Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 09/05/2011, a pag. 14, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo " Egitto in fiamme. Complimenti a chi ha cacciato Mubarak ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 15, l'intervista di Cecilia Zecchinelli a Mohammed Sabreen, vice direttore di al Ahram, dal titolo " Dietro le violenze, i salafiti nemici della democrazia ". Dalla STAMPA, a pag. 7, l'intervista di Francesca Paci a Youssef Sidhom dal titolo " Con il crollo del regime i salafiti sono più forti ".
Ecco i pezzi:
Il GIORNALE - Gian Micalessin : " Egitto in fiamme. Complimenti a chi ha cacciato Mubarak "

Gian Micalessin
Sognavate un Egitto riformatore e tollerante? Volevate un Egitto modellato sui buoni propositi e sugli ispirati sentimenti espressi dai rivoluzionari di Facebook e Twitter? Eccovi accontentati. Eccolo qua l’Egitto fresco di Rivoluzione.L’Egitto del dopo Mubarak dove i fondamentalisti islamici sono padroni della piazza, assaltano i quartieri copti del Cairo, bruciano due chiese cristiane in una notte e danno vita a scontri e scorrerie armate costate tra sabato e domenica 12 morti e oltre 200 feriti. Ma se queste vi sembran bagatelle consolatevi. Il peggio probabilmente deve ancora venire. Il peggio arde sotto la brace di una nuova politica estera ispirata e dettata da Nabil El Arabi, un ministro degli esteri fieramente anti israeliano che punta al riavvicinamento con l’Iran, alla legittimazione di Hamas e a nuovi rapporti con lo Stato ebraico. Un programma politico pericolosamente in linea, insomma, con le aspirazioni di quanti in Egitto sognano la cancellazione del trattato di pace con Israele firmato dal presidente Anwar Sadat.
A meno di tre mesi dall’addio al Faraone l’avventata rivoluzione egiziana si profila insomma come un avventato e rovinoso salto nel buio. Un buio minaccioso come quello della notte di sabato quando centinaia di militanti integralisti armati di bottiglie molotov, spranghe e coltelli avanzano verso il quartiere di Imbaba, circondano le chiese copte di Santa Mena e quella poco di distante della vergine Maria. Lo slogan «Con il nostro sangue e la nostra anima difenderemo l’Islam» è la riedizione di quello usato nei giorni della Rivoluzione. Stavolta però non serve a condannare l’autoritarismo o ad inneggiare alla democrazia. Stavolta serve a propagare l’odio contro i cristiani copti colpevoli di rappresentare il dieci per cento della nazione, di vivere fianco a fianco ai musulmani, di possedere chiese e luoghi di culto. Ma la fratellanza e la solidarietà così dimoda durante la rivoluzione di piazza Tahrir quando tanti illusi cristiani s’inginocchiavano a fianco dei fratelli musulmani sono acqua passata. Il nuovo sentimento quando va male è quello dell’odio. Quando va bene quello dell’indifferenza. L’odio di una folla mossa dalle voci diffuse ad arte che vogliono una donna prigioniera di una delle due chiese copte per impedirle di convertirsi all’islam. L’indifferenza di una polizia e di un esercito che per molte ore non si fanno vedere e quand’arrivano restano a guardare i cristiani massacrati, le chiese in fiamme, i fondamentalisti padroni della piazza.
