Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Milano, il futuro sindaco chiuda la moschea di viale Jenner da sempre legata al terrorismo islamico. Commenti di Magdi C. Allam, Souad Sbai
Testata:Il Giornale - Libero Autore: Magdi C. Allam - Souad Sbai Titolo: «Altre moschee? No, chiudete quella che c’è - Chi tocca l’islam muore. Ma in Italia non è ancora così»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 19/05/2011, a pag. 6, l'articolo di Magdi Cristiano Allam dal titolo " Altre moschee? No, chiudete quella che c’è ". Da LIBERO, a pag 16, l'articolo di Souad Sbai dal titolo " Chi tocca l’islam muore. Ma in Italia non è ancora così ". Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Magdi C. Allam : " Altre moschee? No, chiudete quella che c’è "
Il titolo non riflette quanto scritto da Allam, i due argomenti non sono collegati fra loro.
Magdi C. Allam, Abu Imad, imam della moschea di viale Jenner
Auspico che il primo atto della nuova amministrazione comunale di Milano sia un gesto altamente significativo all’insegna della legalità, della sicurezza e della civile convivenza. In campagna elettorale Moratti, Pisapia e Palmeri si sono detti favorevoli alla chiusura della moschea di viale Jenner a Milano, accogliendo la pressante richiesta del Comitato Jenner Farini costituito dai cittadini della zona esasperati dopo vent’anni di arbitrio giuridico e degrado ambientale (www.jennerfarini.org). Sfido ora il futuro sindaco ad ottemperare all’impegno assunto. Strappandogli un’altra promessa: garantisca la libertà religiosa dei cristiani originari dei Paesi islamici che anche a Milano, da un lato, subiscono aggressioni violente e intimidazioni, dall’altro non dispongono di adeguati luoghi di culto. La moschea di viale Jenner va chiusa subito senza alcuna remora. Perché si tratta di una moschea nata nella più assoluta illegalità nel 1991, che a tutt’oggi risulta accatastata come magazzino, mentre svolge da sempre attività cultuale, assistenziale, di ristorazione pubblica, politica, culturale e persino scolastica. Rapidamente è emersa come la centrale del radicalismo islamico fino ad assurgere alla moschea più inquisita e collusa con il terrorismo islamico internazionale. Al punto che la sua guida religiosa negli ultimi 15 anni, l’imam Abu Imad, sta attualmente scontando in carcere una condanna definitiva a tre anni e otto mesi perché, si legge nella sentenza emessa dalla Procura di Milano, egli ha personalmente praticato il lavaggio di cervello ai fedeli trasformandoli in terroristi suicidi islamici e di cinque di loro abbiamo la certezza che sono andati da viale Jenner a farsi esplodere in Irak. La moschea di viale Jenner va chiusa senza alcuna contropartita. Se lo Stato o le istituzioni locali dovessero sottomettersi al ricatto di chi prima commette un reato e poi esige in cambio una compensazione, sarebbe come premiare anziché sanzionare il reato, si tradurrebbe nella fine dello stato di diritto. Non è concepibile che un gruppo di fanatici islamici trasformino illegalmente un magazzino nella centrale del radicalismo islamico e le istituzioni dello Stato debbano farsi carico di garantire loro una grande moschea in cambio della chiusura di una sede illegale. Se dovessimo rinunciare al principio che la legge vale per tutti, se dovessimo accreditare la prassi che la certezza del diritto e della pena non si applica agli islamici, la conseguenza è che loro continuerebbero a concepirci come una landa deserta da occupare e assoggettare al loro arbitrio. Ecco perché dico all’esperto di diritto Pisapia che è assolutamente sbagliato creare un nesso tra la chiusura della moschea di viale Jenner e il concedere ai gestori che hanno violato la legge una sede alternativa. In Italia la libertà religiosa è ampiamente garantita, così come emerge dal fatto che ci sono complessivamente circa 900 luoghi di preghiera islamici di cui almeno 8 a Milano. Se i fedeli che frequentano la moschea di viale Jenner fossero semplicemente interessati a pregare, perché non si recano negli altri luoghi di culto esistenti a Milano? La verità, così come emerge dalla condanna definitiva dell’imam Abu Imad che non a caso capeggiò l’occupazione di piazza Duomo il 3 gennaio 2009 quando circa 2mila islamici ostentarono in modo provocatorio la preghiera collettiva di fronte al simbolo della cristianità, è che più che alla preghiera questi islamici sono interessati a sottometterci al loro Allah e alla sharia, la legge coranica. Se ci vogliamo del bene dobbiamo affrancarci dall’ideologia del relativismo religioso, del buonismo e dell’islamicamente corretto che ci riduce a essere più islamici degli islamici. Pisapia e il cardinale Tettamanzi sappiano che anche se dovessimo regalare loro una grande moschea, gli islamici si scannerebbero tra loro per aggiudicarsi il monopolio della sua gestione perché dai