Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/02/2011, a pag. 8, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Sfida tra il medico egiziano e l’informatico libico ", a pag. 3, l'intervista di Alessandra Farkas ad Alan Dershowitz dal titolo " Un errore legale occultare i dettagli in un caso simile ". Dall'OPINIONE l'articolo di Dimitri Buffa dal titolo " Il fantasma di Abbottabad e il segreto di Pulcinella". Da LIBERO, a pag. 11, l'articolo di Andrea Morigi dal titolo " Paura atomica: corsa per fermare le bombe dei terroristi ".
Ecco i pezzi:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Sfida tra il medico egiziano e l’informatico libico "

Osama bin Laden con Ayman al-Zawahiri
La Cia spera di trovare nei computer sequestrati ad Abbottabad la risposta più importante: Osama davvero dettava soltanto le linee strategiche e lasciava agli altri i dettagli operativi? Nuovi elementi— non ancora resi noti ma solo accennati — ipotizzano un coinvolgimento diretto di Bin Laden. Un risvolto decisivo anche per capire chi potrà essere il suo successore. — dal fronte afghano-pachistano arrivano notizie su una riunione del Consiglio qaedista per designare l’Emiro, l’uomo che dovrà raccogliere la spada lasciata da Bin Laden. Gli specialisti fanno alcuni nomi incrociando quanto c’è nei loro dossier con gli sviluppi di questi mesi. Il candidato più citato è ovviamente Ayman al-Zawahiri. Sessant’anni, egiziano, ha condiviso l’avventura qaedista e in questi anni ha mantenuto acceso il fuoco della propaganda. In suo favore: ha cominciato l’azione terroristica negli anni 80, dunque ben prima di Bin Laden; ha forgiato rapporti nell’arena jihadista; si è conquistato un ruolo mediatico che ha cercato di usare per imporsi come ideologo; piace all’ala più estrema. A suo sfavore: non ha preparazione religiosa e carisma; è considerato da alcuni «un usurpatore» che si è legato ad Al Qaeda per convenienza; è stato ripudiato da leader storici del movimento egiziano; è ritenuto settario, tant’è vero che ha dedicato risorse e tempo a polemizzare con i «riformisti» . In conclusione: Zawahiri tende a dividere e non a coagulare. Più soft negli atteggiamenti, ma non nella sostanza Abu Yahya al-Libi. Come dice il nome viene dalla Libia e si è fatto strada all’interno del Gruppo combattente libico. Dopo lunghi studi coranici in Mauritania si è spostato in Afghanistan. Per gli americani è ossessionato dalla «ortodossia religiosa e dalla purezza» . Grande oratore, è molto abile con il computer: tra il 2000 e il 2001 era il webmaster per i talebani. Catturato nel 2002 dai pachistani, è stato consegnato agli americani che lo hanno rinchiuso nella prigione di Bagram (Afghanistan). C’è rimasto per tre anni, poi è riuscito ad evadere trasformandosi in una «primula rossa» . Una vicenda personale e clamorosa che gli ha portato l’ammirazione dei mujaheddin. Da allora è aumentata la frequenza dei suoi sermoni audio e video. Una vera star. Per l’esperto Jarret Brachman, i qaedisti lo presentano come «un pensatore moderno e un combattente» . L’ultimo messaggio risale al 12 marzo di quest’anno ed è un appello ai suoi connazionali affinché creino uno Stato islamico in Libia. Per alcuni esperti il lato debole è l’età: essendo nato nel 1963 è forse «troppo giovane» per sedere al fianco di vecchi combattenti che prima hanno affrontato i sovietici e poi i marines. È ancora più giovane — è del ’ 73 — Anwar al-Awlaki, un imam ambizioso nato in New Mexico da una famiglia dello Yemen dove oggi è tornato. Pochi credono nelle sue quotazioni: è solo un predicatore del web, è troppo legato al teatro della penisola arabica, non ha la statura dei veterani. Si è comunque fatto un nome sfruttando le operazioni tentate dalla branca yemenita di Al Qaeda. Avrebbe, tra l’altro, arruolato il nigeriano con le mutande bomba. È un istigatore «regionale» , che ha contatti con i capi storici ma il cui ruolo è stato ingigantito dall’eccessiva attenzione da parte degli Usa. Se la designazione del successore non è arrivata immediatamente, spiega l’intelligence, è perché i quadri di Al Qaeda temono di essere individuati: «Non sanno quello che conosciamo» . Sospettano che gli americani siano arrivati a Bin Laden perché qualcuno ha tradito. Dunque si sono fatti prudenti ed hanno evitato — almeno fino a poche ore fa— di uscire allo