Con il senno del giorno dopo, a sangue ormai sparso e chiese ridotte in cenere il Consiglio Supremo delle Forze Armate annuncia ieri mattina il deferimento ad una corte militare dei 190 arrestati dopo i disordini di sabato notte. Ma in tanta confusa incertezza è difficile dire se il deferimento alla giustizia militare sia poi una garanzia d’equilibrio e d’imparzialità.Anche perché nessuno in questo momento è in grado di dire chi siano e cosa vogliano i generali al potere. Potrebbero essere i figli di quello stesso esercito che con Mubarak garantiva la pace con Israele e la lotta ai fondamentalisti. Ma potrebbero anche essere l’espressione di una componente militare infiltrata da elementi islamici pronta a stringere un patto di ferro con i Fratelli musulmani. I primi passi dell’esecutivo nominato dal comitato «militar-rivoluzionario» non inducono certo all’ottimismo. Soprattutto se si esaminano le iniziative di Nabil El Arabi, il ministro degli Esteri che in due mesi ha letteralmente ribaltato la politica internazionale dell’Egitto. Conosciuto da sempre per le sue posizioni poco concilianti nei confronti d’Israele,El Arabi ha esordito lavorando alla riconciliazione di Hamas e Fatah senza informare americani e israeliani. Non pago di aver spiazzato Washington e aver restituito legittimità politica a Hamas senza manco chiedergli di rinunciare alla lotta armata il nuovo ministro ha anche fatto riaprire il valico di Rafah, il passaggio tra Gaza e il Sinai chiuso da Mubarak per impedire il transito di armi e finanziamenti destinati a Hamas. E ora, come ha spiegato sabato in un’intervista al Washington Post , lavora per aprire un nuovo capitolo nelle relazioni con l’Iran interrotte oltre 30 anni fa. Un capitolo già aperto un mese fa quando il nuovo Egitto di El Arabi e generali ha aperto le chiuse del canale di Suez a una nave da guerra iraniana.
CORRIERE della SERA - Cecilia Zecchinelli : " Dietro le violenze, i salafiti nemici della democrazia "

Mohammed Sabreen è vicedirettore del più diffuso quotidiano egiziano e del mondo arabo, il semi-governativo Al Ahram. Noto per le sue analisi anche su alcuni media internazionali, Sabreen ha fatto parlare molto di sé firmando l’editoriale di «scuse al popolo egiziano per 30 anni di menzogne» imposte dalla censura, pubblicato in prima pagina dopo la caduta di Mubarak. Sostenitore convinto del nuovo corso, musulmano liberal, si occupa anche della «questione copta» riesplosa negli ultimi tempi. «In realtà è la questione salafita ad essere riemersa. Tensioni violente tra le comunità ci sono sempre state ma la rivoluzione aveva visto il momento più magico proprio nel loro superamento, con cristiani e musulmani che pregavano vicini in piazza Tahrir. Ma la fine di 30 anni di dittatura ha concesso un’ampia libertà a tutti, compresi gli estremisti che esistono ovunque, anche tra i cristiani. E’ molto allarmante, ma forse inevitabile. L’importante è che il governo e il Consiglio militare abbiano reagito con molta durezza, senza tollerare che nessuno infranga le leggi. Gli autori delle violenze saranno giudicati senza discriminazioni di fede o politica. Sta già succedendo con gli arresti e i processi agli uomini del vecchio regime, Mubarak compreso» . Ma chi sono i salafiti oggi? E che rapporti hanno con i Fratelli musulmani? «Sono estremisti fuori dal tempo, che per anni hanno respinto la democrazia e i partiti come prodotti dell’Occidente e ora vogliono perfino crearne uno. Il Paese è moderato ma loro fanno molto rumore e alle elezioni potrebbero arrivare anche al 10%, contro un 20%della Fratellanza, che prende le distanza da loro, e viceversa. Ma stiamo attenti: i Fratelli sono opportunisti, potrebbero in qualche modo utilizzare i salafiti per poi presentarsi come "la faccia onesta"dell’Islam, come l’alternativa "civile". Vedremo» . Circolano molte teorie complottiste sui salafiti: manovrati dall’ex partito del raìs o persino dai sauditi. Che pensa? «I sauditi non hanno apprezzato la caduta dell’amico Mubarak, nè le recenti aperture del Cairo verso Teheran. Sono però troppo intelligenti per non capire che un Egitto stabile è nell’interesse dell’intera regione, Golfo compreso. E anche loro hanno il problema dei salafiti. Non escludo invece che a giocare con loro e a manovrarli siano gli apparati di sicurezza che facevano capo all’ex ministro degli Interni Habib Al Adly. Sono quelli che hanno represso nel sangue ogni opposizione e poi hanno perso di più. E nell’indagine sulla strage copta di Capodanno ad Alessandria sono emerse accuse precise contro di loro» . Si parla anche di contro rivoluzione. Secondo lei c’è un rischio concreto? «Non penso che nessuno possa dirottare la rivoluzione ormai. Avvenimenti come questi scontri interreligiosi sono pessimi, ma il nuovo corso proseguirà. La sola cosa che temo è che l’Occidente, che tanto aveva ammirato le rivoluzioni qui e in Tunisia, ci abbandoni. Questi due Paesi hanno un assoluto bisogno dell’aiuto dell’Europa e degli Usa per rilanciare l’economia, chiave della transizione verso la democrazia. L’Italia aveva proposto un Piano Marshall, mi pare, per creare posti di lavoro e stabilità. Bene, che lo faccia, e in fretta. Non resti incastrata in Libia ignorando che in Tunisia e in Egitto le difficoltà sono ancora enormi. Se l’Europa non se ne rende conto ora, lo rimpiangerà amaramente in futuro» .
