Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 06/05/2011, a pag. 1-4, l'articolo di Carlo Panella dal titolo " Rastrellamenti siriani ". Da AVVENIRE, l'articolodi Vittorio Emanuele Parsi dal titolo " In Libia sì, in Siria e Bahrein no - Quei calcoli freddi".
Ecco i due articoli:
Il FOGLIO - Carlo Panella : "Rastrellamenti siriani "


Carlo Panella Bashar al Assad
Roma. Dopo una settimana di rastrellamenti feroci, la colonna formata da una dozzina di carri armati e una ventina di camion trasporto truppe ha lasciato ieri Deraa, la capitale della rivolta siriana. Alcune centinaia di soldati della quarta divisione diretta da Maher el Assad sono comunque rimaste nella città, e verso mezzogiorno hanno stretto d’assedio la moschea al Omri, occupata da non meno di 250 oppositori.
Forzata la porta, i miliziani hanno arrestato tutti i presenti e l’imam della moschea, Sheikh Ahmad Sayyasana, che per settimane è stato il punto di riferimento della rivolta di una città che ha pagato il prezzo di almeno duecento vittime. Contemporaneamente, rastrellamenti di uguale ferocia sono stati scatenati a Rastan, a venti chilometri da Homs, con tecniche da legge marziale e con l’appoggio dell’artiglieria leggera dei blindati. Le forze schierate erano imponenti: ben trenta carri armati della Guardia repubblicana e una settantina di autocarri, per un totale di duemila militari.
Un trattamento simile è toccato a Banias, una città strategica perché sede della più importante raffineria del paese, e a Saqba, un sobborgo popolare della cintura di Damasco. Il presidente Bashar el Assad impiega una tecnica più raffinata, ma non meno feroce, rispetto a quella di suo padre, Hafez, che usò l’artiglieria per fermare la rivolta di Hama nel 1982, uccidendo cinquemila persone. Tutti i quartieri delle città sotto assedio sono rastrellati casa per casa, ci sono liste di sospetti fornite dalla polizia e i militari nelle strade sparano ad alzo zero contro tutti i manifestanti che cercano di contrastare o rallentare i rastrellamenti. Neanche gli ospedali sono risparmiati: l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo ha denunciato l’arresto nella corsia di un ospedale vicino a Latakia di Maher Abdellatif Sahiuni, un giovane ricoverato per trauma cranico, che è stato torturato perché fornisse i nomi dei partecipanti ai cortei nella zona (una quarantina i morti).
L’Osservatorio ha anche denunciato decine di sparizioni tra le persone arrestate dalla polizia nelle settimane scorse. Di loro non c’è più traccia. In Siria, una ventina di centri subiscono un trattamento da codice di guerra e gli oppositori sono trattati come “insorti al soldo di potenze nemiche”. Queste parole sono state impiegate dal vescovo cattolico caldeo di Aleppo, Antoine Audo, che ha definito gli oppositori “prezzolati e asserviti a interessi stranieri”. Audo ha aggiunto che “il 90 per cento della popolazione ama il nostro presidente e sta con il governo. Bashar el Assad sta facendo molto bene e difende il nostro paese con grande dignità”.
Monsignor Audo esprime una posizione di totale appoggio al regime che è comune a tutta la gerarchia cattolica e cristiana della Siria (il 10 per cento dei siriani è cristiano). Il totale e irresponsabile schiacciamento a favore di Bashar el Assad – che ovviamente comporterà gravissime conseguenze sui cristiani se mai il regime cadesse, come successo in identico contesto in Iraq) – si basa sulla piena partecipazione ai privilegi politici ed economici di cui gode la minoranza alawita al potere, e spiega in parte l’anomalia della rivolta siriana. A differenza di quanto accaduto in Tunisia, Egitto, Yemen e Libia, le due principali città siriane, Damasco e Aleppo, nei cui quartieri storici è concentrata la maggioranza dei cristiani, non sono state scosse da proteste e manifestazioni – che a Damasco si sono però estese a tutta la cintura suburbana, abitata da sunniti. In attesa di verificare se il movimento di protesta riuscirà ancora a esprimersi dopo la preghiera del venerdì, arrivano i primi, tardivi segnali di pressione su Bashar el Assad da parte degli Stati Uniti e dell’Ue.