scoperto. Gli unici sono stati quelli dello Yemen, ma loro sono lontani dal «cuore» . L’organizzazione, nel medio periodo, potrebbe adottare un sistema doppio: la guida è assicurata dal comitato dove è riconosciuto un ruolo preminente ad uno dei dirigenti, mentre gli «affiliati» — dal Nord Africa all’Iraq — continuano perseguendo obiettivi locali e, quando sono nelle condizioni, quelli internazionali. Questo permetterebbe ad una branca regionale di «vendicare» il Califfo, portare in dote l’attacco alla casa madre e crescere nella considerazione di chi vive nel segno della Jihad. Altro aspetto, importante, è quello della comunicazione. Ora che Osama è caduto serve rivitalizzarla, magari pescando nell’archivio vecchi video del leader e accompagnarli a nuovi proclami. A Washington, infatti, sospettano che Osama abbia registrato un filmato da diffondere in caso di morte. Rispetto al passato, i propagandisti di Al Qaeda sono apparsi sotto tono, anche se hanno inventato un nuovo logo e usato come testimonial proprio Al Libi. Forse il loro «animatore» principale, il californiano convertito "Azzam l’americano"(alias Adam Gadahn), ha avuto dei problemi. Si è anche parlato di un suo possibile arresto. Per l’intelligence il silenzio non può continuare all’infinito. E per quanto immersi nella clandestinità i qaedisti dovranno reagire per dimostrare che la «carovana della Jihad» è in piena marcia anche senza la sua guida spirituale.
CORRIERE della SERA - Alessandra Farkas : " Un errore legale occultare i dettagli in un caso simile "


Alan Dershowitz, Alessandra Farkas
«L’assassinio di Osama Bin Laden è stato gestito in maniera catastrofica dall’inizio alla fine. La decisione di non pubblicare le foto post-mortem del leader di Al Qaeda scattate dai Navy Seals è solo l’ultimo di una lunga serie di errori commessi dal nostro presidente» . Alan Dershowitz, il leggendario avvocato di Harvard considerato il principe del foro Usa, è da sempre un obamiano convinto. Ma dopo l’ultimo colpo di scena nell’interminabile saga che da giorni tiene l’America col fiato sospeso, non riesce a trattenersi. «Gli errori giudiziari commessi in questo caso ci perseguiteranno per anni, forse decenni a venire» , spiega Dershowitz, immortalato da Ron Silver nel 1990 nel film «Il Mistero Von Bulow» . «Parlo da avvocato— tiene a precisare— o meglio da penalista che ha presieduto al più alto numero di processi per omicidio di qualsiasi altro legale al mondo» . In cosa ha sbagliato il presidente Obama? «Ha deciso di trattare il leader di Al Qaeda in maniera diversa rispetto a tutti gli altri soggetti negli innumerevoli casi criminali che affollano i tribunali Usa. L’ha arbitrariamente privato di un soggiorno all’obitorio e di un’autopsia con cui un medico legale poteva stabilire con certezza scientifica le circostanze della sua morte. Appurando il punto esatto d’entrata e di uscita delle pallottole e stabilendo se gli hanno sparato di fronte o da dietro, da fermo o in movimento. Ogni minimo dettaglio del cadavere avrebbe dovuto essere meticolosamente fotografato, com’è prassi nei sistemi giudiziari di tutto il mondo, e invece non è successo» . Non c’era tempo per tutto ciò se si voleva seppellirlo entro le 24 ore, come stabilisce la legge islamica. «Altra assurdità: perché mai Obama ha deciso di inchinarsi alla sharia, gettando Bin Laden nell’oceano in pasto ai pescecani, quando in qualsiasi altro caso o indagine criminale la religione dei soggetti non conta?» . Il presidente temeva di offendere la piazza araba, mettendo a rischio la vita delle truppe americane oltreoceano. «Balle. Anche gli arabi sono abituati a vedere le foto di cadaveri sui giornali in tv e su Internet. La corsia preferenziale accordata a Bin Laden e i tantissimi dubbi e misteri cui dà adito non faranno che incoraggiare i teorici della cospirazione che già infiammano il Web» . L’Amministrazione ha qualcosa da nascondere? «Personalmente non lo credo, ma Obama ha oltrepassato le sue prerogative presidenziali, prima gettando Bin Laden in mare e poi vietando la diffusione delle sue foto al pubblico. Ha violato senza ritegno il primo emendamento della Costituzione americana e può star certa che i media e il Congresso presto gli faranno causa per pubblicarle, come stabilisce il Freedom of Information Act. La vicenda, mi creda, non è affatto finita» .
