Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Libia, Gheddafi vivo o morto ? Analisi di Carlo Panella, Redazione del Foglio, Davide Frattini
Testata:Libero - Il Foglio - Corriere della Sera Autore: Carlo Panella - Redazione del Foglio - Davide Frattini Titolo: «Forse la Nato ha ucciso il raìs, ma non lo sa - il Rais come Osama. È lecito eliminarlo?»
Riportiamo da LIBERO di oggi, 11/05/2011, a pag. 1-15, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Forse la Nato ha ucciso il raìs, ma non lo sa". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo dal titolo " Dai raid della Nato alla tregua dell’Onu, in Libia è tutto 'umanitario' ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 5, l'articolo di Davide Frattini dal titolo " Il Rais come Osama. È lecito eliminarlo? ". Ecco gli articoli:
LIBERO - Carlo Panella : " Forse la Nato ha ucciso il raìs, ma non lo sa "
Carlo Panella
La confusione regna sotto il cielo di Tripoli. Ieri, a inizio pomeriggio la Nato, per bocca del brigadiere generale Claudio Gabellini, ha dichiarato di «non avere alcuna prova che Gheddafi sia vivo o morto». Il raìs è però stranamente taciturno da molti giorni e le voci si infittiscono. Poco dopo, sempre le agenzie hanno effettuato un nuovo lancio «Tripoli ancora sotto attacco. Gli aerei Nato hanno bombardato obiettivi in varie zone della capitale libica tra i quali potrebbe esserci anche la residenza-bunker di Gheddafi a Bab al Aziziya ». Sempre il brigadiere generale Claudi Gibellini ha aggiunto: «Solo nell'ultima settimana abbiamo ingaggiato vari sistemi lanciamissili, oltre a centri di comando e controllo, armamenti antiaerei, bunker militari, depositi di munizioni, carri armati e veicoli blindati». Il punto è che la risoluzione Onu prevede solo la «difesa dei civili» e invece la Nato, la mette in pratica con azioni di guerra totale, sostenendo che per difendere i civili, bisogna attaccare e distruggere i militari. Questa strategia dell’“im - plicito”, questa bizantina estensione del mandato Onu è sbagliata e dannosa perché priva di chiarezza politica. La riprova è che i ribelli di Bengasi - totalmente incapaci di contrastare le truppe di Gheddafi, come hanno ampiamente dimostrato - sono venuti in Italia e in Europa sostenendo che «è implicito» che i paesi Nato, Italia inclusa, «per difendere i civili» devono fornire loro armamento pesante d’attacco e un domani sicuramente sosterranno che «è implicito» che gli eserciti Nato devono sbarcare con truppe di terra in Libia e sconfiggere sul campo Gheddafi al posto loro. Sempre, naturalmente «per difendere i civili». Si tratta, per inciso, degli stessi ribelli di Bengasi che hanno dato ieri notizia della morte durante la fuga del portavoce di Gheddafi Mussa Ibrahim, riprova dello sgretolamento del regime, in perfetta contemporanea… con la conferenza stampa dello stesso Ibrahim in un albergo di Tripoli. Come si vede, lo scenario della guerra libica è ormai dominato da una logica da azzeccagarbugli, da interpretazioni leguleie e da strategie non trasparenti. È infatti chiaro che la Nato ha più volte tentato di far fuori Gheddafi - uccidendo peraltro suo figlio Selim al Arabi- e che però lo nega. Ora, la guerra, è una cosa drammatica e seria. Lo è per i libici e lo è soprattutto per noi, che possiamo accettare di parteciparvi ma che però pretendiamo estrema, totale, assoluta chiarezza di obiettivi, sacrifici, azioni mirate ad uccidere chi e per quale ragione. Senza trucchi, senza infingimenti, senza deduzioni “implicite”. George W. Bush, quando lanciò la guerra in Afghanistan e in Iraq diede indicazioni strategiche chiarissime e parlò chiaramente della volontà di imporre un “regime change” in Afghanistan e in Iraq, tanto che preparò, prima di lanciarla, gli accordi con le forze di opposizione a cui poi affidò il governo dei Paesi (che sono poi state confermati dal libero voto degli afgani e iracheni più volte). La Nato invece dà indicazioni strategiche le più confuse possibili (e il nuovo governo di Bengasi non lo ha preparato, ma subìto). La confusa guerra contro Gheddafi è all’insegna del poco nobile “tirare il missile e nascondere la mano”; cercare di uccidere Gheddafi e sostenere che si vogliono colpire i computer. Un gravissimo errore non solo sotto il punto di vista etico - e in guerra l’etica ha un ruolo fondamentale - ma anche sotto quello politico, perché la democrazia impone che le guerre si facciano con piena trasparenza. Non con le contorsioni lessicali.
