Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La Turchia sempre meno presente sulla scena politica mediorientale, perchè? Analisi di Antonio Ferrari
Testata: Corriere della Sera Data: 06 maggio 2011 Pagina: 56 Autore: Antonio Ferrari Titolo: «La Turchia batte in ritirata aspettando Siria, Libia e palestinesi»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/05/2011, a pag. 56, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo "La Turchia batte in ritirata aspettando Siria, Libia e palestinesi".
Recep Erdogan
La Turchia rifiutava l’idea di essere un «modello» per il mondo arabo, preferendo considerarsi una fonte di ispirazione. Però il premier Recep Tayyip Erdogan, che frequenta l’ambizione come se fosse il più prezioso consigliere, aveva immaginato di diventare il confessore-ispiratore di tutti i leader regionali del mondo musulmano. Il presidente egiziano Mubarak ne era geloso perché entrambi condividevano l’alleanza (e gli aiuti in dollari) degli Stati Uniti. Gheddafi lo ascoltava. Al siriano Bashar el Assad, trattato con gli affettuosi rimbrotti di un fratello maggiore, aveva consigliato di avviare subito un robusto piano di riforme per evitare d’essere travolto dalle proteste popolari. Era quasi un invito «coatto» ad agire in fretta. Con i palestinesi il rapporto era specialissimo: a Gaza, a Hebron, e persino a Ramallah era il leader straniero più popolare. La bandiera turca sventolava accanto a quella palestinese. Tanta fama era collegata naturalmente all’asprezza di Erdogan, manifestata e reiterata, nei confronti di Israele, con il quale Ankara ha sempre un accordo di cooperazione, sostenuto dai militari di entrambe le parti. Si era vicini alla realizzazione di quella «profondità strategica» teorizzata dal ministro degli Esteri turco Davutoglu, convinto sostenitore di un’attenzione concentrata sul mondo musulmano, forse a scapito (ma il ministro smentisce) della volontà di proseguire il cammino di Ankara verso la Ue. Ora però qualcosa si è rotto e la superattiva Turchia sta prendendosi una pausa. È ovviamente soddisfatta dell’accordo tra Fatah e Hamas, si è raffreddata con Gheddafi. È diventata più ruvida anche con Assad. Ankara teme un’ondata di profughi dal confinante Paese arabo, e teme soprattutto che dalla Siria possa risvegliarsi il progetto autonomista curdo, cioè del popolo presente in quattro Paesi (Iraq, Iran e appunto Siria e Turchia) che non ha mai rinunciato all’idea di avere un proprio Stato. Ecco perché la Turchia, dopo tanto movimentismo, si è abilmente ritirata dal palcoscenico regionale. Per ora, almeno.
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