suoi esordi l’islam è una religione divisa e in conflitto al suo interno. Se a oggi lo Stato non è riuscito a stipulare un’intesa con la comunità islamica, come previsto dall’articolo 8 della Costituzione, si deve esclusivamente all’incapacità dei musulmani di accordarsi su una rappresentanza unitaria. Rivolgendomi direttamente al cardinale Tettamanzi gli dico che se ha veramente a cuore la libertà religiosa, prima di preoccuparsi degli islamici e delle moschee, si occupi in primo luogo di garantire il diritto alla vita, alla dignità e al culto dei cristiani originari di Paesi islamici che a Milano vivono nella paura. Cito due fatti per essere esplicito. Circa un mese e mezzo fa un sacerdote egiziano cattolico è stato aggredito da un gruppo di islamici, provocandogli la frattura del polso e dell’avambraccio che l’ha costretto ad andare in ospedale e a stare per 40 giorni con il gesso. La sua colpa è di aver battezzato alcuni musulmani che a Milano hanno scelto di abbracciare la fede cristiana. Il sacerdote ha a tal punto paura che preferisce non parlare del fatto e ha preso la decisione di non battezzare più alcun musulmano. Si sta comportando come se fossimo non a Milano, non in uno Stato libero e democratico, ma nella Kabul dei Taliban dove vengono automaticamente condannati a morte sia il musulmano che rinuncia all’islam sia il cristiano che lo converte. Il secondo fatto riguarda una donna cristiana copta ortodossa, fuggita vent’anni fa dall’Egitto dopo essere stata sfigurata al volto dal lancio dell’acido da parte di terroristi islamici che l’ha costretta a subire ben 15 interventi chirurgici, e che ora si ritrova a essere regolarmente minacciata di morte da estremisti islamici a Milano. L’attendono sotto casa o al mercato e le dicono: prima o dopo ti ammazzeremo sporca cristiana! Così come ricordo al cardinale Tettamanzi che a Milano ci siano dei cristiani originari dei Paesi islamici che pregano in seminterrati alla stregua delle catacombe. Diamo loro dei luoghi di culto dignitosi prima di richiedere ad alta voce e in modo ossessivo una grande moschea a Milano. Per l’insieme di queste ragioni la chiusura immediata e incondizionata della moschea di viale Jenner rappresenta il banco di prova della capacità della nuova amministrazione di Milano di affermare legalità, sicurezza e civile convivenza.
LIBERO - Souad Sbai : " Chi tocca l’islam muore. Ma in Italia non è ancora così"
Souad Sbai Andrea Morigi
Eravamo destinati a sentirle di ogni genere, ma il Jihad By Court ancora ci mancava. Una pratica intimidatoria per zittire con querele chi denuncia con coraggio l’estremismo. La sentenza che ha assolto Andrea Morigi dalla querela dell’UCOII perché «il fatto non costituisce reato», una vittoria decisiva e un punto fermo dal quale ormai non ci si discosterà più, segue quella con cui Alessandro Sallusti, allora direttore di questo giornale, veniva prosciolto perché «il fatto non sussiste». Parlare di Fratelli Musulmani non è reato e nessuna corte potrà mai condannare una persona per aver accostato qualcuno alla loro organizzazione. La loro esistenza è ormai pacificamente riconosciuta, stanno per fondare un partito che probabilmente governerà l’Egitto. Su come lo faranno taccio, per ora. Ciò che più conta è che la sentenza emessa dal Tribunale di Milano mette una pietra tombale sulla volontà di zittire i cronisti coraggiosi che parlano di estremismo, come su quella di mettere a tacere chi sa e parla senza paura; cito l’esem - pio della querela che Khalid Chaouki, solo fino a qualche mese fa Presidente dei Giovani Musulmani legati all’UCOII aveva sporto contro Mantovano, Gasparri, Ronchi, la sottoscritta e lo scrittore Marco Angelelli. Certo, querela sporta da chi nemmeno aveva firmato la Carta dei Valori e che successivamente si discostava nettamente da quell’ambiente. Capirà anche lui che la parola “estremi - sta” non è reato. Io stessa, l’11 giugno 2009, in Aula interrogai il Governo circa queste vicende affermando che «fra le moschee dell’UCOII, numerose sono quelle i cui dirigenti in qualche modo si ispirano all’ideologia dei Fratelli Musulmani »eche la querela «è toccata a diversi giornalisti, querelati dall’UCOII per aver manifestato il loro pensiero». Non avevamo paura prima e non ne abbiamo nemmeno ora che una sentenza, che non esiterei a definire storica, spezza sul nascere questo intento liberticida. E che arriva proprio in un momento decisivo, in cui qualcuno vorrebbe sfruttare le sua potenza economica per impadronirsi, attraverso federazioni e associazioni varie, dell’Islam italiano, che i tribunali li vede solo per difendersi da chi ne minaccia la libertà. La speranza è che questo stop dia più forza a chi da sempre si batte contro l’estremismo e ne denuncia i rischi di infiltrazione nella nostra società.
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