Il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, ha confermato la decisione europea di applicare “sanzioni che comportino la restrizione alla circolazione di persone direttamente implicate nelle violenze, e la sospensione del negoziato Ue con la Siria”.
AVVENIRE - Vittorio Emanuele Parsi : "In Libia sì, in Siria e Bahrein no - Quei calcoli freddi"

Vittorio Emanuele Parsi
Sono settimane che le autorità della Siria e del Bahrein reprimono violentemente le proteste dei propri cittadini, con modalità assimilabili a quelle impiegate dal colonnello Gheddafi, che furono all'origine dell'intervento occidentale in Libia. Con il trascorrere del tempo e l'intensificarsi delle operazioni militari, torna a farsi legittimamente strada una domanda: perché il principio della responsabilità di proteggere invocato per giustificare l'uso della forza contro Gheddafi non trova la medesima applicazione in Bahrein o in Siria? Sulle motivazioni che hanno indotto ad agire in Libia, molto è stato scritto e detto, e non vorrei tornarci sopra. Mi preme solo sottolineare come proprio l'attentato di Marrakech ci rammenti quanto sia tuttora radicata e pericolosa l'internazionale del terrorismo di ispirazione qaedista, nonostante il duro colpo infertole con l'eliminazione di Osama Benladen, e quindi come la preoccupazione di non fornire spazio alla sua propaganda radicale, che ha sempre accusato l’Occidente di costituire il sistematico puntello di regimi corrotti e dittatoriali, si confermi oggi più che mai drammaticamente essenziale. Meno si è invece discusso sulle ragioni che hanno spinto verso una timidezza assai maggiore nei confronti della Siria e del Bahrein. Si tratta di due regimi tra loro molto diversi e con un posizionamento internazionale opposto. La Siria è una Repubblica laica, espressione di quel socialismo arabo di cui l'egiziano Nasser fu il principale protagonista, progressivamente trasformatasi nella dittatura personale della famiglia Assad. È il principale alleato dell'Iran, finanzia Hezbollah in Libano, è dichiaratamente ostile allo Stato di Israele e ha un posizionamento internazionale anti - occidentale. Il Bahrein è un emirato tradizionale, che ospita la principale base della V Flotta degli Stati Uniti, ha relazioni strettissime con l'Arabia Saudita e teme che l'Iran possa far leva sulla discriminata maggioranza sciita per realizzare il proprio disegno egemonico nel Golfo. Proprio nel ruolo internazionale che questi due Paesi ricoprono (in chiave non esclusivamente regionale) risiede la ragione principale che spiega l'estrema difficoltà di qualunque intervento nei loro confronti. Al di là di ogni altra considerazione, intervenire in Siria significherebbe inevitabilmente restare coinvolti nel grande e irrisolto conflitto arabo-israeliano. Basti pensare che, benché la Lega Araba si sia espressa con molta durezza anche nei confronti di Damasco, difficilmente potrebbe accettare il ridimensionamento di un Paese cruciale per tutto il Levante, che assegnerebbe a Israele un vantaggio tale da allontanare sine die qualunque prospettiva di uno Stato palestinese. Oltretutto, un tracollo del regime siriano e l'anarchia che ne deriverebbe rischierebbero di produrre un contagioso “effetto domino” sul Libano e probabilmente sulla Giordania, spingendo le fazioni libanesi ostili a Hezbollah a regolare i tanti conti aperti con quel gruppo (a iniziare dall'omicidio di Rafik Hariri), innescando una nuova guerra civile che potrebbe arrivare a coinvolgere lo stesso Israele. Intervenire in Bahrein comporterebbe il coinvolgimento nella grande "guerra fredda" arabo-iraniana, provocando la destabilizzazione dell'intera area del Golfo, e altererebbe l'equilibrio strategico a favore di Tehran. Parliamo cioè di Paesi la cui rilevanza sugli assetti regionali è determinante, che hanno un ruolo in vicende più complesse, che trascendono i propri confini nazionali e che registrano la competizione tra interessi occidentali, arabi, israeliani e iraniani, con intrecci tutt'altro che scontati. Questo non era e non è il caso della Libia. La fredda analisi dei "frutti" di quella guerra conferma che la maggior conseguenza extra-nazionale diretta è stata, finora, quella di provocare una temporanea impennata del flusso di migranti dalla Libia verso i Paesi vicini e, in minima parte, verso l'Italia e l'Europa.
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