Il FOGLIO - " Dai raid della Nato alla tregua dell’Onu, in Libia è tutto 'umanitario' "
Libia
Roma. La Nato bombarda Tripoli, per colpire l’apparato bellico del regime di Muammar Gheddafi e finge di non occuparsi delle sorti del colonnello – “non sappiamo se è vivo o morto, e non ci interessa”, ha dichiarato ieri. Le Nazioni Unite – che hanno dato mandato agli umanitaristi frettolosi dell’Alleanza atlantica di difendere la popolazione libica – chiedono un cessate il fuoco immediato. Che cosa intendono per “fuoco”? Anche i bombardamenti autorizzati con la risoluzione 1973 del 17 marzo? Chissà. Le gestione della guerra di Libia è diventata complicata anche per i suoi sostenitori. Valerie Amos, che è a capo del coordinamento per gli Affari umanitari, dice che le sanzioni alla Libia sono strutturate in modo così complesso che non arriva cibo ai libici (ci sono riserve per altri due mesi), cioè alla popolazione che andrebbe protetta e che invece rischia di morire di fame. Nella notte tra lunedì e martedì, ci sono stati otto bombardamenti in tre ore su Tripoli. Gli obiettivi non sono chiari: sono state colpite le sedi della tv di stato e dell’agenzia di stampa ufficiale del regime, ma il governo sostiene che sarebbe stata danneggiata anche l’Alta commissione per l’infanzia ed esplosioni sono state registrate vicino al bunker di Bab al Aziziyah, in cui sarebbe rinchiuso il colonnello Gheddafi. Un portavoce dell’Alleanza atlantica si è affrettato a dire che l’obiettivo del raid non è Gheddafi, “noi non prendiamo di mira singoli individui”, ma piuttosto “le centrali libiche di comando e controllo”, in modo da “ridurre il più possibile le capacità del regime di colpire i civili”. Ma la caccia all’uomo (e alla sua famiglia, un figlio del colonnello è già rimasto ucciso, con tre nipoti) è sempre più evidente, anche se la Nato finge che non sia così. Il regime change a Tripoli è uno dei risultati attesi dalla missione (pure se non è esplicitato nella risoluzione dell’Onu), come hanno detto più volte i leader della campagna libica. L’efficacia dei raid è controversa. Secondo il New York Times, i bombardamenti stanno ottenendo risultati per i ribelli, per il Los Angeles Times “non si vede la fine dello stallo”. Dal 30 aprile, il giorno in cui è morto il figlio, Gheddafi non è più apparso in pubblico. Invece i suoi aerei hanno violato la “no fly zone” (cioè l’unica disposizione decisa insieme all’Onu, il motivo per cui la Nato si è mossa, per intenderci) a Misurata, sabato scorso, colpendo quattro depositi di petrolio e bruciando così riserve per i prossimi tre mesi. Gheddafi, che fin dall’inizio del conflitto ha mostrato grande flessibilità nella sua tattica di guerra, ha utilizzato per il blitz piccoli aerei solitamente usati per spargere pesticidi. La Nato ha reagito con i raid sulla capitale, dopo che il segretario generale Anders Fogh Rasmussen aveva detto che il colonnello avrebbe presto capito che gli conviene togliersi di mezzo con una certa velocità, “non c’è futuro per il suo regime”. E mentre al Arabiya si ostina a propagandare la fine imminente del colonnello dando voce a sparute manifestazioni anti regime a Tripoli, i ribelli avrebbero ottenuto il primo vero risultato dall’inizio delle operazioni alleate: sono riusciti a cacciare i lealisti del regime fuori da Misurata, l’enclave da sempre capitale commerciale del paese in cui si combatte da tempo, perché è cruciale per gli approvvigionamenti di Tripoli. L’obiettivo è allontanare le forze del colonnello di almeno 20 chilometri dalla città, in modo che non possano più tirare missili Grad contro gli uomini dell’opposizione. Secondo le fonti del New York Times, i ribelli ce la stanno facendo, così come conquistano terreno e mezzi sia a Brega sia ad Ajdabiya. La Corte penale internazionale ha annunciato la preparazione di un mandato di cattura contro Gheddafi “per crimini di guerra e contro l’umanità”, mentre l’Onu chiede una tregua, che dovrebbe riguardare tutti, attacchi del regime e attacchi della Nato. Una tregua “umanitaria”, naturalmente
CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Il Rais come Osama. È lecito eliminarlo? "
Muhammar Gheddafi
