Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 15/05/2011, a pag. 11, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Il Pakistan agli Usa: Sovranità violata ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 26, l'articolo di Fareed Zakaria dal titolo " L’ambiguità dei generali pachistani ".
Ecco i pezzi:
La STAMPA - Maurizio Molinari : " Il Pakistan agli Usa: Sovranità violata "

Maurizio Molinari
Il Pakistan condanna il blitz Usa contro Osama bin Laden, accusa gli Stati Uniti di aver violato la Carta dell’Onu, chiede la sospensione degli attacchi dei droni della Cia e ammonisce Washington sulle «pericolose conseguenze per la regione e il mondo» in caso di nuovi raid. Al termine di una seduta durata oltre undici ore, il Parlamento di Islamabad ha approvato un documento che sostiene toni e termini della condanna del raid espressa dal capo dei servizi segreti (Isi) Ahmed Shuja Pasha, lasciando intendere che fra Pakistan e Washington la crisi si accentua.
Proprio Pasha è stato il protagonista dei lavori, con una deposizione che lo ha visto ammettere «il fallimento della nostra intelligence» nell’«apprendere e sventare la violazione della sovranità nazionale». Pasha è stato molto aspro nei confronti della Cia di Leon Panetta, imputandole di «reclutare informatori alle nostre spalle sul nostro territorio» facendo leva su «grandi risorse economiche». A fianco di Pasha era presente anche il capo delle forze armate, Ashfaq Kayani: rimasto spesso in silenzio, incarnava davanti ai deputati il senso di umiliazione per non essere riuscito a difendere il territorio nazionale. Il governo si è espresso attraverso il ministro dell’Informazione Firdous Ahiq Awan, che ha definito «non intenzionale» la «negligenza dell’Isi» ma ha imputato agli Stati Uniti «una evidente violazione della nostra sovranità nazionale in aperto disprezzo della Carta delle Nazioni Unite».
Alcuni deputati hanno raccontato che Pasha avrebbe detto in più occasioni di essere pronto a dimettersi anche se è Kayani ad apparire in questo momento in maggiore difficoltà, perché avrebbero dovuto essere le forze armate ad accorgersi del blitz americano. Al termine del raro dibattito parlamentare alla presenza dei vertici militari, la mozione approvata a larga maggioranza ha recapitato a Washington un duplice monito. Primo: «Se un simile raid dovesse ripetersi, le conseguenze per la pace nella regione e nel mondo sarebbero molto gravi», ovvero il Pakistan potrebbe decidere di reagire colpendo militarmente gli aggressori. Secondo: «Gli attacchi con i droni devono essere interrotti subito» perché «costituiscono una violazione della sovranità». Se ciò non avverrà, il governo «prenderà in considerazione delle contromisure, a cominciare dall’interruzione del passaggio dei rifornimenti verso le truppe Nato in Afghanistan».
La doppia presa di posizione complica i rapporti con l’Amministrazione Obama alla vigilia dell’arrivo a Islamabad di John Kerry, il presidente della commissione Esteri del Senato, intenzionato a porre al governo pachistano le «domande che attendono risposta» sulle coperture che hanno consentito a Bin Laden di risiedere indisturbato per cinque anni a breve distanza dalla maggiore accademia militare nazionale. Dietro la missione di Kerry c’è il consenso nel Congresso di Washington sulla necessità di condizionare i tre miliardi di dollari annui di aiuti al Pakistan all’individuazione del «network che ha protetto Bin Laden». La Casa Bianca ha scelto di non commentare la risoluzione del Parlamento pachistano, ma alcuni funzionari hanno stigmatizzato l’assenza di condanna dei taleban per gli attentati che hanno causato oltre 80 morti.