L'OPINIONE - Dimitri Buffa : " Il fantasma di Abbottabad e il segreto di Pulcinella "


Dimitri Buffa
I vicini di casa Bin Laden, che interrogati dalle tv di mezzo mondo hanno risposto candidamente di “non essersi mai accorti di nulla” e di “non avere mai sospettato dell’identità” di chi abitava loro a fianco come nei clichè più triti delle interviste televisive nostrane al dirimpettaio di pianerottolo del “mostro” sbattuto in prima pagina, avevano in realtà capito tutto, o quasi, fin dal 2005. Ben prima dei satelliti di Obama ad esempio. E mercoledì “El pais” portava un’esilarante serie di testimonianze di alcuni di loro in prima pagina. Molti avevano nutrito forti sospetti sul fatto che da quella villa enorme mai un singolo sacco di immondizia venisse mai messo nei cassonetti della strada. Poi c’era stato uno che aveva intravisto in giardino a passeggiare un uomo dalla sagoma, dall’altezza e soprattutto dalla barbetta a pizzo che poteva rassomigliare al “de cuiius” e infine, altri alimentati da quella curiosità che notoriamente uccide il gatto, erano giunti sino a chiedere alle guardie che stazionavano davanti al cancello “chi mai abitasse in quella casa” e perché “non uscisse mai per farsi una passeggiata” o per andare al mercato della cittadina di villeggiatura. E avevano anche ricevuto la seguente e sibillina risposta: “un uomo con tanti nemici che per questo se ne sta sempre chiuso in casa”. Messa così la cosa, visto che le curiosità, le domande, le risposte e i sospetti datavano almeno dal 2005, il fatto che in quel compound all’occidentale (in una città che è stata definita “quanto di più simile allo stile inglese coloniale” dei bei tempi che furono si potesse trovare in Pakistan) si nascondesse proprio il “sor Bin Laden”, al secolo il fantasma di Abbottabbad, sembra essere stato il classico segreto di Pulcinella. Un altro dei serafici testimoni sentito dal giornalista Angeles Espinosa del “Pais”, ha candidamente ammesso: “si, assomiglia a quel signore che avevamo visto nella moschea qui in città, però non sembrava veramente Bin Laden”. Insomma un fantasma che appariva talvolta in giardino a sgranchirsi le gambe o che andava a pregare in moschea quando era più o meno sicuro di non trovarvi nessuno o quasi. Come una simile presenza possa essere rimasta inosservata per quasi sette anni, visto che pare che Bin laden si sia trasferito alla fine del 2004 in questa città il cui nome adesso è conosciuto in mezzo mondo (ma che prima non era certamente ignota alla classe medio alta pakistana) rimane un mistero al cui confronto quelli di casa nostra gli scuciono un baffo. La presenza di edifici militari in Abbottabad è impressionante. Ma è difficile fornire cifre precise sul numero di soldati dispiegati in questa città di almeno 150.000 persone che si trova appena al di fuori di una zona turistica a circa 60 chilometri da Islamabad, la capitale. Se vogliamo dire le cose come appaiono, sembra che Bin Laden fosse custodito in loco proprio dalla parte deviata dell’establisment militare e di intelligence pakistana. Col senno di poi, la gente del quartiere di Bilal Town comincia a rendersi conto che c'era qualcosa di strano nel palazzo alla fine della strada numero 16. “Questa casa è stata un mistero fin dal primo giorno”, confida Zahim, uno studente di telecomunicazioni di 22 anni, che dice di vivere a “due minuti” di distanza. “Durante il giorno, nessuno entrava o usciva. Solo una volta ogni tanto si vedeva un uomo con due bambini, una ragazza e un ragazzo, di circa quattro o cinque anni". Andavano a comprare il pane, ricorda il fornaio. Altri commentano così con il giornalista del Pais: “quel signore che andava dal fornaio si cominciò a vedere in giro dal 2005 e mi ricordo che tutti commentavano: ma questo o viene dal Waziristan o dalla valle dello Swat..di certo non è della zona..” Probabilmente si trattava proprio del corriere di cui si serviva Osama per rifornirsi di cibo e per tenere i contatti con l’esterno. L’uomo per arrivare al quale ci sono voluti mesi se non anni di “water boarding” a Guantanamo ai danni dei due “shaik” che organizzarono l’11 settembre. Magari bastava mandare qualche informatore della Cia locale in giro per il Pakistan e forse si faceva prima, Ma questo nella molto benevola ipotesi che Bin Laden si trovasse lì in incognito. E non sotto la tutela del regime del “vox populi” corrotto ex marito di Benazir Bhutto, Asif Ali Zardari.