Alessandro Magno insegue e non dà tregua a Dario III per sigillare la conquista della Persia. I romani impiegano vent’anni per ottenere il cadavere di Annibale (suicida) dopo averlo braccato di esilio in esilio e di rifugio in rifugio. La prima volta che gli americani spediscono le truppe all’estero per colpire un capo avversario è nel 1885: i soldati del 6 ° Cavalleria, preceduti da duecento guide indiane, attraversano la Sierra Madre e il confine con il Messico. L’obiettivo è catturare Geronimo (lo stesso nome dato in codice a Osama Bin Laden) e le sue bande di Apache. Finire il capo nemico per finire la guerra. L’uccisione di Osama non è bastata per ora alla Casa Bianca a dichiarare la vittoria in Afghanistan e a ritirare il contingente, anche se è quello che molti deputati e senatori chiedono: colpirne uno per riportarne a casa centomila. E il dilemma strategico delle decapitazioni, della caccia a un uomo solo, resta aperto in Libia, dove la Nato ripete di non voler ammazzare Muammar Gheddafi, eppure ci va molto vicino con i bombardamenti. La risoluzione 1973 delle Nazioni Unite, al paragrafo 4, autorizza gli Stati membri «a prendere tutte le misure necessarie per proteggere i civili» . La formula spinge Robert Barnidge Jr, docente di Legge all’università di Reading, a sostenere su Politico: «Se il mandato del Consiglio di sicurezza può essere realizzato solo mirando al leader libico, allora colpirlo è permesso per fermare i massacri. E’ il comandante supremo delle forze armate e guida una dittatura con un potente apparato militare» . Jackie Ashley non trova invece giustificazioni nel testo: «Non dà il via libera all’invasione — scrive sul quotidiano britannico Guardian— e ancormeno agli omicidi mirati. In guerra la legge internazionale è tutto quello che abbiamo. O l’Onu conta oppure no. Non ci sono vie di mezzo e interpretazioni possibili» . Vladimir Putin, primo ministro russo, fa notare la differenza tra «imporre la no fly zone e bombardare ogni notte i palazzi dove vive Gheddafi. Chi ha dato alla Nato il diritto di condannare qualcuno a morte?» . Alain Juppé, il ministro degli Esteri francese, nega che uccidere la Guida della Rivoluzione, il titolo onorifico auto-elargito, sia l’obiettivo della missione. Così ha garantito pure Barack Obama davanti al Congresso: gli americani — come la maggior parte degli alleati — vogliono che Gheddafi se ne vada, ma in pubblico spiegano che il cambio di regime può avvenire anche con metodi diversi da quelli militari. «Confrontate la linearità del raid contro Osama con un evento successo ventiquattr’ore prima: numerosi missili hanno colpito una villa a Tripoli, uccidendo uno dei figli e tre nipotini di Gheddafi — commenta il Washington Post in un editoriale —. La morte di Bin Laden è stata annunciata con orgoglio dal presidente Obama, mentre la Nato si è perfino rifiutata di rivelare quale Paese avesse condotto l’attacco. Annientare o catturare il leader di Al Qaeda è stato un obiettivo americano per dieci anni. Noi crediamo che colpire Gheddafi e i suoi figli sia altrettanto legittimo» . A metà degli anni Settanta, la commissione Church passò sessanta giorni ad ascoltare settantacinque testimoni sulle macchinazioni della Cia per eliminare (o provarci) leader stranieri, da Patrice Lumumba in Congo a Ngo Dinh Diem nel Vietnam del Sud, da Rafael Trujillo nella Repubblica Dominicana a Fidel Castro sull’isola di Cuba. «I senatori nel documento finale — scrive Jim Rasengerger sul New York Times— dichiarano che questi assassini violano i precetti morali fondamentali del nostro stile di vita. Gheddafi non rappresenta una minaccia diretta agli Stati Uniti, o almeno non lo era fino a quando non sono cominciati i bombardamenti della Nato. E’ difficile comprendere perché tentare di uccidere Castro con un sigaro avvelenato fosse sbagliato e cancellare il Colonnello con una bomba intelligente sia giusto» . Dopo la fine della Guerra Fredda — commenta Benjamin Runkle, ex parà e funzionario del Pentagono — «sono gli individui e non gli Stati a rappresentare una minaccia agli interessi strategici delle nazioni» . Lo storico britannico Simon Schama fa un parallelo con gli ufficiali tedeschi che complottarono per ammazzare Adolf Hitler. «Se esaltiamo loro come degli eroi, non dovremmo considerare così problematico provare a eliminare Gheddafi» .
Per inviare la propria opinione a Libero, Foglio, Corriere della Sera, cliccare sulle e-mail sottostanti