CORRIERE della SERA - Fareed Zakaria : " L’ambiguità dei generali pachistani"

Fareed Zakaria
L’ eliminazione di Osama Bin Laden ha suscitato un vespaio di polemiche sul Pakistan. Possiamo dunque rimettere in discussione la sua politica nei confronti dei terroristi, i complicati rapporti con gli Stati Uniti, le sue crescenti disfunzionalità. Un’occasione, questa, che dovrebbe però portare a qualcosa di più di una semplice analisi, riconoscendo che è giunto il momento di passare all’azione, di spingere il Paese verso la moderazione e la vera democrazia. Fino ad oggi, in Pakistan, i militari hanno affrontato la crisi reiterando sempre gli stessi vecchi trucchi nella speranza di resistere alla bufera: hanno passato documenti riservati ai giornalisti fidati, sguinzagliato attivisti e politici, tutto allo scopo di soffiare sul fuoco dell’anti-americanismo. Ora che sono stati smascherati in una situazione che lascia intuire o la complicità con Al Qaeda o una gravissima incompetenza — e la realtà abbraccia probabilmente entrambi i fattori — ecco che si sforzano disperatamente di cambiare argomento. I massimi vertici delle forze armate denunciano con rabbia l’America per aver condotto il blitz nel loro Paese. «È come se uno, scoperto a letto con la moglie di un altro, se la prendesse con il marito che è rientrato in casa» , ha commentato uno studioso pachistano, preferendo conservare l’anonimato per timore di ritorsioni. È una strategia che ha funzionato in passato. Nel 2009 il governo Obama ha ricevuto l’appoggio dei senatori Richard Lugar e John Kerry per triplicare gli aiuti americani al governo e al popolo pachistani per un totale di 7,5 miliardi di dollari in cinque anni, a condizione che fossero adottate misure adeguate a rafforzare la democrazia e consentire alla società di controllare le forze armate. I militari hanno reagito scatenando campagne di odio contro l’America, ricorrendo ai loro simpatizzanti nei media e in Parlamento per denunciare le «violazioni della sovranità pachistana» , l’identica frase che viene sbandierata oggi. Di conseguenza, gli Stati Uniti hanno fatto un passo indietro, astenendosi dall’imporre, nella pratica, i vincoli menzionati dal decreto Lugar Kerry. In altre parole i militari sono riusciti, ancora una volta, a sottomettere il governo civile. Secondo fonti pachistane, il recente discorso del primo ministro Yousaf Raza Gillani è stato confezionato dai militari. Il presidente Asif Ali Zardari cerca continuamente di blandire i generali, anziché prenderli di petto. Insediatosi al potere con l’ambizione di soggiogare l’esercito, il governo, benché democraticamente eletto, si è ridotto a ripetere a comando le rimostranze suggerite dai servizi di sicurezza. Non si sono viste manifestazioni di protesta contro l’uccisione di Bin Laden, anche se una marcia di 500 persone a Lahore è stata mandata in onda ossessivamente dalla tv. Ma resta la domanda fondamentale: come mai il principe del terrorismo globale abitava lì, supportato da una qualche forma di rete amica che sicuramente comprendeva figure del governo? Come si spiega che tutti i capi di Al Qaeda catturati dal 2002 a oggi vivevano al sicuro in qualche città pachistana? E come mai ogni qualvolta si riparla di queste cose ecco che interviene una campagna di anti americanismo e di fanatismo religioso a vanificare ogni sforzo? A più riprese Washington ha fatto concessioni ai militari pur di ottenere la loro collaborazione per evitare che si rivolgessero altrove alla ricerca di finanziamenti — in Cina, per esempio. I pachistani hanno bisogno degli aiuti americani, come pure di armi e addestramento per mantenere in funzione l’esercito. Ma se vorranno continuare a ricevere questi benefici, i militari dovranno contribuire a risolvere, e non ad aggravare, i problemi del Pakistan. Washington dovrebbe, con una certa urgenza: 1) esigere la creazione di una commissione nazionale d’inchiesta in Pakistan, guidata da un giudice della Suprema Corte, e non da un qualunque ufficiale dell’esercito, per indagare se Bin Laden e altri capi di Al Qaeda sono stati aiutati da qualche elemento del governo pachistano; 2) esigere il totale rispetto delle condizioni enumerate nel decreto Lugar Kerry sul controllo delle forze armate da parte del governo civile, pena la soppressione dei finanziamenti; 3) sviluppare un piano per dare la caccia in Pakistan alle principali reti del terrore che finora hanno agito nella più totale impunità, quali le fazioni Haqqani, Quetta Shura e Lashkar-i-Taiba. Nel lungo periodo, quando ridurranno la loro presenza militare in Afghanistan, gli Stati Uniti potranno fare a meno dell’esercito pachistano, che oggi appoggia le truppe impegnate nel teatro di guerra. Il governo civile del Pakistan, il settore economico e tutti gli ambiti culturali saranno chiamati a svolgere un ruolo sempre più impegnativo in questa battaglia. Non dovranno lasciarsi distrarre da vuoti slogan anti americani o dalla tentazione di un nazionalismo esasperato. Per il Pakistan è giunto il momento della verità, l’occasione d’oro per rompere con un passato ambiguo e diventare un Paese moderno e normale. Potrebbe essere, questa, la sua ultima opportunità.
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