Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La Siria usa l'odio contro Israele per distogliere l'attenzione dalla repressione di Assad Antonio Panzeri invita l'Europa a intervenire contro il regime siriano
Testata:Il Foglio - Libero Autore: Redazione del Foglio - Antonio Panzeri Titolo: «L’unica protesta che riesce in Siria è al confine con Israele»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 17/05/2011, a pag. 3, l'articolo dal titolo " L’unica protesta che riesce in Siria è al confine con Israele". Da LIBERO, a pag. 23, l'articolo di Antonio Panzeri dal titolo " L’Europa si schieri contro le stragi del tiranno Assad ". Ecco i due articoli:
Il FOGLIO - " L’unica protesta che riesce in Siria è al confine con Israele"
Bashar al Assad
Roma. Ieri la polizia israeliana ha circondato e isolato il villaggio di Majdal Shams, sulle alture del Golan, alla ricerca di siriani rimasti dopo le violenze di domenica durante le manifestazioni che ricordano la “Nakba”, la catastrofe, come i palestinesi chiamano la fondazione dello stato di Israele 63 anni fa. Il ministero degli Esteri di Gerusalemme ha fatto circolare un memorandum tra i suoi diplomatici con la propria versione dei fatti: il documento spiega che la Siria ha la responsabilità di quanto è successo, perché non ha bloccato la strada ai manifestanti. Secondo l’analista araba Rime Allaf, che lavora al think tank Chatham House di Londra, “non c’è dubbio che il regime siriano ha consentito alla gente di avvicinarsi al confine sapendo che ci sarebbe stato il risultato a cui abbiamo assistito ieri, e che gli israeliani avrebbero sparato per uccidere. I leader siriani sapevano che quest’azione avrebbe deviato l’attenzione dai loro problemi interni, naturalmente soltanto per poco tempo, e che avrebbe ricordato a Israele che il regime è garante di tranquillità dal lato siriano della frontiera”. “Israele ha avuto il suo primo assaggio della primavera araba – ha scritto ieri il Christian Science Monitor – ma forse ci sono anche i leader arabi, desiderosi di deviare le critiche ai propri regimi”. Chi è stato sulla linea di separazione che divide le alture del Golan racconta che prima di arrivare in vista delle postazioni israeliane ci sono di regola almeno tre checkpoint dell’esercito siriano da superare. Al valico di Allemby Bridge, sul confine giordano, l’esercito di Amman ha fermato una manifestazione simile e non ci sono stati disordini. Lungo i confini con la Cisgiordania, come al valico di Qandalya che collega Gerusalemme a Ramallah, ci sono state proteste grazie al passaparola su Facebook, ma senza gli episodi di violenza accaduti in Siria, in Libano e a Gaza. “Quell’area del Golan è pacifica fin dal 1974 – dice Chris Phillips dell’Economist – sembra che domenica sia stato un avvertimento dei siriani per dire a Israele: ‘Se perdiamo il potere ci sarà instabilità e non potremo controllare questa zona, sarà un problema per voi e per la comunità internazionale’”. La zona dove si sono verificati gli scontri è nel sud militarizzato del paese, vicino a Deraa, la città epicentro della rivoluzione anti Assad (dove ieri è stata scoperta una fossa comune coperta di fresco). Tutta la zona è bloccata da misure di sicurezza strettissime, le strade sono controllate, i centri abitati sono lasciati per giorni senza telefoni ed elettricità – eppure domenica la zona di confine è stata la sola dove si sono materializzate le manifestazioni. Alcuni analisti si chiedono che effetto avrebbe schierare lungo il confine nord con la Siria un massiccio dispiegamento di forze israeliane, costringendo l’esercito di Damasco a reagire “a specchio” e ridurre il numero dei soldati impegnati a spegnere la rivolta interna. Al Cairo i militari hanno dovuto sparare in aria anche ieri notte per disperdere la folla di simpatizzanti filopalestinesi che da un giorno assedia l’ambasciata di Israele, ora circondata da blocchi stradali e da barricate dei manifestanti. In città ieri sono tornate le delegazioni di Fatah e di Hamas, i due grandi movimenti palestinesi che da poco hanno siglato un accordo per riunificare politicamente le due enclave, Cisgiordania e Gaza. Alcuni commentatori a caldo hanno parlato di inizio della sempre temuta Terza intifada, ma per ora sembra poco probabile che i palestinesi vogliano davvero un’ondata di violenza. A settembre, all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, proporranno e con tutta probabilità otterranno il riconoscimento dello stato palestinese, e non desiderano scuotere l’opinione pubblica e i governi occidentali con un periodo prolungato di guerriglia.
LIBERO - Antonio Panzeri : " L’Europa si schieri contro le stragi del tiranno Assad"
Antonio Panzeri
La Siria è uno degli ultimi Paesi del vicinato meridionale a essere divenuto teatro di proteste e violente repressioni. Iniziate a marzo in alcuni centri minori, le proteste si sono diffuse successivamente anche in importanti centri urbani. Dapprima inerenti a rivendicazioni socio economiche, in seguito le rivendicazioni si sono ampliate ad altri temi. Conformemente a uno scenario già visto in altri contesti, la repressione da parte del regime ha finito per rafforzare il malcontento, incrementando in particolar modo le motivazioni politiche delle manifestazioni. Il fatto più significativo è che il presidente Bashar Assad, che all’inizio delle manifestazioni godeva ancora di un credito tra la popolazione, ha finito per divenire l’obiettivo di coloro che manifestano, che oramai chiedono a gran voce la sua partenza. Secondo fonti attendibili la repressione, nel giro di circa tre mesi, ha provocato circa 600 vittime. Il regime ha lamentato l’in - filtrazione di elementi armati provenienti dai campi dei rifugiati palestinesi in Giordania; ma risulta poco credibile ridurre le proteste popolari a un tentavo di “insurrezione armata condotta da nemici esterni”. In realtà il regime, fino a ora, ha dimostrato la netta incapacità di riformarsi dall’interno e Assad non ha voluto, o saputo, confrontarsi con gli elementi del sistema di sicurezza e del sistema economico che si oppongono a ogni mutamento di sostanza per il timore di perdere radicati privilegi.La comunità internazionale ha reagito alle repressioni con troppa cautela rispetto ad altri Paesi nelle stesse condizioni, seppur in considerazione della diversità di contesto. La destabilizzazione del Paese avrebbe ripercussioni in tutta la regione, a cominciare dal Libano, ma anche su Israele e Iraq. Attualmente L’Iran permane il maggior sostenitore del regime. Da qui le cautele usate dalla stessa Europa nel procedere a sanzioni di un certo peso. Ora, tutto può essere comprensibile, ma non può sfuggire il fatto che l’opinione pubblica europea si interroga sul perché si usino due pesi e due misure. E non ha torto. Una maggior coerenza dell’Europa non sarebbe negativa anzi, renderebbe più credibile la sua azione sugli scenari internazionali e la sua azione di politica estera.
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