La STAMPA - Francesca Paci : " Con il crollo del regime i salafiti sono più forti"

Youssef Sidhom
Da anni Youssef Sidhom denuncia la discriminazione dei copti sul settimanale El Watani, lo storico giornale cristiano-egiziano di cui è direttore. All’indomani della rivoluzione aveva sperato d’occuparsi d’altro, invece la situazione sembra essersi aggravata.
L’8 marzo 13 morti nel quartiere copto di Al Moqattam, ieri 12 morti a Embaba. Cosa succede al Cairo?
«Da due mesi si ripetono incidenti del genere. I copti sono terrorizzati e si chiedono dove sia la polizia, dove sia la sicurezza, cosa faccia l’esercito. Ieri per la prima volta alcuni di loro sono scesi in piazza urlando che dal proprio punto di vista si stava meglio sotto il giogo di Mubarak».
È così?
«Per quanto riguarda la sicurezza sì. Durante il regime estremisti e salafiti avevano ben poco margine di manovra, erano tenuti sotto controllo».
Eppure in piazza Tahrir cristiani e musulmani sventolavano insieme la bandiera nazionale. Tutto finito?
«La solidarietà nata in piazza Tahrir resiste. Almeno per ora. Dopo l’assalto alcuni musulmani hanno formato una catena umana intorno alla chiesa di Santa Mena. Insisto molto con i copti perché non raccolgano la provocazione. L’offensiva salafita è una novità degli ultimi due mesi, vogliono seminare l’odio settario».
In realtà i copti non se la passavano bene neppure prima del 25 gennaio. La strage di Capodanno ad Alessandria è solo l’ultima di una lunga lista. Non è cambiato nulla?
«I copti erano socialmente emarginati e bersagliati dai fanatici anche prima, è vero. Ma alla caduta del regime hanno accantonato le proprie recriminazioni certi che fosse giunto il momento degli egiziani, un solo popolo. Tutto si aspettavano fuorché la loro condizione potesse peggiorare».
Cosa vogliono i salafiti?
«Sono seguaci dell’Islam ancestrale, infiltrati dall’Arabia Saudita che diffondono una lettura oscurantista del Corano. Non hanno un’agenda politica, infatti all’inizio consideravano la protesta haram, peccaminosa. Poi però sono balzati sul carro della democrazia per ritagliarsi uno spazio, ora dicono di voler fondare un partito. Anche i Fratelli Musulmani mantengono nel loro statuto il divieto per un copto di diventare Presidente, ma la loro ostilità è politica, quella dei salafiti è militare, violenta».
Riusciranno i sabotatori a far rimpiangere l’ancien régime?
«Non credo. Nonostante il terrore della comunità copta, la condanna dei musulmani moderati si è fatta sentire con forza. E ierifinalmente il Consiglio militare ha espresso la ferma volontà di combattere i salafiti».
Anche stavolta ad accendere la miccia è stata la presunta conversione all’Islam di una donna copta che voleva sposare un musulmano. Le unioni miste sono un serio problema, vero?
«Anche se ufficialmente le unioni miste non sono accettate, ci sono. I salafiti però diffondono bugie per aizzare gli animi: Al Azhar ha negato di aver ricevuto dalla donna in questione una richiesta di conversione. Era una balla».
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