netanyahu. Adesso come se la riprende?» .

La REPUBBLICA - Alberto Stabile : " La bocciatura di Netanyahu: Quelle frontiere indifendibili. Hamas: Niente riconoscimento "

ma in prima pagina era il seguente:Obama: Israele nei confini del ´67. Netanyahu e Hamas dicono no" Netanyahu e Hamas messi sullo stesso piano
Ismail Haniyeh, capo di Hamas

 Il rifiuto di Israele deriva dal fatto che la proposta di Stato palestinese avanzata da Obama significa confini non sicuri e pericolo per la popolazione israeliana. Quello di Hamas per il fatto che non è prevista la cancellazione di Israele. L'opinione dei terroristi della Striscia ha la stessa legittimità di quella del premier di uno Stato democratico?
Ecco l'articolo di Alberto Stabile:

BEIRUT - L´Oracolo ha parlato. Ma quello che il presidente americano ha detto nel suo "major speech" a proposito del conflitto che oppone da 63 anni israeliani e palestinesi, non soddisfa né gli uni né gli altri. In misura diversa, ovviamente. Perché quello che spinge il presidente palestinese, Mahmud Abbas ad «apprezzare» il discorso - e cioè l´affermazione, inedita sulla bocca di un presidente Usa, secondo cui «i confini devono essere basati sulle linee del ‘67» - è esattamente quello che ha fatto infuriare Netanyahu. Quei confini sono «indifendibili», ha ribattuto il premier israeliano ai piedi della scaletta dell´aereo che lo porterà a Washington per l´ennesimo "chiarimento" tra i due super-alleati.
Barack Obama ha dunque fatto il gran passo, avallando la posizione dei palestinesi sulla spinosa questione dei confini. Questione chiave perché da lì discende la forma geografica e politica del futuro Stato palestinese. «Uno Stato - hanno sempre ripetuto a Ramallah - praticabile, entro i confini del ‘67 e con capitale Gerusalemme». Ora Obama di Gerusalemme non ha parlato, ma sui confini s´è sbilanciato, indicando chiaramente come base della trattativa «le linee del ‘67», quelle cioè che erano state stabilite nell´accordo di cessate-il-fuoco che pose fine alla guerra del 1947-‘48 e che furono travolte dalla guerra del ‘67 e dalla successiva occupazione israeliana.
Non è che Obama abbia intimato a Israele di ritirarsi: per facilitare l´accordo sui confini ha ipotizzato persino uno scambio di territori «reciprocamente concordato», qualcosa su cui il predecessore di Netanyahu, Ehud Olmert, aveva a lungo discusso con i palestinesi. Ma a Netanyahu le parole di Obama devono essere sembrate quantomeno stonate, perché quello che il premier israeliano s´aspetta è che Obama ribadisca l´impegno sottoscritto da George W. Bush in una lettera all´allora primo ministro Ariel Sharon, in cui gli Stati Uniti riconoscono i cambiamenti di fatto occorsi nei Territori occupati e, di conseguenza, il diritto d´Israele ad annettersi i grandi insediamenti.
Tutto questo suona in maniera profondamente diversa alle orecchie dei palestinesi. Ed infatti, Mahmud Abbas ha subito voluto esprimere apprezzamento, impegnandosi a convocare una riunione d´emergenza con non meglio precisate «parti arabe» e «palestinesi» (Hamas?) per discutere la novità. Poi, però a mente fredda, il ministro Nabil Shaat ha detto che non ci sono tracce concrete per far ripartire il negoziato e, soprattutto, che non si capisce, come Obama non chieda a Israele almeno il congelamento degli insediamenti. Ancora più netta la reazione di Hamas: «Un discorso schierato dalla parte d´Israele, non accettiamo la richiesta di riconoscere quello che Obama ha definito "Stato ebraico"».

L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli : " Ma lungo la strada di Barack l’altolà di Hamas e Israele".


Abu Mazen

Come Repubblica, anche l'Unità mette sullo stesso piano Hamas e Israele. Un'associazione terroristica vale quanto uno Stato democratico, le loro motivazioni hanno lo stesso peso? Anche l'Anp non è del tutto soddisfatta dal discorso di Obama, in particolare per quanto riguarda lo status di Gerusalemme (non menzionato nel discorso) e il congelamento delle costruzioni negli insediamenti. Ma nei titoli non c'è traccia delle perplessità di Abu Mazen, forse perchè la sua immagine di moderato che fa di tutto per i negoziati verrebbe minata?
Ecco l'articolo:

Nel momento in cui i popoli di Medio Oriente e Nord Africa stanno liberandosi dei pesi del passato, la spinta per una pace duratura che dia soluzione al conflitto e risolva tutte le richieste è più urgente che mai». E ancora: «Il nostro impegno per la sicurezza di Israele è incrollabile. Ma proprio per la nostra amicizia è importante dire la verità: lo status quo è insostenibile ». Una speranza. E una verità. Un investimento sul futuro e la constatazione di un presente non più sostenibile. Così Barack Obama sul fronte più statico diun Medio Oriente in pieno movimento: il fronte israelo-palestinese. Una soluzione che preveda due Stati è l'unica via per la pace tra Israele e palestinesi, ribadisce il capo della Casa Bianca. «Per decenni - annota Obama - il conflitto arabo-israeliano ha portato la guerra nella regione. Il popolo palestinese non ha ancora uno Stato. Per molti è impossibile un passo avanti, maiononsono d'accordo. Siamo arrivati ad un momento in cui si stanno demolendo delle barriere ed è ora che avvenga anche per palestinesi ed israeliani, i quali devono intraprendere l'azione: nessuna pace può essere imposta né ritardi senza fine faranno sparire il problema. Quello che l'America e laComunità internazionale possono fare è affermare francamente quello che tutti sanno: unapace duratura prevede due Stati per due popoli ». E ancora: «I problemi chiave del conflitto vanno negoziati ma la base di partenza è chiara: unIsraele sicuro e una Palestina». «Il pieno ritiro delle forze militari israeliane dovrebbe essere coordinato con l'assunzione» di una Palestina «responsabile in uno Stato sovrano e non militarizzato. MailsognodiObamadi una pace tra israeliani e palestinesi sembra immediatamente infrangersi di fronte al muro dei vecchi rancori. Hamas, la fazione islamica palestinese al potere nella Striscia di Gaza, liquida come «un discorso schierato » dalla parte israeliana l'intervento del presidente Usa sul Medio Oriente. «Non c'è nulla di nuovo è un discorso che ignora una volta di più i diritti dei palestinesi», taglia corto il portavoce Ismail Radwan. L'Autorità nazionale palestinese (Anp) giudica positivamente il richiamo del presidente Usa, ai confini del 1967 quale base di partenza di un accordo di pace con Israele, malamenta la mancanza di pressioni e di una strategia concreta verso questo traguardo e il silenzio sulla questione degli insediamenti, rimarca Nabil Shaath, componente del team negoziale dell'Anp e dirigente di Fatah, il partito del presidenteAbuMazen. EoggiObamadovrà fare i conti, nell’incontro alla Casa Bianca, con un primo ministro d’Israele, Benjamin Netanyahu, alla guida di un esecutivo fortemente marcato dagli orientamenti della destra oltranzista; una destra che non ha mai nascosto di considerare «Barack Hussein Obama» non comeuna risorsamacome una minaccia per lo Stato ebraico. E Netanyahu ha già fatto sapere di apprezzare l'impegno per la pace espresso nel discorso da Obama, ma al tempo stesso ha ribadito il no a un ritiro di Israele sui confini del 1967, richiamandosi a una lettera di rassicurazioni indirizzate in proposito a Israele nel 2004dall'amministrazione di George W. Bush. Più che nelle rispettive dirigenze politiche, israeliana e palestinese, la speranza di Obama sta nella crescita dal basso di una volontà di cambiamento così possente da poter abbattere i Muri di diffidenza e di ostilità, fisici e mentali presenti in Terrasanta. Ma questa, ad oggi, è solo una speranza.

Il MANIFESTO- Michele Giorgio : " Obama, silenzi e promesse "


Michele Giorgio

Dopo aver letto il pezzo di Giorgio ci chiediamo se non l'abbia scritto sotto dettatura di Hamas. Secondo il quotidiano comunista, il principale difetto di Obama è di non essere abbastanza filo palestinese e di non essere stato duro a sufficienza con Israele.
Ecco l'articolo:

Se in Medio Oriente sono nate e si sono sviluppate proteste che hanno attraversato molti Paesi, «non è stata l’America» a provocarle, ma quelle proteste «sono nate spontaneamente dalla gente» che chiede libertà e democrazia, ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, nel corso del suo intervento sul Medio Oriente ieri alDipartimento di stato.Una sacrosanta verità, perché appena cinquemesi fa Obama dialogava amabilmente con il suo alleato strategico al potere da trent’anni Hosni Mubarak, intratteneva buoni rapporti con il despota tunisino Ben Ali e proseguiva la cooperazione «antiterrorismo» con il «pazzo » Gheddafi. Il discorso «numero 2» almondo arabo-islamico di Obama, a due anni dal primo che pronunciò al Cairo sotto lo sguardo compiaciuto del passato regime egiziano, ha insistito troppo con le valutazioni sulle ragioni delle rivolte già fatte e ascoltate da più parti in questi cinque mesi e su una scontata esaltazione della nuova comunicazione on line, in un quadro dove gli amici e i nemici dell’America sono sempre gli stessi. A cominciare dall’Iran - il regime iraniano, ha detto Obama,è «ipocrita, appoggia le proteste per i diritti all’estero e le sopprime in casa» - per finire con la Siria: «Bashar Assad guidi la transizione o lasci il potere», ha intimato il presidente Usa. Critiche allo Yemen e al Bahrein,manessun attacco frontale agli alleati del Golfo, regnanti sauditi in testa, ai quali Washington concede la facoltà di negare le libertà fondamentali ai propri sudditi, a cominciare dai diritti delle donne che pure sono stati uno dei pochi passaggi interessanti del «major speech». «I diritti universali valgono per le donne come per gli uomini», ha affermato Obama. Dovrebbe spiegarlo al suo alleato re Abdallah dell’Arabia saudita. Prevedile l’aiuto, stile pianoMarshall, a Tunisia ed Egitto (che si vedrà cancellare un milioni di debito). Alla vigilia del discorso qualcuno sosteneva che il conflitto israelo-palestinese sarebbe stato marginale rispetto al tema delle rivolte in Nordafrica eMedio Oriente. È stato il contrario. Obama ha lanciato un attacco durissimo all’intenzione del presidente Abu Mazen di proclamare lo Stato palestinese unilateralmente all’Onu, il prossimo settembre: «I tentativi palestinesi di delegittimare Israele falliranno - ha detto il presidente Usa rivolgendosi ad Abu Mazen - azioni simboliche per isolare Israele alle Nazioni unite in settembre non creeranno uno Stato indipendente»; e mentre pronunciava queste parole la commissione edilizia del Comune di Gerusalemme dava il primo via libera alla costruzione di 1.550 nuovi alloggi da realizzare all’interno di insediamenti ebraici situati a Gerusalemme est (la zona araba occupata con la guerra del 1967). I progetti riguarderanno Pisgat Zeev (dove 620 alloggi sono già stati autorizzati anche da un comitato governativo) eHar Homa. È il «grazie» del premier Benyamin Netanyahu ad Obama che ha dedicato solo una mezza critica alla colonizzazione israeliana. I due si vedranno oggi a Washington e, domenica, Obama interverrà di fronte all’Aipac, la principale e influente delle lobby americane filo-Israele. Il presidente Usa ha ribadito che l’unica soluzione resta quella dei due Stati, con Israele come «stato ebraico e patria per il popolo ebreo» e la Palestina come «patria del popolo palestinese» con frontiere che dovranno essere fondate su quelle del 1967, con scambi territoriali tra le due parti, e la Palestina dovrà essere uno Stato «sovrano e non militarizzato».Ma il fatto più rilevante (e preoccupante) è l’aver chiesto una soluzione «con confini permanenti» tra i due Stati (con un ritiro israeliano in più fasi) lasciando a negoziati futuri le questioni più spinose: lo status di Gerusalemme e il destino dei 5 milioni di profughi palestinesi che da decenni vivono in campi profughi nel mondo arabo. Abu Mazen ieri sera ha convocato d’urgenza l’esecutivo palestinese e attraverso il caponegoziatore Saeb Erekat ha espresso soddisfazione per il riferimento ai confini del 1967. Ma in casa palestinese ieri sera regnava un clima da funerale. «L’attacco di Obamaalla proclamazione unilaterale di indipendenza è stato durissimo e rischia di provocare un conflitto interno devastante» ha spiegato al manifesto una autorevole fonte dell’Anp che ha chiesto di rimanere anonima, «Abu Mazen è paralizzato, se faràmarcia indietro sotto le pressioni americane rischia il fallimento della riconciliazione con Hamasappena siglata». E da Gaza è stata immediata la reazione del movimento islamico (chiamato in causa da Obama: «I leader palestinesi non otterranno la pace o la prosperità se Hamas insiste con il terrore e il rifiuto e i palestinesi non avranno mai l’indipendenza negando il diritto di Israele a esistere »). «In quel discorso non c’è nulla di nuovo, ignora una volta di più i diritti dei palestinesi », ha detto il portavoce del movimento islamico Ismail Radwan. «Un discorso schierato dalla parte d’Israele e concentrato sulla sola sicurezza dell’entità sionista », ha spiegato, «noi comunque non accettiamo la richiesta (di Obama) di riconoscere quello che lui ha definito lo Stato ebraico». Infine in tarda serata è arrivato il secco «no» di Israele. Netanyahu ha dichiarato di «apprezzare » l’impegno per la pace di Obama, maha escluso il ritiro sui confini del 1967, richiamandosi a una lettera di rassicurazioni indirizzate in proposito a Israele nel 2004 dall’amministrazione di George W. Bush. Il «major speech» perciò lascia inalterato il quadro israelo-palestinese.

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