Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Siria: il regime utilizza Facebook per colpire meglio i manifestanti Russia e Cina continuano a ostacolare un possibile intervento per cacciare Assad
Testata:Il Giornale - Il Foglio Autore: Rolla Scolari - Redazione del Foglio Titolo: «Siria, Facebook è libero ma per incastrare i ribelli - La Libia e i gattini ciechi»
Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 13/05/2011, a pag. 16, l'articolo di Rolla Scolari dal titolo "Siria, Facebook è libero ma per incastrare i ribelli". Dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale dal titolo " La Libia e i gattini ciechi ". Ecco gli articoli:
Il GIORNALE - Rolla Scolari : " Siria, Facebook è libero ma per incastrare i ribelli "
Come da copione, come già successo in Tunisia, in Egitto, in Libia, la lotta del regime siriano per la sopravvivenza si combatte con i carri armati per le strade del Paese ma anche sui siti internet. Fin dall’inizio della rivolta, il governo di Bashar El Assad ha bloccato l’accesso in Siria alla stampa internazionale. I social network, da Twitter a Facebook passando per You Tube, sono diventati così l’unico modo per far circolare le immagini amatoriali delle violenze. Al contrario di quanto successo altrove, in un primo momento Facebook è diventato per il regime un modo per monitorare gli umori del Paese. A febbraio, infatti, quando le strade dell’intero mondo arabo erano in subbuglio e la Siria sembrava essere immune al contagio rivoluzionario, il governo Assad fece una mossa che fu interpretata allora come una concessione. Fu garantito l’accesso a Facebook e You Tube, bloccati dal 2007. Ma subito, gli esperti regionali di mass media misero in guardia i cyberattivisti. Con la legalizzazione dei social network il regime poteva infatti monitorare a suo piacimento le mosse dell’opposizione siriana, attiva sulla rete. Non sorprende così la testimonianza di un attivista siriano raccolta dal quotidiano britannico Daily Telegraph che racconta come la recente ondata di arresti, migliaia nell’ultima settimana, abbia minato le capacità organizzative dell’opposizione. I network degli attivisti su Facebook e Twitter sarebbero stati infiltrati dagli agenti del regime che avrebbero ottenuto sotto tortura le password di accesso. Anche se non in tutta la Siria è garantito l’accesso al web, alcune connessioni satellitari e il lavoro della diaspora siriana all’estero hanno mantenuto finora vivace l’attività dell’opposizione online. Diventa però ogni giorno più difficile, con i telefoni cellulari e le linee fisse disattivate, internet bloccato nelle aree della rivolta, telecamere installate nelle moschee di cittadine come Deir Zor, nell’est, organizzare nuove manifestazioni, scambiare informazioni, trovare luoghi di incontro e mettere online notizie e video delle repressioni. Il regime ha imparato anche a usare le armi dei suoi rivali. Migliaia di messaggi Facebook in sostegno del rais Assad sono arrivati sulle pagine della Casa Bianca e delle istituzioni europee. Sono stati creati profili Facebook di propaganda del governo che accusavano i manifestanti di «terrorismo» e minacciavano i cyberattivisti definendoli agenti al soldo della Cia. E ieri, centinaia di persone si sono riunite a Damasco, davanti all’ambasciata americana e alla sede dell’emittente del Qatar Al Jazeera, denunciando la «cospirazione» americana contro il regime. Gli Stati Uniti intanto alzano i toni. Per il capo del dipartimento di Stato americano, Hillary Clinton, in visita ieri in Groenlandia, la repressone del regime siriano è un segnale «di estrema debolezza». Indiscrezioni della stampa americana hanno fatto trapelare mercoledì informazioni sulla possibilità che Washington prenda presto una posizione più dura nei confronti di Damasco, arrivando perfino a dichiarare l’illegittimità di Assad. Manca però un consenso internazionale. L’alleato turco Recep Tayyip Erdogan, che poche ore fa aveva usato parole di dura condanna contro le violenze, ha detto sugli schermi della tv americana che «è ancora troppo presto per chiedere le dimissioni di Assad».
Il FOGLIO - " La Libia e i gattini ciechi "
Bashar al Assad
La guerra di Libia non è soltanto stolta e frettolosa, è anche dannosa. Per i siriani, soprattutto, quelli che vengono massacrati a centinaia dall’esercito dei fratelli Assad. Francia e Stati Uniti vogliono chiedere al rais siriano di andarsene, così come hanno fatto con il colonnello libico Gheddafi, e quindi si apprestano a sfoderare l’arsenale (per ora) diplomatico a loro disposizione. Ma quanto sarà difficile convincere il Consiglio di sicurezza dell’Onu, questa volta? I russi e i cinesi, che si sono rassegnati a non ostacolare l’imposizione di una “no fly zone” sul cielo libico, non vogliono ripetere lo stesso errore. Quella risoluzione, la 1.973, è un precedente inamovibile nella coscienza di Mosca e Pechino (e di molti altri, che però non siedono nel Consiglio di sicurezza): è stata stiracchiata, adattata, manovrata, ignorata, sbandierata, soprattutto disattesa. In Libia non c’è soltanto una “no fly zone”, c’è una campagna di guerra volta al “regime change”, ci sono bombardamenti continui contro i compound della famiglia Gheddafi, c’è una caccia all’uomo sempre mascherata dietro alla protezione dei civili, alla “missione umanitaria”. I cinesi e i russi non sanno più come mostrare il loro dissenso, e i loro timori. Siccome non sono riusciti a riconvocare il Consiglio di sicurezza per sancire – o non sancire – con una risoluzione l’escalation delle operazioni in Libia, ora si guardano bene dal mostrare la benché minima iniziativa in Siria. E tanto per cominciare Mosca non ha nemmeno voluto rispondere all’invito per una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza per parlare del regime di Damasco. I siriani pagano la guerra frettolosa contro Gheddafi.
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