LIBERO - Andrea Morigi : " Paura atomica: corsa per fermare le bombe dei terroristi "

Andrea Morigi
All’apertura del testamento di Osama Bin Laden, si potrebbe scoprire che ha lasciato in eredità una bomba atomica. È una minaccia con la quale i servizi d’intelligence di tutto il mondo avevano in qualche modo imparato a convivere. Finora. Ma, da quando gli scenari successivi all’uccisione del leader di Al Qaeda comprendono l’ipotesi della vendetta contro l’Occidente, qualcuno inizia a udire il tic-tac inquietante di un meccanismo a orologeria che ha iniziato un sinistro conto alla rovescia.
I JIHADISTI DISSIDENTI
Per la Nefa Foundation di New York, centro di ricerca sul terrorismo dedicato alle vittime dell’11 settembre 2001, i segnali conducono verso una direzione univoca: l’Iran. È nella Repubblica islamica di Teheran che, in seguito all’invasione americana dell’Afghanistan, si erano rifugiati alcuni dei primi livelli di Al Qaeda. Tra di loro, in particolare, il capo del Comitato militare, Saif al Adl e due leader religiosi come Abu Hafs al Mauritani e Suleiman Abu al Gaith. Fino all’anno scorso erano controllati a vista, con il divieto di espatriare, benché trattati con ogni riguardo. Poi, in coincidenza con gli attacchi dei droni statunitensi che hanno decimato le gerarchie dell’organizzazione terroristica di Bin Laden a cavallo fra il Pakistan e l’Afghanistan, i jihadisti erano stati liberati. Per il governo di Teheran si tratta probabilmente di un’occasione irripetibile per inserire ai vertici di Al Qaeda alcuni uomini in contatto con le Forze speciali iraniane. Ed è proprio sui tre “iraniani”, già dissidenti perché contrari agli attacchi dell’11 settembre, che si punterebbe per la successione a Bin Laden, sulla quale la carta vincente potrebbe essere appunto il possesso dell’arma nucleare.
A rendere più saldo il legame politico fra Teheran e Saif Al Adl sono le circostanze della sua fuga, nella prima metà del 2002, dall’Afghanistan, da dove si sospetta che sia arrivato in Iran con un congegno rudimentale, in pratica una “bomba sporca”. Impossibile sapere come fosse stata perfezionata e quanto fosse utilizzabile all’epoca. Quel che si dà ormai per acquisito è che, dalla metà degli anni 1990, i jihadisti erano entrati in possesso di materiale nucleare. Secondo la Nefa Foundation, il dispositivo sarebbe stato trasportato in Europa per metterlo al sicuro. Ne avevano parlato ampiamente, con il progetto di mandarlo negli Stati Uniti, due capi di Al Qaeda come Sharif Al Masri e Abu Faraj Al Libi. Un anno più tardi Adnan Al Shukrijumah, americano affiliato ad Al Qaeda avrebbe tentato di far passare alcune parti di armi di distruzione di massa negli Stati Uniti dalla frontiera messicana.
LA PISTA IRANIANA
Tutte indicazioni che comunque non smontano la pista iraniana. Gli unici ad avere la possibilità di sviluppare, fino a renderlo operativo, il congegno di Saif Al Adl sarebbero gli specialisti della Forza Al Quds, il reparto scelto della Guardia rivoluzionaria iraniana. I tecnici nucleari sul territorio iraniano non mancano. Rimane soltanto il dubbio sull’esatta collocazione dell’ordigno. Se è tornato in possesso di Saif Al Adl, potrebbe essere utilizzato per la vendetta contro il Pakistan che il Consiglio della Shura di Al Qaeda ha promesso entro brevissimo tempo. Se invece ce l’hanno ancora gli iraniani, chissà dove potrebbe colpire.
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