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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Foglio - La Repubblica Rassegna Stampa
05.05.2011 La differenza tra l’analisi e la retorica, il ragionamento e l’emozione umorale
Giuliano Ferrara commenta gli editoriali di Thomas Friedman e Barbara Spinelli

Testata:Il Foglio - La Repubblica
Autore: Giuliano Ferrara - Thomas Friedman
Titolo: «La chiacchiera viscerale d’occidente - Il futuro arabo»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/05/2011, in prima pagina, l'articolo di Giuliano Ferrara dal titolo " La chiacchiera viscerale d’occidente ". Da REPUBBLICA, a pag. 35, l'articolo di Thomas Friedman dal titolo " Il futuro arabo  ".
L'articolo di Barbara Spinelli a cui si riferisce Ferrara è stato pubblicato da Repubblica di ieri e ripreso da IC, per leggerlo, cliccare sul link http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=110&id=39583

Ecco i pezzi:

Il FOGLIO - Giuliano Ferrara : " La chiacchiera viscerale d’occidente "


Giuliano Ferrara

C’è chi ha Tom Friedman e chi ha Barbara Spinelli. E’ la differenza tra l’analisi e la retorica, la politica e la chiacchiera, il ragionamento e l’emozione umorale, un discreto amore per l’umanità e il narcisismo etico nella forma dell’umanitarismo, la cultura fredda e la cultura umida, la comprensione dell’umiltà del male e la ignoranza del carattere luciferino del perbenismo puritano. Due editorialisti, due giornali (il New York Times e Repubblica), due mondi. Friedman pensa all’ingrosso le stesse cose che pensa o affetta di pensare la Spinelli. La speranza è che ora i movimenti contro le tirannie arabo-musulmane facciano la loro parte: lotte pacifiche, in nome della dignità e della libertà umane, con l’obiettivo della democrazia costituzionale, insomma con l’assunzione di un modello di vita occidentale nelle condizioni storiche date. E questa speranza, che nessuna persona sensata può non condividere, dovrebbe stare salda su una percezione limpida, sebbene controversa e discutibile, della nostra identità. Ma per esporre la medesima tesi, i due partono da premesse opposte. Friedman, prima di dare la parola alla speranza del ballot, del principio di maggioranza come elemento risolutore del cambiamento di paradigma, dice dell’esecuzione di Bin Laden: “Abbiamo fatto la nostra parte. Abbiamo ucciso Bin Laden con un proiettile (bullet). Ora sta agli arabo-musulmani di fare la loro parte – uccidere il binladenismo con le elezioni (ballot) – vere elezioni, vere costituzioni, veri partiti politici e una politica di progresso”. Semplice, chiaro, efficace. Invece la Spinelli, e con lei Michele Serra che per l’occasione si fa cattolico romano, prova “più sconcerto che chiarezza, più vertigine che sollievo” di fronte al leone e profeta del terrorismo islamista giustiziato. Le sue contorsioni viscerali esprimono il ribrezzo di sé dell’intellighenzia europea legata a una visione apocalittica della realtà storica, che all’occidente riserva sistematicamente la parte dell’aggressore, anche quando sia aggredito: “Le guerre americane ed europee posteriori all’11 settembre” sono “gemelle” dell’offensiva terroristica, Guantanamo è fratello di Abu Ghraib, “terrorismo e guerra al terrorismo sono violenze sui popoli”, e via con tutta la litania di concetti la cui estrema e irrimediabile stupidità politica s’imbelletta, ultima grottesca e senile mascheratura ideologica, nelle ansie di cambiamento dei giovani di tutto il mondo. La chiacchiera emotiva dilaga. Il dialogo ne è la farcitura, i luoghi comuni ne sono l’ordito sociologico, il giornalese ne struttura il linguaggio. Di fronte a un fatto nudo e tragico, patetici negazionisti a parte, si staglia il gioco della personalità espansiva, tenera, compassionevole, repellente a ogni elemento di cultura storica e politica. Ciascuno lotta per il suo posto in prima pagina, come se l’esecuzione del più fiero nostro nemico, e del più prolifico tra gli assassini di crociati cristiani ed ebrei, oltre che di musulmani, fosse l’occasione ultima e propizia per la passerella delle opinioni in libertà. Le semplici domande di chi ama il mondo, anche il proprio mondo, e lo vuole libero dalla paura, dal terrore, dalla guerra fatta in nome di Dio, di chi riconosce agli Stati Uniti d’America e ai figli dell’America caduti in battaglia, in uno con i combattenti delle nazioni alleate, il crisma di una dura missione che ci riguarda direttamente, non interessano la ciacola sentimentale e pacioccona di chi prova vertigine e turbamento ora che Osama bin Laden e il suo fantasma sono stati eliminati. Pensate, lettori del Foglio, quale onore e delizia intellettuale rappresenta esserci sottratti per molti anni programmaticamente, senza cedimenti, con studio e senza ira, a questa poltiglia, a questa pappa del cuore che spaccia sensi di colpa punitivi, impossibili vie alternative, come una verità storica e una via ideologica alla speranza. Ama il tuo nemico, sii perfetto come il padre mio celeste: sono parole del discorso della montagna. Significano che il nemico esiste, che la perfezione divina agisce ed opera senza mai potersi incarnare nell’umanità gravata dal peccato e dalla storia, cui resta solo, ed è già molto, il paradosso cristiano, l’appello incoraggiante alla perfezione celeste che in terra è esclusa, perché il regno cristiano non è di questo mondo. Il contrario simmetrico della predicazione coranica e della pratica islamista nella storia del califfato maomettano. “E’ la formula performativa che non si è sentita, ad Abbottabad”, scrive narcisisticamente e malamente la Spinelli. Performativo o no, si è sentito uno sparo.

