Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Accordo Hamas e Fatah: Israele ceda ai ricatti dei terroristi della Striscia Nabil Shaath e Zvi Schuldiner scatenati a favore di Hamas contro Israele
Testata:L'Unità - Il Manifesto Autore: Redazione dell'Unità - Zvi Schuldiner Titolo: «Spero che Israele colga l'occasione - Riconciliazione al Cairo, primavera palestinese»
Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 05/05/2011, a pag. 31, l'intervista a Nabil Shaath, ex ministro deli esteri palestinese, dal titolo " Spero che Israele colga l’occasione ". Dal MANIFESTO, a pag. 1-3, l'articolo di Zvi Schuldiner dal titolo " Riconciliazione al Cairo, primavera palestinese ". Ecco i pezzi, preceduti dai nostri commenti:
L'UNITA' - " Spero che Israele colga l’occasione"
Nabil Shaath
Quando l'intervistatore fa notare a Nabil Shaath che Hamas rifiuta di riconoscere Israele e che è per questo motivo che la comunità internazionale è poco ottimista sull'accordo raggiunto da Hamas e Fatah, lui risponde : "Porre come pregiudiziale all’accordo di riconciliazione nazionale, il riconoscimento d’Israele da parte di Hamas è qualcosa di ingiusto, non ha senso.". Come sia possibile negoziare con qualcuno che rifiuta di riconoscerti e desidera la tua distruzione, non è dato saperlo. L'intesa tra Hamas e Fatah non porterà alla soluzione pacifica del conflitto israelo palestinese. Hamas non è interessata a una soluzione simile. Viste le dichiarazioni di Nabil Shaath, è evidente che nemmeno l'Anp lo è. Ecco l'intervista:
Porre come pregiudiziale all’accordo di riconciliazione nazionale, il riconoscimento d’Israele da parte di Hamas è qualcosa di ingiusto, non ha senso. Quanti hanno davvero a cuore il rilancio del processo di pace e lo stop alla violenza, dovrebbero invece valutare positivamenteil fatto che Hamas sia coinvolto in questo processo, ne sia parte in causa». A parlare, nel «Giorno della riconciliazione» palestinese, è uno degli artefici dell’intesa raggiunta tra Al Fatah e Hamas: l’ex ministro degli Esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) ed attuale consigliere diplomatico di Mahmud Abbas (Abu Mazen): Nabil Shaath. Il patto di unità palestinese tra Hamas e Fatah è «un duro colpo per la pace e una grande vittoria per il terrorismo»: è il commento del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu... «È propaganda, cattiva propaganda. Netanyahu dovrebbe spiegare al mondo perché ha rigettato tutte le offerte di compromesso avanzate in questi anni dalla dirigenza dell’Anp, scontrandosi anche con l’Amministrazione Usa. Israele dovrebbe invece cogliere l’opportunità che questo accordo di riconciliazione nazionale può aprire per la ripresa di un serio negoziato di pace». Ma, ribatterebbe Netanyahu, come è possibile pensare ad un negoziato con una controparte che ha al suo interno una fazione, Hamas, che si rifiuta di riconoscere lo Stato d’Israele... «Porre questa pregiudiziale è il modo migliore, già usato in passato, per perpetuare lo status quo. Quanti hanno davvero a cuore il rilancio del processo di pace e lo stop alla violenza dovrebbero invece vedere con favore l’inserimento di Hamas in questo processo, perché questo significa una assunzione di responsabilità da parte della dirigenza di Hamas, interna ed esterna. Ma la domanda che tutti noi che abbiamo avuto una parte, piccola o grande nonimporta, nel raggiungimento di questa intesa, è un’altra...». Quale è questa domanda? «L’intesa raggiunta da tutti i movimenti realmente rappresentativi, rafforza o no la causa palestinese?... ». Questa è la domanda. E qual è la sua risposta? «Sì, la rafforza. Inanzitutto perché risponde a quelle aspettative di unità che in questi mesi è venuta avanti nella società palestinese, in particolare tra i giovani, quelli più in sintonia con il vento del cambiamento che è spirato e sta spirando in tutto il mondo arabo. Mantenere le vecchie divisioni significava andare contro a queste istanze di cambiamento. Sarebbe stato un suicidio politico. Per tutti. Questo accordo ridà una speranza collettiva, rimotiva un popolo. E questo è oggi quello che conta di più. All’annuncio della firma dell’accordo, in migliaia sono scesi in strada a Gaza e in Cisgiordania, sventolando bandiere con i colori nazionali palestinesi. È il segnale di una aspettativa a cui abbiamo corrisposto, ma sappiamo che siamo solo all’inizio del cammino». La Comunità internazionale sembra aver assunto un atteggiamento di attesa preoccupata... «Sta a noi trasformare questa attesa in atteggiamento positivo, di sostegno. L’importante ènonassumere posizioni pregiudiziali, come è avvenuto in passato». Il leader di HamasKhaled Meshal ha detto che il suo gruppo è pronto a fare qualunque cosa per «trasferire il testo dell'accordo in fatti sul campo. La nostra battaglia è per vincere ilnemicoisraeliano,nonle fazionipalestinesi ». «È una presa di posizione importante, che ora dovrà trasformarsi in atti conseguenti. L’unità è un bene prezioso che va però finalizzato ad una politica che porti alla realizzazione di un “sogno” collettivo: la creazione di unoStato indipendente di Palestina sui territori occupati nel 1967 e con Gerusalemme est come sua capitale. Il nuovo governo che nascerà sulla base dell’accordo raggiunto dovrà lavorare per questo fine. E Hamas sarà parte di questo disegno». Non crede di peccare di ottimismo? «Non sono il tipo. Da oggi chi ha puntato sulle divisioni interne al campopalestinesenon potrà più vivere di rendita. E questo non riguarda solo Israele. L’unità rafforza l’autonomia palestinese».