La REPUBBLICA - Thomas Friedman : " Il futuro arabo "


Thomas Friedman

C´è un unico aspetto positivo legato al fatto che Osama Bin Laden sia sopravvissuto per quasi dieci anni allo sterminio di massa al World Trade Center e al Pentagono che aveva organizzato ed è che ha vissuto abbastanza da poter vedere con i suoi stessi occhi molti giovani arabi ripudiare la sua ideologia. Ha vissuto abbastanza da vedere gli arabi insorgere pacificamente dalla Tunisia all´Egitto, dallo Yemen alla Siria per conquistare quella dignità, quella giustizia e quell´autogoverno che Bin Laden affermava potessero essere espugnati soltanto con una violenza omicida e un ritorno all´Islam puritano.
Noi abbiamo fatto la nostra parte. Abbiamo fatto fuori Bin Laden con una pallottola. Adesso arabi e musulmani hanno l´opportunità di poter fare la loro parte spazzando via il binladenismo alle urne (l´autore fa un gioco di parole altrimenti intraducibile con bullet pallottola e ballot voto a scrutinio segreto, ndt). Il che significa con autentiche elezioni, autentiche Costituzioni, autentici partiti politici, e autentica politica progressista.
Sì, in tutto il mondo arabo negli ultimi mesi ai "cattivi" è stato inferto un brutto colpo davvero, non soltanto ad Al Qaeda, ma anche alla sfilza dei dittatori canaglia, il cui fanatismo soft delle basse aspettative per i rispettivi popoli ha frenato e mantenuto arretrato il mondo arabo. Adesso, tuttavia, il vero interrogativo da porci è un altro: riusciranno le forze del vivere civile a organizzarsi, a essere elette e a iniziare a dar vita a un nuovo futuro arabo, diverso? Questa è la domanda che più conta oggi. Tutto il resto è parlare a vanvera.
Per comprendere fino in fondo questa sfida dobbiamo ricordare, ancora una volta, da dove ha avuto origine il binladenismo. Esso è nato dal patto col diavolo stipulato tra i Paesi che consumano petrolio e i dittatori arabi. Tutti noi - Europa, America, India, Cina - abbiamo trattato il mondo arabo come un agglomerato di grandi stazioni di servizio. Tutti noi abbiamo mandato un medesimo messaggio basilare ai petro-dittatori: continuate a garantirci l´afflusso di petrolio, tenete bassi i prezzi e non date troppo fastidio a Israele, e in cambio potrete trattate i vostri popoli come vi pare e piace, lontano da ogni sguardo, nelle zone più remote e oscure, dove non ficcheremo il naso. Bin Laden e i suoi seguaci sono il frutto di tutte le patologie che noi abbiamo permesso che germogliassero nelle aree più remote e oscure - compromettendo in tutto il mondo arabo la mancanza di libertà, l´empowerment femminile, l´istruzione.
Queste carenze hanno alimentato un profondo sentimento di umiliazione tra gli arabi nei confronti del divario accumulato rispetto al resto del mondo, un profondo desiderio di assumere il controllo sul proprio avvenire, una sensazione acuta di ingiustizia nelle loro vite di tutti i giorni.
Proprio questo ci ha colpito enormemente dei sollevamenti popolari arabi in Egitto e in Tunisia in particolare. Sono stati praticamente apolitici. Non hanno coinvolto alcuna ideologia. Sono sgorgati dalle ambizioni umane più fondamentali, quelle di dignità, giustizia, auto-governo. Una delle prime cose che hanno fatto gli egiziani - teniamolo a mente - è stato prendere d´assalto le stazioni di polizia, lo strumento dell´ingiustizia di regime. E giacché sono milioni gli arabi che condividono queste stesse aspirazioni alla dignità, alla giustizia e alla libertà, le rivoluzioni in corso non finiranno tanto facilmente.