Il MANIFESTO - Zvi Schuldiner : " Riconciliazione al Cairo, primavera palestinese"
Schuldiner scrive : " La reazione ufficiale israeliana è negativa come è ovvio per un governo di estrema destra che non cerca strade reali per arrivare a un accordo ". Il governo Netanyahu non è di estrema destra. In ogni caso, nessun governo israeliano potrebbe accettare di negoziare con Hamas, per il semplice fatto che Hamas rifiuta di riconoscere Israele. E questa è una condizione necessaria per poter iniziare le trattative. Schuldiner continua: "Il premier di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, è come sempre corso in sostegno di Netanyahu e della destra israeliana lamentando la perdita del grande bin Laden: «Ecco, guardate, amici americani ed europei, con chi abbiamo a che fare». ". Non è ben chiaro che cosa intenda Schuldiner, che continua così "Però la stupide parole di Haniyeh non devono essere il pretesto per gli stereotipi e l’ignoranza dominanti in Occidente. L’imbecillità di quelli che ballano in strada per la morte di bin Laden come pure il carattere criminale di bin Laden e al Qaeda, non possono cancellare un punto di fondo: è arrivato il momenti di cercare di capire cosa significhi l’Islam, che significhino le diverse correnti al suo interno". Schuldiner, con una frase, riesce a mettere sullo stesso piano i familiari delle vittime dell'11 settembre che hanno gioito per la morte del terrorista islamico bin Laden e Ismail Haniyeh. Schuldiner si legga la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli del 03/05/2011 sull'ipocrisia di chi sostiene che sia sbagliato esultare per la morte di bin Laden. Schuldiner continua : "e, soprattutto, è arrivato il momento di tornare a un’analisi intelligente della reazione di centinaia di milioni di persone di fronte ai lunghi anni del dominio imperialista, dei dittatori asserviti al neo-liberismo e agli interessi della grande democrazia Usa e dei suoi alleati europei". La solita litania dell'imperialismo, principale male di tutti i tempi. Ci saremmo stupiti di non trovarla in un articolo del quotidiano comunista. Schuldiner scrive : "Nel Cairo diMubarak, il presidente palestinese firmò due anni fa il documento che anche Hamas ha firmato la settimana scorsa. Mubarak vedeva Hamas come un pericoloso alleato dei Fratelli musulmani e come agente dei siriani, e quindi non aveva alcun interesse reale all’accordo, preferiva le sue intese con gli israeliani e gli americani.". Mubarak, evidentemente, comprendeva Hamas e Fratelli Musulmani meglio di quanto non riuscirà mai a fare Schuldiner, che conclude così il suo pezzo: "È necessario finirla con i balletti sulla morte di bin Laden e con il razzismo anti-islamico, aprire menti e cuori. La riunificazione palestinese è una condizione importante per la pace e non si deve regalare nessun alibi al negazionismo annessionista di Netanyahu e dei suoi alleati dell’estrema destra israeliana.". Prima chi esultava per la morte di bin Laden è stato definito da Schuldiner 'imbecille', ora 'razzista anti-islamico'. Due definizioni talmente assurde e insultanti che dimostrano solo la simpatia di Schuldiner e del quotidiano che ha pubblicato il suo articolo per i terroristi della Striscia. Ecco l'articolo:
Al Cairo è stato firmato un documento molto problematico fra Fatah e Hamas che potrebbe significare la riunificazione palestinese. Gli elementi dell’accordo sono diversi e non univoci, restano ancora aperti alcuni punti potenzialmente esplosivi, le divergenze sono ancora tutte lì eminacciano di far saltare la riunificazione. Tuttavia sembrerebbe aprirsi un capitolo nuovo in Medio Oriente. Prima di tutto bisogna chiarire l’enorme importanza dell’accordo per il processo di pace: senza riunificazione palestinese, la pace fra Israele e Palestina non sarebbe altro che mera finzione. La riunificazione è la condizione essenziale, anche se non ancora sufficiente, per il processo. La reazione ufficiale israeliana è negativa come è ovvio per un governo di estrema destra che non cerca strade reali per arrivare a un accordo. Il premier Benjamin Netanyahu chiama il presidentedell’Anp, Abu Mazen, per intimargli: «o i negoziati con noi, o l’unità con Hamas», e con questo dimostra il suo totale