Per decenni, in ogni caso, i leader arabi sono stati molto bravi a convogliare e dirottare tutta quella rabbia fremente contro gli Stati Uniti e Israele. È vero, anche l´atteggiamento di Israele in qualche caso ha fomentato negli arabi sensazioni di umiliazione e impotenza, ma non è stato la causa principale. Non importa. Mentre gli autocrati cinesi dicevano al loro popolo "Vi togliamo la libertà e in cambio vi diamo un´istruzione e uno stile di vita in costante miglioramento", gli autocrati arabi hanno detto "Vi togliamo la libertà e vi diamo il conflitto arabo-israeliano".
È da questa malsana area remota e oscura che è emerso Bin Laden. Perverso psicopatico e falso messia, egli ha predicato che soltanto con la violenza - soltanto distruggendo questi regimi arabi e i loro fiancheggiatori americani - il popolo arabo avrebbe posto fine alla propria umiliazione, ripristinato la giustizia e costruito il califfato, qualcosa di idealizzato e incorrotto.
Pochi arabi hanno dato un aiuto concreto a Bin Laden, ma in un primo tempo egli ha ottenuto un cospicuo aiuto passivo per la propria sfida all´America, ai regimi arabi e a Israele. Quando però Al Qaeda è stata messa in fuga, e una volta allo sbando ha investito buona parte delle proprie energie ad ammazzare musulmani che non si attenevano alle sue direttive, anche quell´aiuto passivo è sparito (tranne quello della demente leadership di Hamas).
In quel vuoto, senza nessuna speranza che qualcun altro accorresse al loro aiuto - in quel modo assolutamente strano e imprevedibile con il quale possono capitare queste cose - sembra che le opinioni pubbliche arabe di Tunisia, Egitto, Yemen e altri Paesi ancora si siano scrollate di dosso le loro paure e abbiano deciso di voler cambiare da sole quanto stava accadendo dietro le quinte e in zone remote e oscure, assumendo il controllo di ciò che stava accadendo sotto gli occhi di tutti.
La cosa più impressionante è che hanno deciso di farlo all´insegna di una parola che si sente ripetere assai spesso tra i ribelli siriani in questi giorni: "silmiyyah". "In pace". "Lo faremo pacificamente". Il contrario esatto di ciò che predica il binladenismo. Sono gli arabi stessi a dire, a modo loro, che non intendono essere martiri per Bin Laden né semplici pedine di Mubarak, Assad, Gheddafi, Bel Ali e compagnia bella. Vogliono essere "cittadini". Non tutti, naturalmente. Alcuni preferiscono identità più religiose e più settarie, ed è su questo che ci sarà battaglia.
Non possiamo azzardare previsioni di alcun tipo sull´esito finale di questo processo. Tutto ciò che possiamo auspicare, però, è che questa volta ci sia davvero una battaglia delle idee, che in una regione dove gli estremisti vanno fino in fondo e i moderati tendono semplicemente ad andarsene, questa volta le cose vadano in modo diverso, che i moderati siano tanto appassionati e dediti alla causa quanto gli estremisti. Se così sarà, in fondo all´oceano riposeranno sia Bin Laden sia il binladenismo.

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