disprezzo delle condizioni di base per un vero processo di pace. Un accordo con un settore palestinese - qualunque sia il suo peso- non avrebbe nessun senso e porterebbe a un vicolo cieco. Il premier di Hamas a Gaza, Ismail Haniyeh, è come sempre corso in sostegno diNetanyahu e della destra israeliana lamentando la perdita del grande bin Laden: «Ecco, guardate, amici americani ed europei, con chi abbiamo a che fare». Però la stupide parole di Haniyeh non devono essere il pretesto per gli stereotipi e l’ignoranza dominanti in Occidente. L’imbecillità di quelli che ballano in strada per lamorte di bin Laden come pure il carattere criminale di bin Laden e al Qaeda, non possono cancellare un punto di fondo: è arrivato il momenti di cercare di capire cosa significhi l’Islam, che significhino le diverse correnti al suo interno e, soprattutto, è arrivato il momento di tornare a un’analisi intelligente della reazione di centinaia di milioni di persone di fronte ai lunghi anni del dominio imperialista, dei dittatori asserviti al neo-liberismo e agli interessi della grande democraziaUsa e dei suoi alleati europei. La morte di bin Laden non significa la fine del rifiuto e della protesta di milioni di persone contro un sistema che li condanna alla povertà e alla dipendenza, un sistema oppressivo al servizio dell’Occidente e del capitalismo. Mentre alcuni leader di Hamas già si affrettano a proclamare che la terra di Palestina è sacra e quindi non riconosceranno mai «l’entità sionista», altri, più realisticamente, riconoscono che Abu Mazen dovrà continuare i negoziati, che dovranno portare alla nascita di due stati entro le frontiere del 1967. È un fatto: leader e popoli dovranno cominciare a capire la differenza fra postulati fondamentalisti e decisioni pragmatiche. La sorpresa per l’accordo è stata enorme, però l’accordo era lì, in gestazione, ormai da più di due anni.Nel Cairo diMubarak, il presidente palestinese firmò due anni fa il documento che anche Hamas ha firmato la settimana scorsa. Mubarak vedeva Hamas come un pericoloso alleato dei Fratelli musulmani e come agente dei siriani, e quindi non aveva alcun interesse reale all’accordo, preferiva le sue intese con gli israeliani e gli americani. Ma i cambiamenti in Tunisia e in Egitto hanno scosso il Medio Oriente e sono stati il preambolo dell’attuale sconquasso in Libia e Siria, come della prossima fine di Saleh in Yemen. Il nuovo governo in Egitto, che pure non sembra aver fretta a promuovere cambiamenti strutturali, può tuttavia garantirsi un risultato eccezionale che muterebbe lo status del paese sul teatro arabo. Dopo anni di decadenza e isolamento, l’Egitto riprende un ruolo centrale, si rilancia l’orgoglio nazionale e la nuova politica del governo dà segnali di una ritrovata indipendenza. Che può «obbligare» Hamasa un accordo con relativa riapertura del valico di Rafah anziché continuare la collaborazione con la politica d’assedio imposta a Gaza da Israele e accettata da Mubarak. Per Hamas è un gran risultato e lo aiuterà a spiegare perché ha firmato ora quello che aveva rifiutato prima. Ma non è tutta la storia. La rivolta in Siria continua, centinaia di morti sono il prezzo che la dittatura di Assad impone agli aneliti di libertà che risuonano in tutta la regione e fanno tremare tutte le alleanze. L’Iran, insieme agli Hezbollah libanesi, guarda preoccupato alla possibile caduta del suo alleato e l’opposizione della Turchia alla politica repressiva di Assad è chiara. Mentre tutt’intorno si levano le fiamme, Khaled Meshaal e la leadership di Hamas hanno capito che non possono più contare a scatola chiusa sulla loro alleanza con Assad e in apparenza stanno già pensando a trasferire i loro uffici in altri paesi arabi poiché Damasco non è più così sicura. Davanti a una situazione come questa, specie in Siria, il patto d’unità palestinese si è fatto urgente. È necessario finirla con i balletti sulla morte di bin Laden e con il razzismo anti-islamico, aprire menti e cuori. La riunificazione palestinese è una condizione importante per la pace e non si deve regalare nessun alibi al negazionismo annessionista di Netanyahu e dei suoi alleati dell’estrema destra israeliana.
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